SOMMARIO: 1. L’impatto dei criteri redazionali degli atti sull’efficienza del processo. 2. Novità attese: breve analisi di sistema. 3. Cause e conseguenze dell’atto oscuro e prolisso. 4. Note conclusive.
L’impatto dei criteri redazionali degli atti sull’efficienza del processo
La riforma del processo civile si pone nel novero delle c.d. riforme orizzontali adottate dal Legislatore allo scopo di innovare l’ordinamento italiano in conformità agli obiettivi delineati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza; in particolare, il fulcro della riforma risiede nella necessità di attuare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 della Carta Fondamentale[1]. Nel contesto di un’ampia, ambiziosa e talvolta innovativa novella del codice di procedura civile, non sono mancati interventi di dettaglio, quale l’interpolazione delle disposizioni di cui agli artt. 163 co. II n. 4 e 167 co. I c.p.c., laddove è stato precisato che l’esposizione dei fatti e degli elementi della domanda deve avvenire “in modo chiaro e specifico” e, al contempo, che il convenuto deve prendere posizione “in modo chiaro e specifico” sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. Tali criteri redazionali degli atti giudiziali di parte sono evidentemente funzionali e serventi rispetto all’obbligo del giudice, nel redigere la sentenza, di dare una “succinta” esposizione dei fatti di causa e dei motivi della decisione, nonché di esporre le questioni oggetto di decisione “concisamente” e “in ordine”[2].
Emerge, allora, il valore assiologico delle predette disposizioni in un sistema che valorizza la correlazione tra la tecnica redazionale degli atti giudiziali e l’effettività (ed efficienza) della tutela giurisdizionale del diritto[3]. In quest’ottica è stata altresì riformata la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., laddove particolare enfasi è posta sulla necessità – a pena di inammissibilità del ricorso – che l’esposizione dei fatti essenziali all’illustrazione dei motivi di cassazione sia “chiara”, che l’indicazione degli atti e dei documenti sia “specifica” e che l’esposizione dei motivi di ricorso sia “chiara e sintetica”[4], in ossequio alla massima oraziana “Est brevitate opus, ut currat sententia”[5].
Novità attese: breve analisi di sistema
Le prescrizioni relative alla tecnica redazionale degli atti nel processo civile si pongono nel solco di interventi normativi che hanno interessato il decreto legislativo n. 174/2016 (Codice della Giustizia Contabile), nonché il codice del processo amministrativo. In particolare, l’art. 5 co II del Codice della Giustizia Contabile – rubricato “Dovere di motivazione e sinteticità degli atti” – impone al Giudice, Pubblico Ministero e parti di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”. Come osservato dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio nella pronuncia n. 5698 dell’11 aprile 2012 “il rilievo che la sintesi va assumendo nell’ordinamento è del resto attestato anche dall’art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica”. Invero, analoghi criteri di redazione sono previsti in linea generale dall’art. 3 co II[6] del c.p.a. e declinati nel dettaglio dall’art. 13 ter delle disposizioni attuative del c.p.a.[7]
Nell’ambito del processo amministrativo la violazione dei criteri redazionali prescritti dal codice comporta l’impossibilità di impugnare il provvedimento, nel caso in cui il Giudice non abbia esaminato le questioni affrontate dalla parte nella trattazione eccedente i limiti dimensionali dell’atto. Influisce altresì sulla condanna alle spese di lite [8]. Poiché, nell’ambito del processo civile, il principio di sinteticità non viene sanzionato sul piano delle spese, alcuni commentatori si sono chiesti[9] se la disposizione di cui all’art. 26 c.p.a. possa trovare applicazione anche nel processo civile. I sostenitori dell’estendibilità in via analogica della disposizione in commento, considerano l’art. 39 co I c.p.c.[10] un chiaro indicatore non solo dell’applicabilità delle norme del codice del processo civile in caso di lacuna legis del c.p.a. bensì anche nel caso contrario. A tale conclusione giungono evidenziando che predetta disposizione dimostra l’analogia legis e l’analogia juris tra il processo civile e quello amministrativo. I principi di sinteticità e chiarezza informano altresì l’ordinamento dell’Unione Europea[11], nonché, ad esempio, quelli statunitense[12] e svizzero[13]
