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Cass. Pen, sez. IV, ud. 14 dicembre 2023 (dep. 20 dicembre 2023), n. 50816

- 27 Marzo 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di omicidio stradale colposo, sulla scorta dei principi che governano la responsabilità a titolo di colpa, occorre una rigorosa verifica avente ad oggetto la sussistenza di una condotta alternativa lecita, l’evitabilità e imprevedibilità dell’evento lesivo materializzatosi in ipotesi di adozione della condotta conforme prescritta, il principio di affidamento e i suoi limiti, nonché la c.d. concretizzazione del rischio. Quest’ultima postula che l’evento pregiudizievole concretamente verificatosi rientri nel novero degli eventi che la regola a contenuto cautelare mirava a scongiurare.

Svolgimento del processo 

La Corte di appello di Bari ha riformato la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Foggia nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2 c.p., nel testo applicabile ratione temporis, rideterminando la pena detentiva in anni uno di reclusione e confermando la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.

La vicenda scaturisce da un incidente stradale con esito mortale.

L’incidente si era verificato all’interno di una strada provinciale a doppio senso di marcia, munita di due corsie prive di segnaletica orizzontale, ciascuna della larghezza ideale di circa 2,60 metri. Lungo entrambi i lati della carreggiata, inoltre, vi era una banchina erbosa non transitabile e il manto stradale presentava fessurazioni ramificate in più punti.

Mentre l’autovettura dell’imputato circolava all’interno della propria corsia di marcia, sopraggiungeva in direzione opposta un motociclista senza casco, il quale invadeva la corsia percorsa dall’imputato e andava incontro a uno scontro frontale dall’esito letale.

Va aggiunto che al momento dell’impatto, l’autoveicolo procedeva alla velocità consentita di 90 km/h, circolando all’interno della propria corsia, seppur leggermente in prossimità dell’ideale linea di mezzeria (la quale, tuttavia, non era segnalata da strisce bianche).

La Corte territoriale ravvisava un profilo di colpa specifica consistente nella violazione dell’art. 143 c.d.s., che impone di circolare sulla parte destra della carreggiata; inoltre, riteneva che la velocità con cui l’auto stava circolando, seppur nei limiti prescritti per la strada in questione, fosse da ritenere inadeguata alle circostanze di luogo e di tempo. A tal fine, in particolare, si evidenziava l’assenza di segnaletica e di illuminazione artificiale su quel tratto, la presenza di fessurazioni, l’orario serale e la stagione invernale: tutti profili indicativi, secondo il giudice di appello, della violazione degli artt. 140 e 141 c.d.s.

Ad avviso della Corte, pertanto, non era invocabile il principio di affidamento. Se l’imputato avesse ottemperato alla condotta prescritta dalle predette regole cautelari avrebbe potuto utilmente rendersi conto dell’impegno anomalo di corsia operato dall’altro conducente e, posizionandosi più a destra come la legge impone, avrebbe potuto scongiurare l’impatto.

La Corte d’appello di Bari, infine, riteneva che non potesse attribuirsi valenza causale esclusiva al comportamento della vittima – vale a dire, il mancato uso del casco protettivo – in considerazione del tipo di lesioni che avevano portato al decesso; i giudici di merito stimavano, quindi, un concorso di colpa in capo alla persona offesa pari al 50% e, in ragione della riscontrata corresponsabilità di questa, rideterminavano la sanzione applicata all’imputato.

Avverso la sentenza l’imputato, tramite il proprio difensore, ha presentato ricorso per Cassazione, articolando quattro motivi di impugnazione.

I primi due motivi, in particolare, esibiscono profili di particolare interesse.

Con il primo motivo, denunciava la violazione di legge in relazione all’art. 589, co. 1 e 2, c.p. e agli artt. 140 e 143 c.d.s., nonché la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui si era ritenuta sussistente la violazione dell’art. 143, co. 1, c.d.s. Più nel dettaglio, la Corte avrebbe interpretato in modo erroneo alcuni elementi, vale a dire che la strada percorsa aveva larghezza ridotta ed era priva di segnaletica oltre che di illuminazione; che il tratto di strada su cui era avvenuto il sinistro era rettilineo; e che la vettura dell’imputato viaggiava regolarmente nella propria corsia di pertinenza, rispettando i prescritti limiti di velocità: pertanto, tenuto conto della larghezza della corsia (pari a 2,60 metri) e dell’ingombro della vettura condotta dall’imputato (pari a complessivi 2 metri), il conducente avrebbe rispettato le prescrizioni imposte dall’art. 143 c.d.s., rimanendo nella propria corsia di pertinenza e mantenendo correttamente la destra.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduceva la violazione dell’art. 589, co. 1 e 2, c.p. e degli artt. 140 e 141 c.d.s., nonché la contraddittorietà o illogicità della motivazione con riferimento alla rilevanza della c.d. “condotta alternativa lecita”.

La stessa Corte territoriale aveva argomentato che, anche in presenza di una velocità inferiore, si sarebbe egualmente verificata la morte del ciclomotorista a seguito dell’impatto, ma che una velocità adeguata avrebbe comunque consentito all’imputato di avvistare l’altro mezzo (presumibilmente dotato di fari accesi) e di spostarsi verso destra, evitando l’impatto con la persona offesa.

Il ricorrente sosteneva, invece, che l’elemento attinente all’uso dei fari non era stato, di fatto, accertato e il ciclomotorista indossava un giubbino di colore grigio che non ne rendeva agevole l’avvistamento a distanza. Aggiungeva che nessun accertamento era stato, inoltre, operato in merito ai tempi di reazione dell’imputato al momento della percezione del pericolo: proprio l’assenza di tracce di frenata orientava nel senso di un’invasione della corsia repentina e, pertanto, non prevedibile.

