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Cass. Pen., sez. III, ud. 29 maggio 2024 (dep. 7 agosto 2024), n. 32117

- 18 Settembre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Il delitto di omessa bonifica (ex art. 452-terdecies c.p.) e la contravvenzione di omessa ottemperanza all’ordinanza sindacale in tema di abbandono di rifiuti (ex art. 255 comma 3 D.Lgs. n. 152 del 2006) — benché siano ispirati alla medesima ratio di punire le condotte omissive in tema di recupero e ripristino del territorio pregiudicato da comportamenti relativi al trattamento dei rifiuti — si distinguono per la tipologia di condotta violativa dell’ordine impartito, nonché nei suoi effetti, con partico-lare riguardo alla sua potenzialità inquinante. Segnata-mente, l’art. 255 comma 3 D.Lgs. n. 152 del 2006 sanziona la condotta connessa all’abbandono dei rifiuti, configurando un reato proprio, realizzabile solo dal destinatario del provvedimento sindacale. L’omessa bonifica, invece, richiede un elemento aggiuntivo, vale a dire la potenzialità inquinante dei materiali abbandonati, che imporrebbe l’adozione delle procedure di cui agli artt. 239 e ss. D.Lgs. n. 152 del 2006, in tema di bonifica.

Svolgimento del processo 

La Corte di appello — investita dell’impugnazione proposta da D.G. avverso la sentenza del Tribunale — confermava la decisione di primo grado che aveva ritenuto l’imputato colpevole del delitto di cui all’art. 452-terdecies c.p. e, per l’effetto, lo aveva con-dannato alla pena di anni tre di reclusione ed euro 50.000,00 di multa.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione D.G., articolando plurimi motivi di doglianza.

Con il primo motivo, censurava violazione di legge e vizio motivazionale circa l’individuazione dell’effettivo responsabile.

Nello specifico, secondo il ricorrente, la Corte di appello non avrebbe accertato il reale utilizzatore del terreno in cui erano stati abbandonati i rifiuti, limitando, invece, la propria cognizione ad un esame meramente cartolare dei diritti di proprietà.

In tale prospettiva, il Giudice non avrebbe neppure considerato che il materiale poi dive-nuto rifiuto era stato consegnato a soggetto di-verso dal ricorrente, vale a dire il padre, D.P., mai indagato.

Con il secondo motivo, poi, D.G. lamenta-va violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla omessa riqualificazione del fatto nell’ipotesi contravvenzionale ex art. 255 comma 3 D.Lgs. n. 152 del 2006, trattandosi, nel caso di specie, di una inottemperanza all’ordinanza di rimozione dei rifiuti da parte del destinatario.

Da ultimo, il ricorrente si doleva dell’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, in assenza di qualsiasi vaglio motivazionale sul punto.

Motivi della decisione

(…)

La Corte di Cassazione ha preliminarmente esaminato la fondatezza del primo motivo di ri-corso, concernente l’esatta individuazione del responsabile della condotta penalmente rilevan-te, rilevandone l’inammissibilità.

Secondo la Corte, con il motivo vengono prospettate censure di merito non ammesse in sede di legittimità, formulate, peraltro, in manie-ra del tutto generica, «contestando l’omessa verifica dell’effettivo gestore del sito e l’utilizzo – nella sentenza – di valutazioni approssimative e di elementi “di poco con-to”».

L’inammissibilità della doglianza, poiché fondata su asserzioni di mero fatto, non consente di superare la motivazione della Corte di appello, che ha ritenuto provata la responsabilità del ricorrente in forza dei seguenti elementi: 1) l’ordinanza sindacale n. 22/2017 — con cui è stato prescritta la rimozione dei rifiuti —  era stata notificata sia all’imputato che al padre D.P.; 2) il ricorrente aveva la materiale disponibilità del terreno dal 2017; 3) il ricorrente stesso aveva stipulato un contratto di appalto per la rimozione dei rifiuti e per la bonifica stessa, poi non eseguito a causa dell’inadempimento da parte proprio dell’imputato; 4) il Comune aveva sempre interloquito con quest’ultimo quando, con apposito contratto, la stessa Amministrazione aveva fatto rimuovere gli pneumatici allocati sul terreno.

Da qui, dunque, l’assenza di profili di mani-festa illogicità della motivazione della Corte di appello, che ha esplicitato gli elementi probatori addotti a sostegno della responsabilità del ricorrente, motivazione che, anzi, si connota per «una struttura argomentativa del tutto affidabile e coerente nel senso della effettiva gestione del fondo da parte dell’imputato».

Fondato, invece, è il secondo motivo di impugnazione, con il conseguenziale assorbimento dell’ultimo.

In via preliminare, la Corte ha scrutinato le peculiarità delle due disposizioni rilevanti nel caso de quo, rimarcando che l’art. 452-terdecies c.p. è stato introdotto dalla legge 22 maggio 2015, n. 68, e sanziona — salvo che il fatto costituisca più grave reato — colui che, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi.

L’art. 255 comma 3 D.Lgs. n. 152 del 2006 — che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto trovare applicazione — punisce, invece, colui che non ottempera l’ordinanza sindacale emessa ai sensi dell’art. 192, comma 3, o non adempie all’obbligo prescritto dall’art. 187, comma 3, con la pena dell’arresto fino ad un anno.

Dal raffronto strutturale delle due norme, si può rilevare come entrambe (l’art. 452-terdecies c.p. e l’art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006) siano volte a sanzionare i comportamenti omissivi tenuti nonostante la sussistenza di un obbligo di natura pubblicistica di segno positivo, concernente l’attività di recupero e di ripristino e — nel solo caso del delitto — anche di bonifica, a fronte di precedenti comportamenti lesivi — o anche solo potenzialmente tali — dell’ambiente.

Il contenuto di tali obblighi sembra, inoltre, indicato in termini comuni proprio dal decreto n. 152/2006, nel senso che per « ripristino » e « ripristino ambientale » si intendono gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica capaci di conseguire il recupero del sito, rendendolo nuovamente fruibili per la destinazione d’uso; per « bonifica », invece, deve intendersi l’insieme degli interventi volti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o, quantomeno, a ridurne le concentrazioni nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee.

Ciò posto, ritiene la Corte che, «nonostante la comune identità ispiratrice, che si traduce in una evidente vicinanza di lessico, ciascuna delle due disposizioni mantiene tuttavia un proprio spazio operativo, che ne giustifica l’autonoma previsione normativa, anche con riguardo alla differente qualifica formale e, conseguente-mente, al trattamento sanzionatorio».

Segnatamente, l’elemento distintivo tra i due reati si riscontra nella condotta-presupposto dell’ordine impartito, nonché nella sua portata inquinante.

L’art. 255 T.U. Ambiente disciplina, infatti, solo l’abbandono dei rifiuti (abbandono che ri-comprende anche il deposito incontrollato e l’immissione nelle acque), sanzionato in modo più severo in caso di mancata ottemperanza all’ordinanza sindacale — emessa ex art. 192 comma 3 D.Lgs. n. 152 del 2006 — che prescrive il ripristino.

 Tale ultima disposizione concerne proprio il “divieto di abbandono” e prescrive le attività riparatone susseguenti alla violazione, nonché il potere/dovere del sindaco di ordinare le opera-zioni a tal fine necessarie, con indicazione del termine entro il quale provvedere.

Secondo la Corte, il combinato degli artt. 192, comma 3, e 255, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006, conia un reato proprio, che può esse-re commesso solo dai destinatari formali dell’ordinanza, a prescindere dal rapporto con l’area interessata, rapporto che potrebbe anche essere di mero fatto ma, comunque, idoneo a consentirgli — e, di conseguenza, ad imporgli — di esercitare una funzione di protezione e cu-stodia per evitare che il sito sia adibito a discari-ca abusiva di rifiuti (nello stesso senso, cfr. Cass. pen., Sez. Un., 25 febbraio 2009, n. 4472 Rv. 606599).

Ai fini della sussistenza dell’art. 452-terdecies c.p. è, invece, necessaria una condotta connotata da un elemento aggiuntivo e caratterizzante, vale a dire una potenzialità inquinante, tale da imporre l’adozione delle procedure ex artt. 239 ss. D.Lgs. n. 152 del 2006.

Detto assunto è confermato dalla colloca-zione della norma tra i delitti contro l’ambiente e, dunque, il riferimento al «ripristino o al recupero dello stato dei luoghi» concerne soltanto i casi in cui tali attività siano funzionali alla bonifica stessa.

Di conseguenza, rimarca la Corte, «se in ter-mini generali, ossia ai sensi del decreto n. 152 in esame, per “ripristino e ripristino ambientale” debbono intendersi gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente (a norma dell’art. 240, lett. q), citata), il riferimento al “ripristino o al recupero dello stato dei luoghi” contenuto nell’art. 452-terdecies cod. pen. deve invece intendersi misurato soltanto su quegli interventi che della bonifica costituiscono complemento».

Pertanto, affinché possa ritenersi integrato il reato ex art. 452-terdecies c.p. è necessario che all’obbligo non ottemperato segua il verificarsi di un evento potenzialmente in grado di inquinare il sito.

In altri termini, « soltanto il verificarsi di un evento di tale natura, evidentemente da accertare in fatto, e l’inottemperanza all’ordine pubblico volto all’eliminazione del conseguente pericolo di inquinamento, giustificano dunque l’ipotesi autonoma di reato e, ancor più, la natura delittuosa della medesima condotta omissiva, con il relativo trattamento sanzionatorio, così consentendo di definire adeguatamente i contorni del delitto rispetto alla fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006; il cui ambito di applicazione, infatti, risulta definito dalle sole condotte di abbandono dal-le quali non derivi un evento potenzialmente inquinante».

Per tali motivi, considerato che — come emerso durante l’istruttoria dibattimentale — il D.G. era stato destinatario di un’ordinanza sindacale con la quale veniva onerato del ripristino dello stato dei luoghi — senza, però, alcun riferimento ad attività di bonifica — e rilevato che non era stato accertato alcun evento potenzialmente inquinante per l’area, l’inottemperanza dell’ordine di ripristino «dovrebbe quindi esser sanzionata a norma dell’art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006 e non ai sensi della norma contestata (art. 452-terdecies c.p., n.d.r.)».

(…)

Dispositivo

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello.

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