Cause e conseguenze dell’atto oscuro e prolisso
Non è detto che la causa più ovvia di un atto prolisso o poco chiaro è l’imperizia del redattore. Vi sono, invero, numerosi fattori che contribuiscono ad un simile risultato. L’ipertrofia del sistema normativo, sovente caratterizzato da un meccanismo di rinvii, e il linguaggio criptico di numerose disposizioni minano la chiarezza e sinteticità dell’esposizione ogniqualvolta il redattore è costretto ad estenuarsi in un arabesco di ricostruzioni quando basterebbe un richiamo normativo. L’impiego di strumenti informatici è parimenti un “fattore di rischio”. Specialmente nella gestione di contenziosi seriali, non è infrequente il ricorso da parte dell’avvocato alla tecnica del copia-incolla, con conseguente rischio di giustapporre con il minimo sforzo passaggi argomentativi che allungano l’atto e sono tra loro sconnessi, a scapito della chiarezza e della sintesi. Non è mancato, poi, chi ha provocatoriamente scorto un nesso eziologico tra il venir meno della tassa di bollo sui fogli utilizzati e la voluminosità degli atti processuali[14]. Infine, induce alla ridondanza degli atti “la costante preoccupazione dell’avvocato, divenuta dal 1990 in poi una vera e propria sindrome: quella di incorrere in preclusioni e decadenza [..] di compiere errori di omissione”[15].
Questa sindrome si acutizza, in particolare, nel ricorso per cassazione, in quanto il redattore è chiamato al rispetto del principio di autosufficienza del ricorso[16]. Lo spauracchio dell’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza ha portato a conseguenze distorsive: un canone di matrice pretoria sulla specificità e completezza del ricorso è stato spesso frainteso dai redattori con “una mera compilation, un’attività di farcitura nella quale non si ritrova l’opera di rappresentazione ed interpretazione dei fatti giuridici [….]”[17], al punto da indurre la Suprema Corte a censurare apertamente “l’adozione delle tecnica del ricorso farcito o del ricorso-sandwich, con il quale […] è scaricata sulla Corte tutta la documentazione di merito (con la sola aggiunta di pagine etichetta), quasi a dira “veda la Corte cosa le serve”.[18] Non sorprende, allora, la scelta del legislatore di cristallizzare, attraverso la modifica dell’art. 366 c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale di legittimità che ricollega all’“inosservanza del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali” il “rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso […], ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni”[19].
Tale modifica normativa, introducendo la sanzione dell’inammissibilità, supera anche, limitatamente al giudizio di legittimità, la dibattuta questione dell’abuso “del” o “nel” processo in caso di violazione dei canoni di chiarezza e sinteticità[20].
Note conclusive
L’esigenza di attribuire maggiore concretezza al principio costituzionale della ragionevole durata del processo è stata, come visto, declinata differentemente a seconda dei gradi di giudizio. Nel giudizio di merito, al fine di disciplinare la narrazione del fatto, è stato posto l’accento sulla specificità e chiarezza della narrazione. Nel giudizio di legittimità, invece, la specificità ha lasciato spazio alla sinteticità, funzionale a favorire l’efficienza del Supremo Collegio “derivando intuibilmente dall’analisi di un ricorso chiaro e sintetico un risparmio di tempi nell’elaborazione della decisione e nella scrittura dei provvedimenti”[21]. Ed è proprio nel giudizio di legittimità che la novella normativa, sottopone ora inequivocabilmente alla sanzione dell’inammissibilità l’atto tanto prolisso o oscuro da inficiare la comprensione dei motivi di ricorso. Il pregio della modifica è duplice. Da un lato assume una funzione di monito per i redattori del ricorso, dall’altro, essendo la valutazione di ammissibilità ancorata ad un parametro più certo, dovrebbe auspicabilmente temperare alcuni gli eccessi della giurisprudenza nella declaratoria di inammissibilità.
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[1] L’obiettivo della riforma è icasticamente prefissato dal Parlamento nella nota del Servizio Studi della Camera dei Deputati del 23 settembre 2022, consultabile al link: https://temi.camera.it/leg18/temi/riforma-del-processo-civile.html
[2] Cfr. art. 118 disp. att. c.p.c.
