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Sul calcolo della pena residua in caso di revoca del lavoro di pubblica utilità – Cass. Pen., sez. I, 3 luglio 2025, n. 24510

- 28 Luglio 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

In tema di reato di guida in stato di ebbrezza, l’art. 186, comma 9-bis, cod. strada introduce una deroga alla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità indicata dall’art. 54, comma 2, d.lgs. n. 274 del 2000, ma non anche al criterio di computo della pena stessa sostitutiva stabilito dal comma quinto dello stesso articolo

Il fatto 

Con sentenza, il Tribunale, in esito a rito abbreviato, aveva condannato l’imputato alla pena di quattro mesi di arresto e 2.000,00 euro di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 7, cod. strada, sostituita ex art. 186, comma 9-bis, dello stesso codice con lo svolgimento di 292 ore complessive di lavori di pubblica utilità.

Con nota del 25 luglio 2024, l’U.E.P.E. comunicava che il condannato, dopo aver prestato 181 ore lavorative, aveva interrotto l’esecuzione della pena sostitutiva adducendo motivi di lavoro e cessando, poi, di presentarsi presso l’ente destinatario delle sue prestazioni.

Con l’ordinanza in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, preso atto della comunicazione dell’U.E.P.E. territoriale, sulla richiesta del P.M., disponeva la revoca della pena sostitutiva, con rispristino della pena principale.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, deducendo l’illegittimità del provvedimento per aver ripristinato, nella sua integralità, la pena originaria senza tener conto delle ore di lavoro svolto.

Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, alla luce del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per inosservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività, mediante i criteri di ragguaglio dettati dall’art. 58 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

La decisione

I motivi analizzati dalla Suprema Corte possono così essere articolati:

La Corte ha dato continuità alla consolidata esegesi di legittimità, secondo cui la revoca del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività, mediante i criteri di ragguaglio dettati dall’art. 58 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

Entrambi gli artt. 186 e 187 cod. strada operano il richiamo esplicito, in quanto compatibile, all’istituto del lavoro di pubblica utilità come disciplinato dal d. lgs. n. 274 del 2000, che regola il procedimento davanti al Giudice di pace e prevede il pannello di sanzioni irrogabili per i reati attribuiti alla sua competenza.

In particolare, si è posto in rilievo il disposto dell’art. 58, secondo il quale ad ogni effetto giuridico l’obbligo di permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità si considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria.

Già di per sé, si è detto, la norma nel suo tenore testuale indirizza a ritenere che, se l’attività imposta sia stata svolta regolarmente nei termini prescritti per un lasso temporale apprezzabile, quel periodo debba considerarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione e non possa essere posto nel nulla come mai avvenuto con la riviviscenza della sanzione originaria.

Si sono, poi, ricavate utili indicazioni esegetiche, al riguardo, nella sentenza n. 2 del 2008 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157 cod. pen., quinto comma, come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., quanto al regime di prescrizione applicabile ai reati di competenza del Giudice di pace che siano puniti con la pena della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità; si è rilevato trattarsi di sanzioni applicabili in alternativa ad arresto ed ammenda in base ad un meccanismo di conversione preventivamente ed astrattamente stabilito dal legislatore, il quale, in base alla testuale previsione dell’art. 58, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000, ha sancito una equiparazione tra pena sostituita e pena sostitutiva che è “destinata ad operare anche per istituti di carattere sostanziale che non riguardano la fase applicativa della sanzione, come nel caso che si debba stabilire se per un reato di competenza del giudice di pace sia ammesso o non il ricorso all’oblazione”.

La disposizione scrutinata, laddove stabilisce che, «per ogni effetto giuridico», le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile si considerano detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria, è “norma di natura speciale, cioè appositamente dettata per i reati di competenza del Giudice di pace, sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in questione, quando siano per essi previste anche le pene «para-detentive», alla generalità dei reati puniti con pene detentive. Tale criterio di ragguaglio è posto senza distinzioni, per tutti i casi in cui l’applicabilità di una norma o di un istituto dipende dalla durata e dalla specie della pena”.

L’inosservanza degli obblighi inerenti al lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui ai d.lgs. n. 274 del 2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie».

Quanto ai criteri di computo della pena sostitutiva, deve rilevarsi, per completezza, che la previsione dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, secondo cui il lavoro di pubblica utilità deve avere una durata corrispondente a quella della pena detentiva irrogata e della pena pecuniaria convertita, ragguagliando l’importo di 250,00 euro a un giorno di lavoro di pubblica utilità, introduce una deroga all’art. 54, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui afferma: «In deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità».

Tale deroga, però, riguarda la sola parte relativa alla previsione della durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità, compresa da un minimo di dieci giorni a un massimo di sei mesi.

La disposizione dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, invece, non introduce alcuna deroga al criterio di computo della pena sostitutiva stabilito dall’art. 54, comma 5, del d.gs. n. 274 del 2000, secondo cui un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro; criterio che deve ritenersi ugualmente valevole nell’ipotesi di applicazione della pena del lavoro di pubblica utilità a seguito di condanna per il reato previsto dall’art. 186 cod. strada.

 

In questi termini, il sistema derogatorio previsto dall’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, ai fini della sostituzione della pena detentiva e pecuniaria, rispetto al combinato disposto degli artt. 54,55 e 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, non coinvolge il criterio generale di computo prescritto dal quinto comma dell’art. 54 dello stesso decreto, rilevando esclusivamente in relazione alla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità.

La Corte ha quindi affermato il seguente principio di diritto: «In tema di reato di guida in stato di ebbrezza, l’art. 186, comma 9-bis, cod. strada introduce una deroga alla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità indicata dall’art. 54, comma 2, d.lgs. n. 274 del 2000, ma non anche al criterio di computo della pena stessa sostitutiva stabilito dal comma quinto dello stesso articolo».

Conclusioni

La Suprema Corte annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena residua da espiare, con rinvio per nuovo esame al Tribunale.

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