
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Antefatto della causa. 3. Le motivazioni della pronuncia della Corte di giustizia.
Massima
La possibilità di rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo affinché la pena sia eseguita nello Stato membro di residenza deve applicarsi anche ai cittadini di paesi terzi. L’autorità giudiziaria deve poter valutare se il cittadino di un paese terzo sia sufficientemente integrato nello Stato membro di esecuzione e se esista quindi un legittimo interesse che giustifichi che venga eseguita nel territorio di quest’ultimo la pena inflitta nello Stato membro di emissione
Antefatto della causa
O.G., un cittadino moldavo, è stato condannato in Romania a cinque anni di reclusione per evasione fiscale e appropriazione indebita di fondi destinati al pagamento delle imposte sul reddito e dell’IVA, commesse tra settembre 2003 e aprile 2004. Il 13 febbraio 2012, la Judecătoria Brașov (Tribunale di Prima Istanza di Brașov, Romania) ha emesso un mandato di arresto europeo (MAE) contro O.G., che nel frattempo si era trasferito in Italia, allo scopo di eseguire una pena detentiva.
Con una prima sentenza del 7 luglio 2020, il Tribunale di Appello competente ha ordinato la consegna di O.G. all’autorità giudiziaria emittente. O.G. ha presentato ricorso contro questa decisione davanti alla Corte Suprema di Cassazione italiana, che ha annullato tale sentenza e ha rimandato il caso alla Corte d’Appello.
In base al diritto dell’UE, gli Stati membri possono rifiutare l’esecuzione di un MAE solo per le ragioni stabilite nella Decisione Quadro 2002/584, che include motivi facoltativi di non esecuzione, ovvero motivi per i quali gli Stati membri hanno il potere – ma non l’obbligo – di prevedere disposizioni durante la trasposizione di tale decisione quadro. Uno di questi motivi riguarda l’opzione per l’autorità giudiziaria esecutiva di rifiutare l’esecuzione di tale mandato se è stato emesso allo scopo di eseguire una pena detentiva in cui la persona richiesta risiede, o è cittadino o residente dello Stato membro esecutivo, e tale Stato si impegna ad eseguire la sentenza o l’ordine di detenzione in conformità con la sua legge nazionale.
La Corte d’Appello ha stabilito che la legge che traspone tale motivo facoltativo di non esecuzione nella legge italiana limita l’opzione di rifiutare la consegna solo ai cittadini italiani e ai cittadini di altri Stati membri, escludendo i cittadini di paesi terzi, anche quando questi ultimi dimostrano di aver stabilito legami economici, occupazionali ed emotivi stabili in Italia.
Poiché la situazione familiare e lavorativa stabile di O.G. in Italia è stata sufficientemente provata, la Corte d’Appello ha sollevato questioni sulla costituzionalità di tale legge dinanzi alla Corte Costituzionale italiana, che rappresenta il giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 267 TFUE. La Corte Costituzionale italiana ha chiesto alla Corte di giustizia se, imponendo la consegna ai cittadini di paesi terzi che risiedono permanentemente in Italia per l’esecuzione di una pena detentiva all’estero, tale legge limiti indebitamente la portata del motivo facoltativo di non esecuzione stabilito all’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro, la cui finalità è garantire la riabilitazione sociale della persona condannata al termine della sua pena, presupponendo il mantenimento dei legami familiari e sociali della persona condannata.
Il giudice del rinvio ritiene che sia necessario, prima di accertare se la legge nazionale oggetto della procedura principale sia conforme alla Costituzione italiana, esaminare se essa sia conforme al diritto dell’UE.
Interrogata dalla Corte Costituzionale italiana in merito all’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro, la Corte di giustizia, riunita in Grande Camera, ha stabilito che tale disposizione impedisce una legge di uno Stato membro che, nel trasporla, escluda, in modo assoluto e automatico, qualsiasi cittadino di un paese terzo che risiede o soggiorna nel territorio di tale Stato membro dal beneficiare del motivo facoltativo di non esecuzione di un MAE da essa stabilito, senza che l’autorità giudiziaria esecutiva possa valutare i legami che tale cittadino ha con lo Stato membro. La Corte di giustizia ha chiarito anche la natura della valutazione che tale autorità deve effettuare per determinare se è opportuno rifiutare l’esecuzione del MAE emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo residente nello Stato membro esecutivo e gli elementi in grado di dimostrare l’esistenza di legami sufficienti tra tale persona e lo Stato membro esecutivo, tali da integrarla adeguatamente nello Stato in modo che l’esecuzione in tale Stato membro della pena detentiva pronunciata contro tale persona nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le possibilità di riabilitazione sociale dopo che tale pena è stata eseguita.
Le motivazioni della pronuncia della Corte di giustizia
La Corte di giustizia ha ricordato che, in conformità al principio del riconoscimento reciproco, l’esecuzione del MAE costituisce la regola. Il rifiuto di eseguire, che è possibile solo sulla base delle ragioni di non esecuzione obbligatorie o facoltative stabilite nella decisione quadro, è inteso come un’eccezione, che deve essere interpretata in modo rigoroso.
