
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Il silenzio può costituire un “raggiro” ai sensi dell’art. 640 c.p. quando non si risolve in un mero contegno omissivo, come tale connotato da un significato ontologicamente neutro, bensì in un silenzio eloquente, ossia un silenzio che, inserito in uno specifico contesto, assume valenza di dichiarazione positiva (comportamento concludente) idonea ad ingannare la persona offesa.
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Bari che aveva condannato l’imputato per il reato di truffa aggravata.
La vicenda trae origine dall’aver l’imputato, un medico, omesso di comunicare all’ente pubblico datore di lavoro che svolgeva attività professionale nel suo studio privato in forma e con modalità diverse da quelle che si era impegnato a rispettare, ingannando così l’amministrazione pubblica. In particolare, l’imputato aveva preso direttamente appuntamento con i pazienti, bypassando il C.U.P., in tal modo impedendo all’azienda ospedaliera di controllare il volume di lavoro svolto in regime di intra moenia. L’amministrazione gli aveva, pertanto, erogato mensilmente uno stipendio maggiorato delle c.d. indennità di esclusiva e di posizione.
L’imputato ha proposto ricorso, per il tramite del difensore, articolando sei motivi di ricorso.
In particolare, il ricorrente si doleva della violazione di legge con riguardo alla configurabilità del reato di truffa, contestando che nel caso di specie si fosse in presenza di una mera omissione di una comunicazione all’ente pubblico, non accompagnata da ulteriori comportamenti decettivi. Venendo in considerazione una mera omissione, dunque, non risulterebbero integrati né gli artifizi né i raggiri tipici del reato di truffa, richiedendo questi ultimi un contegno attivo.
Semmai, secondo la prospettazione del ricorrente, potrebbe ritenersi integrato il diverso reato di cui all’art. 316 ter c.p. che trova applicazione in ipotesi di silenzio antidoveroso, inidoneo a indurre in errore la pubblica amministrazione.
Motivi della decisione
(…)
Il giudice di legittimità ha dichiarato estinto per prescrizione il reato ascritto all’imputato.
Ciononostante, in ragione della delicatezza delle questioni di diritto sollevate, la Suprema Corte ha ritenuto di esaminare i temi posti alla sua attenzione dalla difesa con i motivi di ricorso.
In particolare, la Cassazione effettua un’ampia disamina delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali in merito alla configurabilità del reato di truffa contrattuale in forza del silenzio maliziosamente serbato da uno dei contraenti. Ci si chiede, in altri termini, se il silenzio maliziosamente serbato circa circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte cdi chi abbia il dovere di farle conoscere costituisca un raggiro idoneo a determinare un soggetto a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato, influendo sulla volontà negoziale del soggetto passivo e integrando l’elemento oggettivo del reato descritto dall’art. 640 c.p.
Secondo un primo orientamento, un siffatto obbligo giuridico di informare la controparte su aspetti essenziali del contratto si ricaverebbe da norme extrapenali, e segnatamente dal principio di buona fede contrattuale.
In senso opposto propende un secondo orientamento, prevalentemente dottrinale, che ravvisa due ostacoli alla possibilità che il silenzio costituisca raggiro.
In primo luogo, la clausola di equivalenza di cui all’art. 40 cpv c.p. opera con esclusivo riferimento ai reati di evento a forma libera e causalmente orientati e non rispetto ai reati a forma vincolata, qual è la truffa (che postula precise note modali della condotta: l’artifizio o il raggiro).
In secondo luogo, difetterebbe una posizione di garanzia di tutela dell’altrui patrimonio. Poiché, infatti, l’obbligo di intervento prescritto dalla posizione di garanzia contribuisce a delineare il fatto tipico, in omaggio ai principi di tassatività e determinatezza della legge penale, la sua fonte deve avere contenuto preciso e specifico. Tale contenuto manca nella generica buona fede contrattuale. Ai fini della sussistenza di una posizione di garanzia, occorre, inoltre, che il soggetto destinatario di tale obbligo sia in una particolare posizione rispetto al bene o al soggetto da proteggere: deve trattarsi di un affidamento pressoché completo, tale da considerare che il bene o il soggetto in questione sia “nelle mani” del soggetto titolare dell’obbligo, al quale è affidato tale compito in ragione della incapacità dei titolari di detti beni di proteggerli adeguatamente.
Alla luce di quanto sin qui osservato, allora, è garante unicamente quel soggetto dotato di autentici poteri impeditivi dell’evento offensivo del bene altrui.
Ad avviso dell’orientamento in esame, i suddetti obblighi di matrice civilistica difetterebbero di contenuto pregnante di protezione dell’altrui patrimonio: non si tratterebbe di un obbligo di garanzia, e quindi di impedimento dell’evento di danno all’altrui patrimonio idoneo ad attivare la clausola di cui all’art. 40 cpv c.p., bensì di un mero onero di attivazione che postula un comportamento orientato ai principi di correttezza e buona fede. Di conseguenza, l’inosservanza di questi ultimi non dà luogo a illecito penale ma esclusivamente a sanzioni civili. Diversamente opinando, infatti, si farebbe coincidere sostanzialmente l’inadempimento contrattuale con l’illecito penale della truffa contrattuale.
