
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
È costituzionalmente illegittimo – in riferimento all’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU – l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 297 del 2004, limitatamente al primo periodo, nella parte in cui prevede l’applicazione di una sanzione amministrati-va pecuniaria “di euro cinquantamila” anziché “da un minimo di diecimila a un massimo di cinquantamila euro” per le inadempienze delle strutture di controllo delle produzioni agroalimentari registrate con denominazione di origine o indicazione geografica protetta (DOP o IGP), poiché l’equiparazione delle condotte più gravi e pericolose a quelle di minor rilievo, con la previsione per tutte di una sanzione in misura fissa, contrasta con il principio di proporzionalità delle sanzioni.
Svolgimento del processo
Con ordinanza pervenuta l’8 aprile 2022 (reg. ord. n. 43 del 2022), la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante «Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari», in riferimento all’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il giudice a quo premette che all’Istituto nord est qualità (INEQ), al tempo l’organismo di controllo della qualità delle produzioni di Prosciutto di San Daniele, denominazione di origine protetta (DOP), è stata applicata, con provvedimento ministeriale, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila, in forza dell’art. 4 censurato, che prevede: «[a]lla struttura di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che non adempie alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorità pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di euro cinquantamila». L’INEQ si è opposto alla sanzione, dinanzi al competente tribunale, adducendo l’insussistenza delle tre violazioni contestate: 1) avere omesso di rilevare che un’azienda agricola aveva rettificato un’annotazione sulla certificazione unitaria di conformità, utilizzando modalità diverse da quelle prescritte dal «manuale 1»; 2) avere omesso di rilevare l’errore del produttore che mancava di registrare cosce di suino introdotte per la lavorazione, violando regole impartite nel «manuale 2»; 3) non avere debitamente sottoscritto per presa visione il registro di un produttore, contravvenendo, ancora, a una regola del «manuale 2». Adduceva, inoltre, il carattere eccessivo della sanzione fissa.
Il tribunale ha rigettato l’opposizione e anche la Corte d’appello di Venezia, adita da INEQ, ha disatteso l’impugnazione. La medesima Corte, nel confermare le decisioni sul merito della controversia, si è, inoltre, pronunciata sulla manifesta infondatezza dell’eccezione di parte sulla illegittimità costituzionale della norma sanzionatoria, in riferimento all’art. 3 Cost.
Nel ricorso per cassazione, l’INEQ ha proposto quattro motivi. Nei primi tre, ha denunciato l’erronea applicazione delle regole dei manuali sul controllo della qualità, da cui sarebbe scaturita l’ingiusta contestazione delle violazioni; nel quarto motivo, ha dedotto l’applicazione di un ragionamento «eccessivamente schematico» da parte dei giudici di merito, i quali – sulla scorta della «vincolatività» dei manuali – non si sarebbero soffermati a discernere quali condotte possano configurare un inadempimento alle prescrizioni e agli obblighi tanto grave da essere punito secondo la previsione dell’art. 4 del d.lgs. n. 297 del 2004.
(…)
Il giudice a quo ritiene che (…) l’entità della sanzione sarebbe di notevole rilievo, «anche a volerla rapportare a capacità economica non modesta», e il ventaglio delle condotte sanzionate sarebbe vasto, punendo la previsione l’inadempimento «alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorità pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta».
Motivi della decisione
(…)
Le questioni sarebbero rilevanti, visto che l’oggetto del giudizio principale verte sulla corretta applicazione della norma censurata: non sarebbe, dunque, possibile pronunciarsi indipendentemente dalla risoluzione dell’incidente di legittimità costituzionale. Le censure sarebbero, inoltre, non manifestamente infondate; la giurisprudenza di questa Corte avrebbe, difatti, stabilito la necessità che le sanzioni fisse rispondano al principio di proporzionalità. Sussisterebbero, in particolare, gli stessi vizi rilevati nella sentenza n. 185 del 2021, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma che puniva l’inosservanza di taluni obblighi informativi sui rischi connessi al gioco d’azzardo con sanzione amministrativa pari a euro cinquantamila, riscontrando la violazione dell’art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
Anzitutto, il d.lgs. n. 297 del 2004, che contiene la norma censurata, è stato adottato, in attuazione della delega di cui all’art. 3 della legge 3 febbraio 2003, n. 14 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2002), per stabilire le sanzioni legate alla violazione delle norme del regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 2081/92, del 14 luglio 1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, poi modificato con il passare del tempo: oggi la disciplina è contenuta nel regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. (…) Per utilizzare il nome, si deve osservare il disciplinare di produzione relativo allo specifico prodotto (art. 7). E, proprio al fine di assicurare il corretto sfruttamento delle potenzialità evocative legate all’uso di DOP e IGP, oltre che la stessa qualità di tali prodotti agroalimentari, è previsto che autorità pubbliche, designate dagli Stati membri, effettuino accurati controlli. Viene, in proposito, in rilievo il regolamento (UE) n. 625/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari. (…).
Lo stesso regolamento prevede, inoltre, che «[g]li Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento e adottano tutte le misure necessarie ad assicurare la loro attuazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive» (così, l’art. 139).
(…)
In Italia la responsabilità dei controlli in questione compete al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste vigila sulla regolarità dei controlli, verificando l’attività svolta dagli organismi autorizzati, e commina le sanzioni conseguenti la violazione delle procedure, compresa quella prevista nella disposizione censurata. Gli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 297 del 2004 prevedono sanzioni amministrative pecuniarie, graduabili entro un minimo e un massimo, per i produttori di DOP e IGP che facciano un uso commerciale scorretto delle denominazioni protette. Sono, infatti, puniti comportamenti come il mancato assoggettamento al controllo, la violazione della disciplina di produzione, l’imitazione o contraffazione della denominazione nella presentazione del prodotto. È, inoltre, prevista l’inibizione all’uso della denominazione o l’inibizione del comportamento sanzionato, la cui inosservanza comporta l’applicabilità di una sanzione fissa di euro cinquantamila (art. 7). Gli artt. 4 e 6 stabiliscono le sanzioni applicabili agli organismi di controllo e ai consorzi di tutela che compiano condotte non lecite; si tratta di sanzioni stabilite in misura fissa.
(…)
Un sistema parallelo a quello che tutela le DOP è previsto per le produzioni da agricoltura biologica: da ultimo, regolamento (UE) n. 848/2018 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici.
La norma in esame prevede che ogni inadempienza alle prescrizioni o agli obblighi impartiti dalle competenti autorità pubbliche agli organismi di controllo delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario, è punita con la sanzione amministrativa fissa di euro cinquantamila. La gamma di condotte riconducibili alla medesima fattispecie sanzionatoria è quanto mai vasta (…), considerato che l’esecuzione dei controlli è regolata, per ciascuna produzione protetta, da «manuali», che contengono indicazioni della natura più diversa (…). La previsione in esame, in definitiva, equipara le condotte più gravi e pericolose a quelle di minor rilievo, stabilendo per tutte una sanzione in misura fissa. Ciò è in aperto contrasto con il principio di proporzionalità delle sanzioni.
Con riferimento alle sanzioni penali, le «previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in linea con il “volto costituzionale” del sistema penale», potendo il dubbio di illegittimità costituzionale essere superato solo «a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (sentenze n. 222 del 2018 e, nello stesso senso, n. 50 del 1980).
Tali affermazioni valgono anche in materia di sanzioni amministrative (…).
Pure «per le sanzioni amministrative si prospetta, dunque, l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato» (sentenza n. 185 del 2021).
La sanzione, tuttavia, non può, in questa occasione, essere eliminata puramente e semplicemente, per effetto della pronuncia di accoglimento. La rimozione del vulnus costituzionale deve, quindi, passare attraverso la sostituzione della sanzione censurata con altra conforme a Costituzione, secondo la regola che discende dalla già evocata e costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 40 del 2019, … e n. 236 del 2016).
Si deve, perciò, ritenere ragionevole che le violazioni più gravi siano punite con la sanzione pecuniaria di cinquantamila euro, nel rispetto della scelta legislativa originaria, dovendosi, al contempo, individuare la forbice edittale entro cui commisurare la sanzione. Occorre, dunque, attingere a «precisi punti di riferimento», nel tessuto normativo, per fissare il minimo edittale.
La soluzione è offerta, nella specie, dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 20 del 2018, che punisce con sanzione graduabile le violazioni degli organismi di controllo sui prodotti BIO. Esso prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di diecimila (e sino ad un massimo di trentamila euro) all’organismo di controllo che commetta illeciti nello svolgimento delle attività delegate.
La misura sanzionatoria indicata s’intende naturalmente modificabile dal legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, con altra, purché rispettosa del principio di proporzionalità.
(…)
Dispositivo
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, recante «Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari», nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa pecuniaria «di euro cinquantamila», anziché «da un minimo di diecimila a un massimo di cinquantamila euro».