
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
La condotta susseguente al reato, per essere valutata negativamente ai fini dell’applicazione della non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., deve incidere effettivamente sull’offesa, aggravandola, mentre dovranno ritenersi inconferenti rispetto al giudizio sull’entità dell’offesa comportamenti successivi che si limitino a manifestare la capacità a delinquere.
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza del 16/02/2023 ha confermato la decisione resa dal giudice di prime cure, con la quale OMISSIS veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 850,00 di multa, essendosi reso responsabile dei reati di detenzione a fine di cessione di stupefacenti (di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990) e porto ingiustificato di un coltello (di cui all’art. 4 I. 110/1975).
Avverso la suindicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, argomentando le proprie censure mediante la formulazione di due motivi.
Con il primo, la difesa deduceva un’ erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale erroneamente qualificato la finalità della detenzione della sostanza come fine di cessione a terzi e non come consumo per uso personale, valorizzando in tal senso indici meramente presuntivi ed ipotetici.
La Corte d’ Appello, pur avendo qualificato il dato quantitativo rinvenuto come “modesto” (ca. 0,25 gr. di principio attivo), ha escluso che l’imputato avesse acquistato la sostanza per consumo personale, alla luce di una valutazione complessiva, con esito negativo per il reo, circa le concrete modalità e circostanze con le quali il fatto contestato veniva realizzato.
Col secondo motivo, si deduceva un’ ulteriore violazione di legge, con conseguente vizio di motivazione della sentenza sul punto, per la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. I giudici di merito non avevano riconosciuto la suddetta causa di non punibilità, ritenendone inibita l’applicabilità poiché la condotta risultava connotata dal carattere dell’abitualità. Tale giudizio era il frutto di una valutazione in cui erano state valorizzate le condanne subite dall’imputato per fatti analoghi, che, tuttavia, erano state pronunciate in relazione a fatti commessi successivamente a quello per cui si procedeva.
La difesa ha posto a fondamento della propria doglianza, l’erronea valutazione ad opera della Corte D’Appello in merito all’individuazione degli elementi da considerare ai fini della concessione del beneficio della non punibilità, avendo la stessa incentrato la valutazione esclusivamente sulla gravità del fatto, disobbedendo agli insegnamenti offerti dalla giurisprudenza di legittimità in materia che impongono invece, una valutazione di più ampio respiro, comprendente tutti gli elementi e le peculiarità del caso concreto.
La Corte avrebbe erroneamente escluso dalla valutazione gli indicatori positivi per la posizione del reo, come ad esempio la sua incensuratezza al momento del fatto.
Motivi della decisione
(…)
Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:
– con riferimento al primo motivo di gravame, esso è stato considerato come generico e manifestamente infondato.
La Corte ha condiviso e confermato la qualificazione giuridica del fatto prospettata dai giudici di merito, nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, escludendo l’ipotesi di detenzione per uso personale.
Partendo dall’assunto che la quantità materiale rinvenuta viene effettivamente considerata modesta, il Supremo Collegio evidenzia che tuttavia, vi sono una serie di indicatori che la Corte D’Appello ha correttamente posto a fondamento della propria decisione, dai quali non risulta possibile la sussunzione del fatto nell’ipotesi di acquisto destinato al consumo personale.
Specificamente, nel caso di specie rinveniva: un frazionamento della sostanza in cinque dosi e la disponibilità della somma dieuro 400,00, in danaro contante, considerata quale provento di spaccio pregresso non avendone l’imputato dimostrato altra legittima provenienza. Alla luce del compendio probatorio la ricostruzione circa le circostanze e le modalità con le quali il fatto veniva commesso – l’imputato, era stato controllato nel parcheggio di un supermercato mentre si trovava in compagnia di altri due connazionali, e, al momento del controllo, aveva lasciato cadere un pacchetto di sigarette nel quale si trovava lo stupefacente, suddiviso in cinque dosi non permette di sostenere l’ipotesi che l’imputato si trovasse nel luogo, in cui era stato controllato, per acquistare droga destinata al consumo personale.
La Suprema Corte nell’argomentare la motivazione su tale punto, ha evidenziato che nei giudizi pendenti in sede di legittimità, resta preclusa al giudice procedente l’attività finalizzata ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata.
– con riferimento al secondo motivo, che costituisce il cuore della sentenza di cui in commento, la Corte ha provveduto ad una chiarificazione in merito alle condizioni di applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis pen., producendo una decisione che condivide le doglianze del ricorrente.
La Corte riprendendo un principio già affermato nella casistica giurisprudenziale, (Sez. 3, n. 2216 del 22/11/2019, Anzaldi, Rv. 278391), afferma l’irrilevanza delle condotte assunte dall’imputato posteriormente alla commissione del reato ai fini della valutazione circa la condizione di non abitualità della condotta, alla luce della premessa per cui la norma de qua associa l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esso desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da valutare alla stregua dei soli profili di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. e non quelli di cui al comma 2, come indici della capacità a delinquere dell’agente.
Sancita tale premessa, la Suprema Corte invita a ricordare che dall’entrata in vigore del d.lgs 150/2022, avvenuta in data 31.12.2022, il criterio della condotta susseguente al reato viene posto tra gli indici da valutare per la tenuità dell’offesa.
La Corte sul punto, richiama alcune pronunce rese all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, in cui si evidenziava che la condotta successiva alla commissione del reato costituisca un parametro da valutare nel giudizio in merito alla sussistenza delle condizioni per applicabilità dell’esimente, ma rilevando ai fini della valutazione sull’entità del danno oppure come indicatore di un’intensità dell’elemento soggettivo. (Sez. 3, n. 20279 del 21/03/2023, Malgrati, Rv. 284617; Sez. 3, n. 18029 del 04/04/2023, Hu Qinglian, Rv. 284497; SS.UU., n. 18891 del 27/01/2022,
Ubaldi, Rv, 283064). Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ritiene che, nell’ambito dei parametri che congiuntamente il giudice di merito deve esaminare ai fini del giudizio di particolare tenuità dell’offesa, la condotta susseguente al reato non viene in considerazione come indice della capacità a delinquere dell’agente, bensì quale criterio che, nell’ambito di un complessivo giudizio, può incidere sulla valutazione del grado dell’offesa al bene giuridico tutelato, concorrendo a delineare un’offesa di particolare tenuità.
Le condotte post delictum, possono dunque essere valorizzate in seno alla globale valutazione dell’entità dell’offesa qualora esse incidano sul disvalore oggettivo del fatto per cui si procede.
In sintesi, è possibile affermare che, secondo il Collegio, la condotta susseguente al reato per essere valutata nell’ambito dell’art. 131 bis c.p., deve incidere sul disvalore oggettivo del fatto, di contro, saranno superflue rispetto al giudizio sull’entità dell’offesa comportamenti successivi che si limitino a manifestare la capacità a delinquere dell’agente. al bene che la norma intende tutelare. complessiva in merito ai parametri non viene in considerazione come indice della capacità a delinquere dell’agente.
Ed infatti, nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha imposto una rivalutazione in merito alle condizioni di applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
(…)
Dispositivo
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., rinviando per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.