
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Secondo l’attuale disciplina dell’adozione piena, il giudice-valutato il preminente interesse del minore-ha la possibilità di decidere che vengano mantenute relazioni di tipo socio-affettivo con i componenti della famiglia di origine dell’adottato. Infatti, la cessazione dei rapporti giuridici stabilita dall’articolo 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 non comporta una cessazione in termini assoluti altresì delle relazioni sociali, in quanto il loro mantenimento potrebbe comunque realizzare il best interest del minore.
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 5 Gennaio 2023, la prima sezione civile della Corte di Cassazione aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 27, terzo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 nella parte in cui veniva esclusa la valutazione concreta del preminente interesse del minore a mantenere dei rapporti con i componenti della famiglia di origine, in violazione degli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, agli artt. 3, 20, comma 3, e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, nonché all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La Corte di Appello di Milano aveva constatato lo stato di abbandono dei minori R.Z.S. e A.Z.S, dichiarando la loro adottabilità, con la possibilità di conservare delle relazioni con la nonna materna e alcuni familiari dal lato paterno, con incontri stabiliti dai servizi territoriali al fine di tutelare al massimo i bambini. Contro tale sentenza aveva proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano, chiedendo di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 27, comma 3, l. 184/1983 qualora l’assolutezza del divieto fosse stata ritenuta insuperabile. Secondo il giudice a quo, il suddetto articolo lasciava poco spazio ad interpretazione costituzionalmente orientata, non potendosi quindi effettuare una valutazione concreta dell’interesse del minore a mantenere dei rapporti sociali con la famiglia di origine.
Il 6 Marzo 2023 si costituiscono quindi in giudizio i minori, rappresentati da un tutore provvisorio. Secondo la loro difesa: «il principio costituzionale del miglior interesse del minore non ama gli automatismi legislativi, e anzi è ontologicamente incompatibile con soluzioni legislative rigide». Inoltre- a detta della difesa- secondo il principio personalista la persona è da intendersi quale “uomo sociale”, la cui realizzazione è strettamente collegata alle relazioni che intrattiene con gli altri, richiamando altresì la sentenza della Corte Costituzionale n.79/2022 secondo la quale le relazioni parentali concorrono alla costruzione dell’identità del minore.
Il ricorrente lamenta principalmente che la norma censurata non consentirebbe di mettere in campo tutte le energie affettive e relazionali che possono contribuire all’adeguato sviluppo della personalità dei minori, in quanto andrebbero a subire delle deprivazioni di tipo affettivo di particolare gravità: l’eccezione è stata comunque ritenuta non fondata in quanto la pronuncia che è stata richiesta alla Corte Costituzionale sottende la volontà del ricorrente di attribuire al giudice il potere discrezionale di garantire la continuità dei rapporti affettivi, pur sempre mantenendo la cessazione di quelli giuridici. Pertanto, la tipologia di intervento richiesta non sarebbe destinata ad avere alcun riverbero sull’instaurazione di una relazione di parentela piena ed esclusiva con la famiglia adottiva, rendendo così infondato il timore di una presunta incertezza riguardo i possibili effetti dello status di figlio conseguente all’adozione. Seconda eccezione di inammissibilità riguarda invece la genericità ed ambiguità dell’ordinanza di rimessione, con cui non viene chiarito il motivo per cui il significato di “famiglia di origine” debba essere sostituito con la previsione di cui all’art. 10, comma 2, l. 184/83.
Infine, l’Avvocatura generale dello Stato ha sollevato un’eccezione di inammissibilità fondata sul carattere eccessivamente manipolativo dell’intervento richiesto alla Corte Costituzionale: secondo la difesa statale infatti la richiesta del giudice a quo rischia di divenire un intervento di sistema, compito che spetta sostanzialmente al legislatore, unico competente a tenere conto di tutti i particolari interessi coinvolti. Anche tale eccezione è stata ritenuta non fondata.
La Corte ha infatti specificato che il rimettente non aveva intenzione di riformare l’intero sistema degli effetti dell’azione, ma si trattava di un intervento circoscritto al comma 3 del già citato articolo, che non andrebbe ad incidere né sul rapporto giuridico di filiazione né sul procedimento che conduce alla sentenza di adozione.
Motivi della decisione
(…)
I motivi che hanno spinto la Corte Costituzionale a dichiarare l’inammissibilità della questione proposta dal giudice rimettente possono essere riassunti come segue:
La Corte ha esaminato la questione innanzitutto in relazione all’articolo 3 Cost, ritenendola infondata in relazione all’ «ingiustificata disparità di trattamento con gli altri modelli di genitorialità adottiva, previsti dall’art. 44 legge n. 184 del 1983, per i quali non è normativamente prevista la recisione con i nuclei familiari d’origine», in quanto l’adozione in casi particolari richiamata dall’ordinanza non recide l’originario vincolo di filiazione e i rapporti di parentela con la famiglia biologica, nonostante la creazione di una filiazione adottiva. Conseguentemente, nell’adozione di cui all’articolo 44, non vi è alcun ostacolo al permanere di relazioni di fatto con i componenti della famiglia di origine. Pertanto, la questione riguardante l’irragionevole disparità di trattamento con la disciplina dell’adozione in casi particolari non è da ritenersi fondata.
In relazione alla legittimità costituzionale della norma censurata in riferimento agli artt. 2, 30 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU e agli artt. 3, 20, comma 3, e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo, le questioni invece non sono fondate in quanto l’articolo censurato fa derivare la cessazione del rapporto giuridico-formale di filiazione e conseguentemente le relazioni parentali con la famiglia di origine successivamente ad un giudizio di assoluta inidoneità nei confronti dei genitori biologici e degli altri parenti che sarebbero tenuti ad occuparsi del minore. Secondo la Corte, l’articolo lascia presumere che sia interesse del minore-in quanto abbandonato-interrompere le relazioni con la famiglia di origine: tuttavia, se tale presunzione fosse da intendersi in maniera assoluta, si andrebbe però a creare un punto di rottura con i principi costituzionali posti a difesa degli interessi del minore e della sua identità.
Da una parte, infatti, gli artt. 2 e 30 mettono in luce l’importanza della tutela dell’identità del minore, che si costruisce non soltanto nel presente ma altresì nel passato, richiedendo una consapevolezza delle proprie radici. Dall’altra, invece, la tutela dell’identità del minore non è compatibile con presunzioni assolute che non sono attente alle singole situazioni personali che si creano. La formulazione del censurato articolo, infatti, esclude un divieto assoluto di preservare le relazioni socio-affettive con la famiglia di origine del minore, tant’è che sempre la legge n.184/83 contempla la tutela normativa di una tipologia di relazione socio-affettiva tra i componenti della famiglia di origine, ovvero quello tra fratelli e sorelle in stato di abbandono, dimostrando così che la legge preserva l’interesse del minore alla continuità della relazione socio-affettiva con la famiglia di origine.
(…)
Dispositivo
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, terzo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia).