SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
La Sezione Prima civile, in tema di responsabilità da diffamazione a mezzo stampa, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza – sulla quale ha dato atto della sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza civile e penale – concernente il rilievo da assegnare, ai fini della ricorrenza della diffamazione o della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, alla circostanza che al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa sia stata attribuita, direttamente o indirettamente (anche mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche) la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato.
Svolgimento del processo
Con la sentenza n. 8789/2016, il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda proposta da A.D. nei confronti di D.L., quale giornalista redattore di un articolo pubblicato sul settimanale l’Espresso, in quanto riteneva che fosse stato diffamato dal giornalista stesso a causa di informazioni non veritiere riportare nell’articolo in questione, in cui veniva indicato il capo di imputazione per truffa invece che per tentata truffa, reato per il quale A.D., ai tempi, era indagato. Veniva quindi lamentata una lesione del diritto all’onore, reputazione e immagine ed aveva chiesto la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni non patrimoniali, nonché la condanna per il giornalista al pagamento di pagare un’ulteriore somma a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 l. 47 /1948 e che fosse disposta la pubblicazione per estratto della sentenza ex art. 120 c.p.c.. Il giudice non aveva però ritenuto l’articolo diffamatorio, ravvisando il suo contenuto rispondente alla realtà, considerando il coinvolgimento del ricorrente alle attività di cui si scriveva.
La Corte D’Appello di Roma, con la sentenza n. 6470/2022 ha invece ravvisato la condotta diffamatoria, affermando che «La falsità dell’addebito non può ritenersi sfumata e assorbita dall’essere effettivamente l’appellante indagato per un altro episodio meramente tentato […]» , determinando il risarcimento a carico degli appellati.
Contro tale decisione gli odierni ricorrenti hanno proposto ricorso con quattro differenti motivi, richiedendo la cassazione della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
(…)
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 21 Cost., 2043 cod.civ., 51 e 595 cod.pen. e 11 legge 8 febbraio 1948 n. 47), con riferimento ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di diffamazione a mezzo stampa. Essi ritengono che sia stata negata l’esimente del diritto di cronaca, nonché l’errata applicazione da parte della Corte D’Appello dei principi giurisprudenziali riguardanti la marginalità dell’errore, considerando le sole inesattezze riportate nell’articolo, e non un vero e proprio intento diffamatorio con calunnie.
Con il secondo motivo i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 cod.civ. laddove la Corte di Appello ha ritenuto provata la sussistenza del danno non patrimoniale in via presuntiva in carenza di ogni allegazione avversaria, senza avere svolto una preventiva valutazione circa la sussistenza di un nesso di causalità effettivamente immediato e diretto tra il danno non patrimoniale lamentato e l’articolo contestato.
Con il terzo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 legge n. 47/1948. Il ricorrente sostiene, sulla scorta delle argomentazioni svolte con il primo motivo, che l’articolo in parola era pienamente corretto, e che, a seguito dell’accoglimento di tale motivo, anche la condanna alla sanzione pecuniaria dovrebbe essere caducata.
Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 120 cod.proc.civ., laddove la Corte di Appello ha accolto la domanda di pubblicazione della sentenza. I ricorrenti chiedono l’accoglimento del motivo in diretta conseguenza dell’accoglimento delle precedenti censure.
Il Collegio ha ritenuto che la questione, per i motivi suesposti, dovesse essere rimessa alla Prima Presidente, per una eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto in tal senso pare esservi un contrasto interpretativo tra le sezioni civili e quelle penali. Considerando anche che l’esercizio del diritto all’informazione risulta essere una questione di fondamentale importanza.
Secondo molte pronunce in tema di responsabilità civile per diffamazione, l’esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo nel momento in cui viene esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo quando sia riportata la verità oggettiva della notizia sicché, secondo la distribuzione degli oneri probatori disciplinata dall’art. 2697 cod.civ., una volta provato dall’attore, che assume di essere stato leso da una notizia di stampa, il fatto della pubblicazione diffamatoria, spetterà al convenuto dimostrare, a fondamento dell’eccezione di esercizio del diritto di cronaca e della sussistenza della relativa esimente, la verità della notizia, anche in termini di verità putativa.
Orbene, il giornalista può anche narrare un fatto che sia non propriamente vero negli aspetti generali, o meglio inesatto, purchè ciò non leda l’altrui reputazione.
Nonostante la coerenza tra i principi espressi in materia penale e quella civile, nel caso preso in esame sono stati ravvisati dei punti di divergenza significativi, riguardo il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita direttamente o indirettamente — mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche — la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato. In tema di cronaca giudiziaria, infatti, la sentenza n. 15093/2020 della Cassazione Penale afferma che non integra diffamazione a mezzo stampa la divulgazione di una notizia che erroneamente afferma che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, in quanto questo costituisce una mera inesattezza. al contrario, secondo la Corte non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell’erronea notizia a
termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice.
Tale impostazione pare in contrasto con quanto espresso dalle sentenze in merito di stampo civile, e anche da quei principi secondo i quali è configurabile reato di diffamazione a mezzo stampa il caso in cui un organo di stampa abbia diffuso la falsa notizia del coinvolgimento dell’indagato in un procedimento in quanto destinatario di una informazione di garanzia, laddove lo stesso era stata solo iscritto, nella qualità di indagato, nel registro della notizia di reato.
Per questi motivi, considerando le incongruenze rilevate, il Collegio ha deciso di rimettere gli atti alla Prima Presidente, affinché valuti l’opportunità di investire le Sezioni Unite sulla questione che riguarda il rielevo che assume, ai fini della diffamazione e della scriminane dell’esercizio del diritto di cronaca la circostanza che al soggetto leso dall’articolo sia stata attribuita la qualità di imputato anziché di indagato e la commissione di un reato invece che di un tentativo di reato.
(…)
Dispositivo
La Corte Dispone la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite.