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Cass. Pen., sez. IV, ud. 14 marzo 2024 (dep. 6 maggio 2024), n. 17679

- 28 Maggio 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Ai fini dell’integrazione dell’aggravante prevenzionistica di cui al comma terzo dell’art. 590, il criterio di concretizzazione del rischio impone che si sia violata una norma cautelare diretta a ridurre o azzerare il rischio specifico, derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa, di morte o lesioni in danno di lavoratori o di terzi esposti al medesimo rischio, nonché che l’evento poi verificatosi risulti concretizzazione del rischio che la norma violata mirava a impedire. Esclusivamente in tale evenienza i terzi sono assimilabili ai lavoratori, non anche nella diversa ipotesi in cui l’evento lesivo si sia verificato in mera occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa. Ancor prima, non figura nella nozione di luogo di lavoro una struttura destinata a meri fini ludici e utilizzata esclusivamente dai concorrenti di un programma televisivo e non anche dai lavoratori del medesimo programma presenti all’interno della struttura.

Svolgimento del processo 

Il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati in relazione al delitto di lesioni personali colpose, previa esclusione dell’aggravante prevista dal terzo comma dell’art. 590 c.p., in quanto estinto per intervenuta remissione di querela. I medesimi imputati sono stati altresì assolti in relazione agli altri capi di imputazione.

Con riferimento, in particolare, alla contestazione del reato di cui all’art. 590, comma terzo, c.p. ai prevenuti era contestato, in riferimento al disposto dell’art. 113 c.p., di avere, per colpa consistente in negligenza, imprudenza e imperizia nonché per violazione delle norme in tema di sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionato ad un lavoratore occasionale dello spettacolo televisivo lesioni personali gravissime. Questi, infatti, era intento ad espletare una specifica prova consistente nel salto da un rullo all’altro. Nel corso di quest’ultima, a causa di una superficie scivolosa della struttura, era caduto in un’intercapedine ricompresa tra due rulli precipitando verso il basso nella vasca sottostante, profonda solo 1,09 metri (quindi non sufficiente a garantire una caduta in sicurezza) e recante fondo rigido. Ne era derivato un impatto con il cranio contro il fondo della vasca con conseguente malattia insanabile del tipo tetraplegia post-trauma con paralisi totali degli arti superiori e inferiori.

La persona offesa era stata qualificata, nell’atto di esercizio dell’azione penale, come lavoratore occasionale dello spettacolo ai sensi dell’art. 1, comma 188, l. n. 296/2006: da qui la contestazione dell’aggravante contemplata dal comma terzo dell’art. 590 c.p.-

Il Tribunale aveva, tuttavia, giudicato errata la suddetta qualificazione, in quanto riferita a esibizioni musicali dal vivo in spettacoli o manifestazioni di intrattenimento o in celebrazioni popolari o folkloristiche effettuate da giovani fino ai diciotto anni di età, da studenti fino a venticinque o da soggetti titolari di pensione. Aveva altresì aggiunto che fosse non condivisibile equiparare il concorrente di una trasmissione televisiva alla figura del lavoratore e che l’incidente si era verificato non in un contesto lavorativo bensì ludico. Ne consegue che le regole cautelari violate non dovessero intendersi predisposte a tutela dei lavoratori coinvolti nella produzione della trasmissione televisiva ma solo dei concorrenti. Da qui, non venendo in considerazione il terzo comma dell’art. 590 c.p., la ritenuta estinzione del reato per intervenuta remissione di querela. Invero, l’applicazione dell’aggravante in parola dispiega effetti non solo sul trattamento sanzionatorio, inasprendolo, ma altresì rendendo il reato procedibile d’ufficio.

Avverso la detta sentenza il Procuratore della Repubblica ha presentato ricorso per cassazione, chiedendo annullamento con rinvio della pronuncia. Nel ricorso si deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 590, comma tre c.p. e agli artt. 18,22,23,28,36,37 e 69 d.lgs. n. 81/2008. Secondo quanto prospettato dal p.m., le norme in tema di prevenzione dei lavoratori devono intendersi volte a tutelare anche soggetti terzi che comunque si trovino all’interno dell’ambiente lavorativo. In tal senso si ritiene errato ritenere che la struttura adibita a scopo ludico non possa considerarsi luogo di lavoro, posto che al suo interno vengono espletate prestazioni lavorative.

Motivi della decisione

(…)

I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il ricorso. A tale conclusione sono giunti sulla base dei seguenti argomenti.

Secondo la Cassazione, il concetto di luogo lavorativo va identificato sulla scorta di un criterio di tipo funzionale e relazionale: è tale quello in cui si svolgono le prestazioni lavorative e si concretizzi quindi un rischio correlato all’esercizio dell’attività di impresa. All’interno di detto ambiente, il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza nei confronti di tutti i soggetti ivi presenti, indipendentemente dalla loro riconducibilità alla nozione delineata dall’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008.-

Pertanto, rientra nel novero della nozione di luogo di lavoro rilevante ai fini dell’operatività delle norme dettate dal d.lgs. n. 81/2008 ogni luogo di lavoro in cui sia svolta e gestita una qualsiasi attività che comporta prestazioni di lavoro. Non rilevano, invece, di per sé le finalità della struttura in cui si svolge e la possibilità di accedervi da parte di terzi.

Con particolare riguardo all’integrazione dell’aggravante menzionata dal terzo comma dell’art. 590 c.p., in base a una ormai consolidata giurisprudenza, è necessario, in attuazione del criterio di concretizzazione del rischio, che sia violata una norma cautelare diretta a ridurre o azzerare il rischio specifico, derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa, di morte o lesioni in danno di lavoratori o di terzi esposti al medesimo rischio, nonché che l’evento poi verificatosi risulti appunto concretizzazione del rischio che la norma violata mirava a impedire. Esclusivamente in tale evenienza i terzi sono assimilabili ai lavoratori, non anche nella diversa ipotesi in cui l’evento lesivo si sia verificato in mera occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa.

Specifica ulteriormente la Corte che le norme prevenzionali sono emanate nell’interesse di tutti, inclusi gli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo. Ne discende che in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessaria e sufficiente l’esistenza di un nesso causale tra siffatta violazione e l’evento dannoso (da accertarsi secondo i principi dettati dagli arti. 40 e 41 c.p.).

Venendo ora allo specifico caso da cui è originato il ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto corretti i principi affermati dal tribunale.

Più nel dettaglio, l’ambiente luogo dell’infortunio non può ritenersi un “luogo lavorativo” in ragione della destinazione ludica della struttura, finalizzata in via esclusiva ad essere utilizzata dai concorrenti e non anche dai lavoratori presenti all’interno della struttura. Il rischio verificatosi non è dunque espressione di un rischio lavorativo, in quanto non correlato all’attività di impresa ed essendo la struttura collocata in uno spazio non destinato all’attività lavorativa.

Ne consegue la corretta esclusione della contestata aggravante ad effetto speciale e l’intervenuta estinzione del reato per effetto della rimessione di querela.

(…)

Dispositivo

Rigetta il ricorso.

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