Per quanto riguarda le ragioni di non esecuzione facoltativa del MAE elencate nella decisione quadro, è chiaro dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che, quando traspongono tale decisione quadro nella legislazione nazionale, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezione. Pertanto, sono anche liberi di recepire tali ragioni nella loro legislazione nazionale o di non farlo. Possono anche scegliere di limitare le situazioni in cui l’autorità giudiziaria esecutiva può rifiutare l’esecuzione di un MAE, agevolando così la consegna delle persone richieste, in conformità al principio del riconoscimento reciproco. Tuttavia, vi sono limiti alla discrezionalità degli Stati membri quando traspongono una ragione di non esecuzione facoltativa stabilita nell’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro.
In primo luogo, uno Stato membro che scelga di trasporre tale ragione deve conformarsi ai diritti fondamentali e ai principi del diritto dell’UE, tra cui il principio di uguaglianza davanti alla legge garantito dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che richiede che situazioni simili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo, a meno che tale trattamento diverso sia oggettivamente giustificato.
L’obbligo che le situazioni debbano essere comparabili, ai fini della valutazione di una violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge, deve essere valutato alla luce, in particolare, dell’oggetto e dello scopo dell’atto che stabilisce la distinzione in questione, tenendo conto dei principi e degli obiettivi del settore a cui l’atto si riferisce.
La Corte di giustizia ha osservato, a tal proposito, che la differenza di trattamento derivante dalla legge nazionale in questione nei procedimenti principali tra i cittadini italiani e quelli di altri Stati membri, da un lato, e i cittadini di paesi terzi, dall’altro, è stata stabilita con l’obiettivo di trasporre l’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro, che non fa distinzione in base al fatto che la persona oggetto del MAE e che non è cittadina dello Stato membro esecutivo sia o non sia cittadina di un altro Stato membro.
Dalla formulazione di tale disposizione e dall’obiettivo che essa persegue non può essere presumibile che una persona di un paese terzo, oggetto di un tale MAE e che risieda o soggiorni nello Stato membro esecutivo, si trovi necessariamente in una situazione diversa da quella di un cittadino di detto Stato membro o di un cittadino di un altro Stato membro che risieda o soggiorni nello Stato membro esecutivo e sia oggetto di un tale mandato. Al contrario, tali persone possono trovarsi in situazioni comparabili, ai fini dell’applicazione della ragione di non esecuzione facoltativa prevista in tale disposizione, quando sono integrate in misura sufficiente nello Stato membro esecutivo.
Pertanto, una legge nazionale che recepisce l’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro non è conforme all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea se tratta in modo diverso, da un lato, i propri cittadini e gli altri cittadini dell’Unione e, dall’altro, i cittadini di paesi terzi, negando a questi ultimi, in modo assoluto e automatico, il beneficio della ragione di non esecuzione facoltativa prevista nella decisione quadro, anche quando i cittadini di paesi terzi risiedono o soggiornano nel territorio dello Stato membro e senza tener conto del loro grado di integrazione nella società di tale Stato membro. Tale differenza di trattamento non può essere considerata oggettivamente giustificata.
Tuttavia, nulla impedisce a uno Stato membro, quando traspone tale disposizione nella sua legislazione nazionale, di subordinare il beneficio della ragione di non esecuzione facoltativa prevista dalla disposizione al fatto che il cittadino in questione abbia soggiornato o risieduto ininterrottamente in tale Stato membro per un periodo minimo di tempo, a condizione che tale condizione non vada oltre quanto necessario per garantire che la persona richiesta sia integrata in misura sufficiente nello Stato membro esecutivo.
In secondo luogo, una trasposizione dell’articolo 4, paragrafo 6, della decisione quadro non può avere l’effetto di privare l’autorità giudiziaria esecutiva della discrezione necessaria per poter decidere se accettare o meno l’esecuzione del MAE, tenendo conto dell’obiettivo previsto di riabilitazione sociale.
Una legge come quella in questione compromette l’obiettivo della riabilitazione sociale privando l’autorità giudiziaria esecutiva del potere di valutare se i legami del cittadino di un paese terzo citato in un MAE con lo Stato membro esecutivo siano sufficienti per decidere che l’esecuzione della condanna in tale Stato membro aumenterebbe le possibilità di riabilitazione dopo la fine di quella condanna.
Inoltre, la Corte di giustizia ha affermato che, al fine di valutare se è opportuno rifiutare l’esecuzione del MAE emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo che soggiorna o risiede nel territorio dello Stato membro esecutivo, l’autorità giudiziaria esecutiva deve effettuare una valutazione complessiva di tutti gli elementi specifici che caratterizzano la situazione della persona richiesta, in grado di dimostrare che esistono legami tra quella persona e lo Stato membro esecutivo che possono portare alla conclusione che quella persona è sufficientemente integrata in tale Stato. Tali elementi includono i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino di un paese terzo ha con lo Stato membro esecutivo, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro.
In particolare, quando la persona richiesta ha stabilito il centro della sua vita familiare e dei suoi interessi nello Stato membro esecutivo, si deve tenere conto del fatto che la riabilitazione sociale di quella persona dopo aver scontato la sua condanna sarà favorita dal fatto che potrà mantenere contatti regolari e frequenti con la sua famiglia e le persone a lui o lei vicine.