Alla luce di tali elementi non vi erano circostanze concrete da cui desumere l’effettiva prevedibilità dell’evento: richiamando le regole in tema di limiti al principio di affidamento, il ricorrente riteneva che la collisione fosse avvenuta per colpa esclusiva del ciclomotorista, quale che fosse la ragione della sua manovra, le cui cause erano comunque state analiticamente vagliate dai consulenti della difesa.

Motivi della decisione

(…)

La Suprema Corte ha ritenuto fondati entrambi i motivi e ha, dunque, annullato con rinvio la pronuncia impugnata.

Il giudice di legittimità giunge a tali conclusioni attraverso una rigorosa e puntuale applicazione dei principi inerenti alla responsabilità colposa, con particolare riguardo alla necessità di verificare la c.d. concretizzazione del rischio, di ricostruire compiutamente la condotta alternativa diligente idonea a scongiurare l’evento, nonché di rispettare i limiti naturali del principio di affidamento.

Con riferimento al primo motivo, la Cassazione evidenzia come il giudice di seconde cure abbia applicato in modo astratto il precetto contenuto nell’art. 143 c.d.s., il quale impone che i veicoli circolino sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera, non calandolo nel contesto fattuale del caso di specie. In particolare, non si era considerato che luogo dell’incidente fosse una corsia di 2,60 metri, che il veicolo dell’imputato costituisse un ingombro pari a 2 metri e che a margine della strada vi fosse una banchina erbosa non transitabile.

Ad opinione della Cassazione, pertanto, la Corte territoriale non ha tenuto conto della più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’obbligo delineato dall’art. 143 c.d.s., ha la finalità di garantire un’andatura corretta e regolare nell’ambito della propria corsia di marcia, per la tutela del veicolo procedente e degli altri che la percorrono, e non già di evitare il rischio dell’improvvisa occupazione della corsia da parte di un veicolo proveniente dalla direzione opposta. Pertanto, anche qualora si accertasse l’inosservanza della suddetta regola cautelare, si dovrebbe comunque escludere la responsabilità del conducente per l’incidente dovuto ad invasione della corsia da parte di altro veicolo.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso, inerente alla c.d. causalità della colpa, la Corte territoriale, pur reputando che l’imputato stesse mantenendo, al momento della collisione, una velocità rispettosa dei limiti imposti in quel tratto di strada, ha comunque ravvisato una violazione del principio generale di cui all’art. 141, co. 1, c.d.s., a tenore del quale «è obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato e al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione». Secondo la Corte d’appello, infatti, l’evento sarebbe stato evitabile in presenza di una velocità più moderata e adeguata alle specifiche condizioni della strada.

La Cassazione sottolinea la contraddittorietà dell’apparato motivazionale della pronuncia impugnata nella parte in cui i giudici di appello, da un lato, riconoscono la non certezza del carattere salvifico della condotta alternativa prescritta dalla regola cautelare (ipotizzano, invero, che anche l’inferiore velocità di 70 km/h non avrebbe comunque, presumibilmente, scongiurato il carattere letale dell’urto) e, dall’altro lato, non individuano in modo compiuto la condotta alternativa lecita che l’automobilista avrebbe dovuto tenere.

Più nello specifico, il giudice di legittimità ha ricordato che l’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (c.d. comportamento alternativo lecito). Non può, invero, essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, secondo una verifica ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato, con valutazione che deve essere particolarmente rigorosa quando, come nel caso di specie, si assume la violazione di una regola cautelare di tipo “elastico” (Cass., Sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 7783, Montaguti, Rv. 266356).

Infine, la Corte di cassazione si sofferma sull’obbligo di effettuare manovre di emergenza volte a fronteggiare l’imprudenza altrui. Richiamando il proprio orientamento in materia (inter alia, Cass., Sez. IV, 20 febbraio 2018, n. 16096), la Suprema Corte ricorda che «in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, il conducente di un veicolo non può essere chiamato a rispondere delle conseguenze lesive di uno scontro per non avere posto in essere una determinata manovra elusiva, qualora si sia venuto a trovare in una situazione di pericolo improvvisa dovuta all’altrui condotta di guida illecita, non utilmente ed agevolmente percepibile, tenuto conto dei tempi di avvistamento, della repentinità della condotta del soggetto antagonista, dei concreti spazi di manovra e dei necessari tempi di reazione psicofisica».

La Corte territoriale aveva invece omesso di dar conto dei suddetti elementi di fatto in ordine all’effettiva percepibilità del pericolo e alla repentinità dell’altrui condotta, oltre che della sussistenza di un effettivo spazio di manovra per poter mettere in atto la manovra (in ipotesi) salvifica. In tal modo, la motivazione della sentenza impugnata aveva dato luogo a un’applicazione apodittica dei limiti al principio di affidamento.

Quest’ultimo – nel tema della responsabilità per sinistri stradali e in riferimento specifico alla regola cautelare rilevante nel caso in questione – comporta che l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle

condizioni ambientali, vada inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (inter alia, Cass., Sez. IV, 20 ottobre 2022, n. 4923, dep. 2023, Rv. 284093 Radzepi, Rv. 272479). E proprio in relazione all’elemento della “ragionevole prevedibilità”, la Cassazione ritiene che la Corte territoriale abbia spiegato una motivazione di carattere tautologico ritenendo, senza ulteriori specificazioni, che il comportamento del ciclomotorista potesse essere concretamente preventivabile da parte dell’imputato.

(…)

Dispositivo

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

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