SOMMARIO: 1. Massima. 2. Antefatto della causa. 3. Le motivazioni della pronuncia della Corte di giustizia.
Massima
La Corte ha chiarito che le donne possono ottenere protezione internazionale se sono esposte a violenza fisica, mentale, sessuale o domestica nel loro paese d’origine a causa del loro sesso. Se le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non sono soddisfatte, possono comunque ottenere una protezione sussidiaria nel caso in cui sono a rischio concreto di essere uccise o subire violenze.
Antefatto della causa
WS è una cittadina turca di discendenza curda che è arrivata legalmente in Bulgaria nel giugno 2018 e successivamente si è trasferita da un familiare in Germania, dove ha richiesto asilo. Su richiesta delle autorità tedesche, le autorità bulgare hanno preso in carico il caso di WS per valutare la sua richiesta di asilo, come stabilito da una decisione adottata nel febbraio 2019 dall’Agenzia nazionale per i rifugiati della Bulgaria (DAB, Darzhavna agentsia za bezhantsite).
Durante gli interrogatori nell’ottobre 2019, WS ha raccontato di essere stata costretta a sposarsi a sedici anni e di aver subito violenza domestica. Ha affermato di essere fuggita da casa nel settembre 2016, aver contratto un matrimonio religioso nel 2017 e di aver avuto un figlio da questo matrimonio nel maggio 2018. Ha poi ottenuto il divorzio dal suo primo marito nel settembre 2018, nonostante le obiezioni di lui. Ha espresso timori di essere uccisa dalla sua famiglia se dovesse tornare in Turchia.
Nel maggio 2020, il presidente del DAB ha respinto la richiesta di asilo di WS, sostenendo che non fossero soddisfatte le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato. I motivi di WS, inclusi gli atti di violenza domestica e le minacce di morte, sono stati considerati non rilevanti in base alla legge sull’asilo e sui rifugiati in Bulgaria. Inoltre, WS non ha dichiarato di essere perseguitata a causa del suo genere. È stato anche negato a WS lo status di protezione sussidiaria.
Il ricorso proposto da WS avverso tale decisione è stato respinto.
Nell’aprile 2021, WS ha presentato una nuova domanda di asilo, citando timori di persecuzione legati al suo genere come donna vittima di violenza domestica e a rischio di delitti d’onore, per i quali lo Stato turco non può proteggerla. Ha espresso preoccupazioni riguardo a un possibile delitto d’onore o a un nuovo matrimonio forzato se fosse stata deportata in Turchia.
Il DAB ha respinto la richiesta di riesame della sua domanda nel maggio 2021, sostenendo che non erano stati presentati nuovi elementi significativi sulla sua situazione personale o sullo stato della Turchia.
Il giudice del rinvio, l’Administrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo della città di Sofia) ha sollevato una questione di interpretazione della direttiva 2011/95 alla Corte di giustizia, chiedendo chiarimenti sulle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale e sul tipo di protezione da concedere in tali situazioni.
Le motivazioni della pronuncia della Corte di giustizia
In primo luogo, la Corte di giustizia ha analizzato se, in conformità con la direttiva 2011/95, e considerate le condizioni nel paese d’origine, le donne di quel paese possano essere considerate come appartenenti a un “determinato gruppo sociale” e quindi soggette a persecuzione idonea a ottenere lo status di rifugiato. Inoltre, si è verificato se le donne devono possedere ulteriori caratteristiche comuni per essere considerate parte di tale gruppo.
A questo proposito, la Corte di giustizia ha evidenziato che la Convenzione di Istanbul impone obblighi rilevanti per la direttiva 2011/95, che si inserisce nell’ambito dell’articolo 78, paragrafo 2, del TFUE. La convenzione, legata all’asilo e al non respingimento, deve essere considerata ai fini dell’interpretazione della direttiva, anche se alcuni Stati membri, come la Repubblica di Bulgaria, non l’hanno ratificata.
Inoltre, la Corte di giustizia ha richiamato l’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, che stabilisce le condizioni per definire un “determinato gruppo sociale”. Sono necessarie due condizioni cumulative. Prima di tutto, è richiesto che i membri del gruppo condividano almeno uno dei seguenti tre aspetti identificativi: una «caratteristica innata», una «storia comune che non può essere mutata», oppure una «caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». Inoltre, il gruppo deve avere un’identità distinta nel proprio paese d’origine, poiché viene percepito come diverso dalla società circostante.
Per quanto riguarda la prima condizione, la Corte di giustizia ha ritenuto che il sesso femminile, come caratteristica innata, soddisfi tale criterio. Tuttavia, l’appartenenza a un gruppo sociale può essere estesa anche a donne con caratteristiche comuni aggiuntive, come coloro che sfuggono da un matrimonio forzato.
Per quanto riguarda la seconda condizione, le donne possono essere percepite come un gruppo distinto nella società del loro paese d’origine, anche senza ulteriori caratteristiche comuni.
La Corte di giustizia ha sottolineato che l’appartenenza a un “determinato gruppo sociale” non richiede necessariamente atti di persecuzione, ma le discriminazioni o persecuzioni subite possono essere rilevanti per valutare se il gruppo sia distinto secondo le norme sociali del paese d’origine.
In secondo luogo, la Corte di giustizia ha esaminato se la direttiva 2011/95 richieda un legame tra atti di persecuzione da attori non statali e motivi di persecuzione specificati. Tale legame è richiesto per il riconoscimento dello status di rifugiato. Se un atto di persecuzione da un soggetto non statuale è basato su uno dei motivi di persecuzione, è soddisfatta la condizione richiesta.
Infine, la Corte di giustizia ha stabilito che la minaccia grave, come la possibilità di essere uccisi o subire violenze da parte della famiglia o della comunità per violazione di norme culturali o religiose, rientra nella nozione di “danno grave” che giustifica lo status di protezione sussidiaria. La “pena di morte o l’esecuzione” può includere atti di violenza da parte di attori non statali se c’è una minaccia reale.