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Il vizio di motivazione nei provvedimenti “de libertate” è rilevabile esclusivamente se in-cide sui requisiti minimi di esistenza e di logicità – Cass. Pen. Sez. III, 24 settembre 2025, n. 31853

- 10 Novembre 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

In tema di provvedimento “de libertate”, qualora venga denunciato il vizio di motivazione di un’ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e), e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità. Pertanto, in sede di giudizio di legittimità, sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione.

Il fatto 

Il processo penale da cui origina la presente sentenza nasce a seguito della denuncia presentata.

Ivi, rappresentava di aver subito delle violenze fisiche da parte suo fidanzato, perpetrate altresì con l’uso di una tracolla rotta come una frusta, la cui ira veniva suscitata dall’averlo chiamato con il nome del precedente compagno.

In sede di SIT, precisava, poi, di aver subito frequentemente episodi maltrattanti, i quali caratterizzavano l’intera durata della relazione.

Successivamente, dichiarava di non voler più sporgere querela e, pertanto, rimetteva la stessa.

Il GIP presso il Tribunale applicava all’indagato la misura cautelare prevista dall’art. 284 c.p.p. in relazione ai delitti di cui agli artt. 612 bis c.p., commi 1 e 2 e ultimo; 582 e 585, anche in relazione agli artt. 576, n. 5.1 e 577, comma 2, c.p.; e 81, comma 2, 609 bis, comma 1, c.p.

In sede di riesame, il Tribunale della Libertà accoglieva l’istanza proposta dal prefato e ne disponeva l’immediata liberazione.

Le allegazioni difensive – nella specie, videochiamate; screenshot di chat Whatsapp tra le parti, anche in costanza di misura cautelare – nonché la condotta della denunciante, determinavano il Tribunale del Riesame a ricostruire diversamente gli accadimenti. Invero, si rilevava – in primo luogo – che era stata proprio la presunta vittima a recarsi alla residenza dell’indagato e che, quest’ultimo, non voleva accoglierla in casa sua; in secondo, intimamente connesso al primo punto, emergeva come la p.o. non era un soggetto sopraffatto dal comportamento autoritario dell’indagato, ma essa stessa teneva atteggiamenti di “sfida” nei suoi confronti; in ultimo, veniva ritenuta determinante, al fine di escludere la credibilità della denunciante, la volontà della stessa di rimettere la querela.

Per questi motivi, il Tribunale della Libertà di Catania emanava il provvedimento di cui sopra.

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale proponeva ricorso per Cassazione, allegando un solo motivo ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p.

Veniva individuata la violazione di legge in relazione agli artt. 192, comma 1; 309, comma 9 e 292, lett. c), c.p.p., per mancanza di motivazione circa il valore da attribuire a prove acquisite al procedimento ed utili a comprovare l’attendibilità della parte offesa, ossia diversi fotogrammi ritraenti le lesioni riportate il giorno 14.11.2024, le chiamate ricevute e messaggi minatori via ricevuti sull’app di messaggistica “Whatsapp”; in relazione agli artt. 582, comma 2, e 585, comma 1, in relazione all’art. 576 comma 1, n. 5.1) c.p. e 585, comma 2, n. 2, c.p., siccome non veniva riconosciuta la procedibilità di ufficio per essere stata erroneamente negata l’aggravante dell’uso di arma impropria, laddove il reato di lesioni sarebbe, comunque, perseguibile di ufficio perché commesso in occasione del reato di cui all’art. 612-bis c.p., anche in caso di intervenuta remissione di querela.

La decisione

Il ricorso risultava fondato.

In via preliminare, la Terza Sezione ribadiva, in conformità con le SS. UU. De Lorenzo del 1994, che il controllo di legittimità sui provvedimenti “de libertate” non è diverso da quello consentito in generale dall’art. 606, lett. e), c.p.p.

Gli Ermellini, nella sede, ribadivano che qualora venga proposto ricorso per Cassazione avverso un provvedimento emesso dal Tribunale del riesame, denunciandone vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta alla Corte di Cassazione verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Quindi, per essere rilevato un vizio in punto di motivazione, questo deve riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità.

Pertanto, non sono consentite valutazioni alternative dei medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, perché questo costituirebbe un esame del merito non consentito in sede di legittimità.

La Corte di Cassazione, quindi, sintetizzava i principi di diritto distillata dalla giurisprudenza maggioritaria: a) l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione è limitato alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza doverne saggiare l’adeguatezza; b) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione.

Tanto premesso in ordine generale, i Giudici di Piazza Cavour ritenevano poco coerente le osservazioni svolte in ordine alla credibilità della persona offesa, ignorando la comparazione del suo narrato con l’intera piattaforma indiziaria. Rimettendo al giudice di merito del rinvio l’approfondimento di tali questioni.

Fondata in diritto era, poi, la censura relativa all’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione al regime di procedibilità del delitto di lesioni.

Invero, nel caso di specie, il capo d’imputazione era relativo a delle lesioni aggravate ai sensi dell’art. 585, in relazione agli artt. 576, n. 5.1. (essendo contestata l’azione come posta in essere dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa), 577, comma 2, c.p. (essendo contestata l’azione come posta in essere contro […] la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate), nonché dal comma 2 dell’art. 585, essendo stata usata una tracolla per offendere.

A tal proposito, l’uso di un’arma – quandanche impropria – comporta il mutamente della procedibilità ufficiosa. Per arma impropria s’intende qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, che sia in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, giacché il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma.

Pertanto, proprio la presenza della tracolla rendeva, pertanto, le lesioni procedibili d’ufficio.

A tutto voler concedere, veniva contestata altresì l’aggravante di cui all’art. 576, n. 5.1, la quale si integra a prescindere che la querela per il reato di atti persecutori sia stata o meno rimessa.

La ratio di tale percorso logico è sottrarre al potere dispositivo della persona offesa la procedibilità penale in relazione a reati di particolare gravità, come quello di lesione personale commessa in danno della stessa persona vittima del reato di cui all’art. 612 bisc.p.

Tutto quanto rilevato, l’ordinanza impugnata doveva essere annullata con rinvio.

Conclusioni

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale.

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