[3] Questa correlazione e l’esigenza di concentrazione del processo era già nota ai logografi nell’Atene del IV secolo a.C., laddove il tempo di intervento dei difensori era rigorosamente scandito dalla clessidra ad acqua (cfr. Demostene, Contro Midia, 129, citato in G. FINOCCHIARO, “Il principio di sinteticità nel processo civile”, in Rivista di Diritto Processuale Civile, 2013, 4-3, pag. 853).
[4] In merito al significato attribuibile ai due concetti: “La chiarezza è un elemento, innanzitutto, pretestuale, attinente all’ordine e alla pianificazione delle argomentazioni e dei concetti. Sotto il profilo testuale la chiarezza indica il grado di comprensibilità del testo scritto, dipendente dal vocabolario usato, dalla lunghezza dei periodi e dalla loro semplicità, dall’uso della punteggiatura, dall’uniformità dei criteri redazionali e grafici. La sinteticità di un testo non è necessariamente sinonimo di brevità […], ma è predicabile qualora nel discorso […] siano assenti frasi e parole superflue […] ripetitive di concetti e argomenti già enucleati” (cfr. C. COMMANDATORE, “Forma degli atti processuali – sinteticità e chiarezza degli atti processuali nel giusto processo”, Giurisprudenza Italiana, 2015, 4, 851). Si evidenzia che un atto sintetico e non chiaro potrebbe incidere negativamente sulla durata del processo, così come avviene in caso di atti chiari, ma prolissi; spiega così la scelta legislativa dell’endiadi A. GIUSTI, “principio di sinteticità e abuso del processo amministrativo”, in Giurisprudenza Italiana 2014, 151.
[5] “Occorre brevità perché il pensiero scorra e non si inceppi” (cfr. ORAZIO, Satire, I, x, 17-22).
[6] “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”, norma modificata dall’art. 7 bis, co. I, lettera a), del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197
[7] “Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza di cui all’articolo 3, comma 2, del codice, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato […] Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell’atto. Con il decreto di cui al comma 1 sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti […] Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”
[8] Cfr art. 26 co I c.p.a. “quando emette una decisione, il giudice provvede anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, tenendo anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all’articolo 3, comma II […]”
[9] cfr. G. FINOCCHIARO, “Il principio di sinteticità nel processo civile”, in Rivista di Diritto Processuale Civile, 2013, 4-3, pag. 853
[10] “Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”
[11] Cfr. par. 14 lett.. A della Guida per gli Avvocati approvata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
[12] Cfr. Rule 8 delle Federal Rules of Civil Procedures, rubricata “General Rules of Pleading” che alla lett. a) n. 2 prevede che “a short and plain statement of the claim showing that the pleader is entitled to relief”
[13] Cfr. art. 132 del codice di procedura civile svizzero rubricato “Atti viziati da carenze formali o da condotta processuale querulomane o altrimenti abusiva” al comma II prevede “Lo stesso vale per gli atti illeggibili, sconvenienti, incomprensibili o prolissi” (consultabile al linkhttps://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/2010/262/it#art_132 )
[14] C. COMMANDATORE, ivi.
[15] B. CAPPONI, “Sulla “ragionevole brevità” Sulla “ragionevole brevità” degli atti processuali civili”, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 3(2014), p. 1085.
[16] Cfr. E.F. RICCI “Sull’autosufficienza del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l’avvocato cassazionista come amanuense”, in Rivista di Diritto Processuale, 2010, pp. 736 ss.
[17] Cfr. Cass. Civ. sent. 8425/2020 pag.3
[18] Ibid.
[19] Cfr. Cass. Civ. sent. 8425/2020 pag. 5
[20] Cfr. G. CANALE “La violazione del dovere di sinteticità e chiarezza: abuso del processo?”, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.3, 1° settembre 2018, pag. 1025
[21] G. RAITI, “Il principio di sinteticità e chiarezza del ricorso per cassazione secondo la legge delega sulla riforma del processo civile”, Rivista di Diritto Processuale, 2022, 3, pag. 1027