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Cass. Civ., sez. lavoro, ud. 21 novembre 2023 (dep. 16 febbraio 2024), n. 4279

- 10 Aprile 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

L’assenza degli elementi tipici del mobbing non fa venir meno l’obbligo del datore di lavoro di verificare e prevenire delle situazioni lavorative che potrebbero recare danno alla salute dei lavoratori. Occorre valutare la responsabilità del datore di lavoro anche nel caso in cui abbia colposamente omesso l’impedimento della creazione di un ambiente di lavoro stressante, in quanto è suo dovere adottare tutte le misure per rimuovere tutti i comportamenti nocivi e quindi assicurare un ambiente di lavoro sano. 

Svolgimento del processo 

La ricorrente ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, con cui è stata confermata la decisione di primo grado del Tribunale della medesima città, rigettando la domanda volta all’ottenimento del risarcimento per danni patrimoniali e non patrimoniali subiti successivamente a comportamenti vessatori nei confronti della stessa da parte del personale del Ministero della Giustizia, presso cui prestava servizio come funzionario giudiziario.

Il ricorso si articola in tre motivi.

Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 437, comma 2, c.p.c. e dell’art. 345, ex 360, comma 1, n. 3 c.p.c..

Viene censurata la motivazione della Corte di Appello nella parte in cui si afferma che la ricorrente avrebbe dovuto indicare a declaratoria contrattuale e raffrontare alla stessa le mansion che le erano state assegnate, in modo tale che il Giudice avesse potuto rendersi conto dell’effettiva lamentata dequalificazione professionale.

Con il secondo motivo è stata invece denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e 2043 c.c., alla luce dei principi costituzionali di cui agli artt. 32 e 97, nonché riguardo le categorie giurisprudenziali del mobbing e dello straining.

Il terzo ed ultimo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 e 132 Cost, n. 4, c.p.c., ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.

Motivi della decisione

(…)

Il primo motivo è stato giudicato fondato dalla Corte di Cassazione. Il principio che è stato delineato dalla Corte territoriale potrebbe anche essere giudicato parzialmente corretto, in quanto è la parte che deve allegare e provare tutti gli elementi di fatto utili a fondamento della domanda, ma nel caso di specie aveva già depositato con ricorso introduttivo di primo grado anche il CCNL di riferimento, in cui sono ovviamente presenti tutte le declaratorie contrattuali riguardanti il livello di inquadramento di riferimento. La Corte d’Appello ha quindi errato nella parte in cui ha ammesso che la parte avrebbe addirittura dovuto effettuare il raffronto tra le mansioni affidatale e quelle che effettivamente doveva svolgere secondo il CCNL, in quanto dovere del giudice porre a raffronto tali dati.

Il secondo ed il terzo motivo sono invece volti a censurare il rigetto della domanda per il risarcimento del danno alla salute subito, a causa delle condotte degli altri dipendenti, con comportamenti qualificabili quali mobbing o straining, e sono stati trattati congiuntamente e giudicati fondati. La sentenza non si presta a censure nella parte in cui ha motivato l’accertamento negativo del mobbing lavorativo, che secondo la giurisprudenza è configurabile nel momento in cui ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una serie di comportamenti dannosi nell’ambito del rapporto di lavoro, dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima. Il giudice del merito ha errato nella parte in cui ha giudicato sufficiente escludere il mobbing per rigettare la domanda di risarcimento, nonostante la responsabilità del datore di lavoro per il pregiudizio sulla salute del lavoratore sia molto più ampio di quello tenuto in considerazione per il mobbing. Non si comprende come la Corte d’Appello abbia potuto rigettare la domanda di risarcimento del danno alla salute, affermando allo stesso tempo l’esistenza di un temporaneo aggravamento della malattia dovuto proprio all’ambiente di lavoro.

La Corte di Cassazione ha infatti più volte avuto modo di affermare che la l’assenza degli estremi del mobbing non fa venir meno la necessità di valutare e accertare la responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute dei lavoratori. È illegittimo che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il protrarsi di un ambiente stressante, considerando anche che ai sensi dell’articolo. 2087 c.c. onera il datore di lavoro alla prova di aver adottato tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Il ricorso è stato quindi accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze per decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità, tenendo sempre in considerazione i principi sull’onere della prova del lavoratore, sul dovere del giudice di porre a confronto i dati in sua conoscenza sulla situazione lavorativa della ricorrente. In caso di insussistenza dell’ipotesi di mobbing, il giudice dovrà comunque accertare se- in base ai fatti- possa sussistere la responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure per tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore.

(…)

Dispositivo

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, anche per decidere sulle spese legati del presente giudizio di legittimità.

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