Il giudice di legittimità mostra di condividere tale posizione, aggiungendo che, affinché possa venire in rilievo la fattispecie di cui all’art. 640 c.p., è necessario che all’inadempimento contrattuale si affianchi un quid pluris in grado di colorare di offensività la condotta civilisticamente illecita. Più nel dettaglio, l’illecito civile trasmoda in illecito penale allorché si arricchisca di componenti negative lesive di interessi ulteriori e superindividuali. Il disvalore aggiunto risiede proprio negli artifici e raggiri: essi impediscono la corretta formazione dell’altrui volontà, colpendo pertanto non solo l’interesse privatistico patrimoniale del creditore ma anche la sua libertà negoziale.
Ciò stabilito, la Corte di cassazione passa a definire le nozioni di artifizio o raggiro costituente il nucleo portante del reato di truffa.
Il primo si sostanzia in un espediente a mezzo del quale l’agente, alterando la realtà esterna, crea nella vittima una fala rappresentazione della medesima traendolo in inganno: si tratta dunque di un comportamento attivo.
Il secondo si sostanzia in un comportamento, perlopiù di natura verbale e ispirato ad astuzia o ingegnosità e allo sfruttamento dell’altrui ingenuità o buona fede, che determina nel destinatario una falsa rappresentazione della realtà, con lo scopo di indurre il destinatario a fare, con proprio danno e con indebito vantaggio della controparte o di un terzo, qualcosa che altrimenti non farebbe nello stesso modo. Se ne desume allora che il raggiro può consistere anche in un comportamento di natura non verbale, quindi anche silenzioso, sebbene ispirato ad astuzia tale da sorprendere la buona fede altrui e indurre, con il concorso di altre condotte attive, l’altro contraente a fare qualcosa che egli altrimenti non farebbe nello stesso modo.
In questo senso, ad avviso del giudice di legittimità, si può tracciare una distinzione tra silenzio inerzia, consistente in un mero contegno omissivo dal significato ontologicamente neutro, e silenzio eloquente, consistente in un contegno avente carattere comunicativo o comunque espressivo. Sulla scorta di circostanze ed elementi di varia natura che arricchiscono la situazione su cui si innesta il comportamento dell’agente, il silenzio eloquente è equiparabile, dunque, in realtà ad un contegno positivo con significato e valore di dichiarazione.
In altre parole, il silenzio eloquenza non è una mera inazione ma un silenzio che, calato in un determinato contesto, diviene un comportamento concludente, e quindi un contegno psichico attivo, munito di idoneità ingannatoria nell’influire sulla psiche del soggetto passivo, inducendolo in errore e determinandolo a porre in essere un dannoso atto di disposizione patrimoniale.
In presenza delle suddette condizioni, dunque, tale silenzio si sostanzia in concreto in una forma di raggiro penalmente rilevante nel rispetto del vincolo di tipicità posto dalla norma penale.
Osserva, infine, il giudice di legittimità che tale opzione esegetica appare coerente con la distinzione che intercorre tra il reato di truffa aggravata e il reato di cui all’art. 316 ter c.p.: solo in quest’ultima fattispecie, invero, è sufficiente un contegno puramente omissivo (la fattispecie dell’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato contempla, tra le condotte tipiche alternative, altresì la “omissione di informazioni dovute”), mentre il mero silenzio antidoveroso non è sufficiente di per sé ad integrare gli artifici o raggiri tipici della truffa, richiedendosi a tal fine che sia accompagnato da un comportamento fraudolento.
Chiariti tali profili in punto di diritto, la Cassazione osserva come nel caso concreto posto al suo esame la condotta dell’imputato non sia qualificabile alla stregua di un mero comportamento inerte, bensì assuma un significato ulteriore in forza del contesto entro cui si inscrive.
In particolare, si sottolinea che il medico che opera in regime di intra moenia sia tenuto a comunicare se ha effettuato prestazioni di natura privata, posto che incidono sul suo diritto a ricevere l’indennità di esclusiva. Il silenzio maliziosamente serbato su tale profilo crea dunque un’apparenza fraudolenta, inducendo in errore l’ente. Più nello specifico, tale silenzio, in quanto idoneo a provocare un affidamento nella azienda sanitaria, acquista un carattere positivo se valutato unitamente ad altri elementi intervenuti nel processo causale di condizionamento della volontà dell’ente.
In quest’ottica la Cassazione valorizza le condotte attive del medico che hanno preceduto il silenzio, e in particolare le prenotazioni dei pazienti direttamente al medico senza passare per il tramite del C.U.P., nonché il versamento della parcella nelle mani del sanitario.
(…)
Dispositivo
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.