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La genitorialità condivisa, al di fuori di un rapporto di coniugio o di convivenza, non può costituire, da sola, il presupposto per ritenere sussistente un rapporto “familiare” rilevan-te ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 572 cod. pen. – Cass. Pen. Sez. III, 12 maggio 2025, n. 17852

- 21 Luglio 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

La mera genitorialità condivisa, al di fuori di un rapporto di coniugio o di convivenza, non può costituire, da sola, il presupposto per ritenere sussistente un rapporto “familiare” rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 572 cod. pen., in quanto gli obblighi di formazione e mantenimento dei figli previsti dall’art. 337-ter, cod. civ. a carico dei genitori non determinano un rapporto reciproco fra questi ultimi, essendo il loro comune figlio l’unico soggetto da essi interessato.

Il fatto 

Il Tribunale condannava l’imputato per i delitti di cui agli artt. 612 bis (capo A); 572 (capo B) e 635, comma 2 (capo C), cod. pen.

Nel giudizio di gravame, la Corte d’Appello di dichiarava non doversi procedere per il delitto di cui all’art. 635 cod. pen. per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena, assorbendo il reato di cui al capo a) nel delitto di cui al capo b). Confermava, nel resto, la sentenza.

Avverso la sentenza di gravame l’imputato, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione.

Il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 606, lett. d) cod. proc. pen., lamentava la mancata assunzione di una prova decisiva e difetto di motivazione perché la Corte d’Appello non accoglieva la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, rilevante al fine di valutare l’attendibilità dei testi.

Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., si denunciava la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione all’assorbimento di atti persecutori in quello di maltrattamenti in famiglia.

Infine, lamentava il difetto di motivazione in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

La decisione

Il primo motivo di ricorso era infondato.

Per giurisprudenza consolidata, l’acquisizione di una prova documentale in secondo grado può avvenire soltanto se la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio già acquisito.

Il motivo veniva rigettato perché i mezzi di prova indicati non erano idonei a scardinare il l’impianto dimostrativo formato nel corso del primo grado di giudizio.

D’altro canto il secondo motivo veniva ritenuto fondato.

Dalla motivazione del Giudice di prime cure emergeva che l’imputato e la persona offesa dal reato, avevano sì intrapreso una relazione sentimentale, avviando anche una convivenza – di circa un anno – dopo la nascita del figlio dei due, ma senza unirsi nel vincolo matrimoniale.

Vista la presenza di due segmenti temporali, uno in cui era individuabile un rapporto di convivenza, un altro in cui quest’ultimo era venuto meno, il Tribunale riteneva responsabile l’imputato colpevole sia del reato di maltrattamenti sia del reato di atti persecutori.

La Corte d’Appello, tuttavia, dissentiva con tale percorso logico-giuridico, rideterminando la pena ritenendo il delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen. assorbito in quello di cui all’art. 572 cod. pen.

A tal proposito, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione affermava che i concetti di “famiglia” e di “convivenza” devono essere intesi in senso ristretto, ossia di comunità connotata da una stabile relazione affettiva, contraddistinta dalla duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di solidarietà e assistenza,

«sicché può configurarsi l’ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all’art. 612-bis, comma 2, cod. pen., e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall’imputato dopo la cessazione della convivenza “more uxorio” con la persona offesa»[1].

Ancora, l’argomento della genitorialità condivisa al di fuori del rapporto di coniugio o di convivenza, al fine di affermare il suddetto assorbimento, è inconsistente.

Gli obblighi ricadenti sul padre e sulla madre non possono costituire di per sé il presupposto per ritenere sussistente un rapporto “familiare” rilevante ai fini della configurabilità del reato, in quanto gli obblighi di formazione e mantenimento dei figli previsti dall’art. 337-ter, cod. civ. a carico dei genitori non determinano un rapporto reciproco fra questi ultimi, essendo il loro comune figlio l’unico soggetto da essi interessato.

Conclusioni

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello.

[1] Cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 31390/2023

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