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Parcheggio in violazione del divieto di sosta e responsabilità a titolo di colpa in ipotesi di incidente – Cass. Pen., Sez. IV, 21 luglio 2025, n. 26491

- 4 Settembre 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

Poiché la responsabilità a titolo di colpa richiede la verificazione del tipo di rischio che la norma cautelare mirava a prevenire, in caso di incidente stradale dal quale siano derivate lesioni personali il giudice deve verificare se il divieto di sosta violato fosse, nel caso specifico, diretto a evitare intralci alla circolazione stradale in determinate aree oppure alla diversa esigenza di riservare spazi di sosta a categorie protette. Solo nel primo caso, il divieto attiene al rischio di verificazione di sinistri: tali ostacoli, facilmente evitabili per chi tenga una condotta di guida prudente ed accorta, potrebbero, infatti, non esserlo in caso di restringimento della carreggiata per violazione del divieto di sosta.

Il fatto 

Il Tribunale ha assolto l’imputato con la formula liberatoria “il fatto non sussiste” dal reato di cui all’art. 590 bis c.p. in relazione all’art. 583 co. 1 n. 1 c.p. All’imputato era contestato di aver parcheggiato il proprio veicolo in divieto di sosta – riducendo, così, lo spazio utile di percorrenza della

 

carreggiata – così determinando la caduta di una persona che, nel tentativo di evitare tale veicolo, ha urtato un altro mezzo di trasporto.

Questo, in sintesi, il fatto: la persona offesa stava transitando a bordo di una bicicletta. Giunto su una strada nella quale vi era uno scooter posteggiato in violazione del divieto di sosta, che occupava parte della carreggiata, la persona offesa, nello spostarsi verso sinistra per superare tale veicolo si scontrava con un motocarro che sopraggiungeva nella medesima corsia e rovinava contro lo scooter parcheggiato. Ne derivano alla persona offesa lesioni descritte nel capo di imputazione.

L’assoluzione del titolare dello scooter era motivata dall’assenza del nesso causale tra il sinistro e il parcheggio del veicolo in violazione del divieto di sosta: il restringimento della carreggiata non aveva impedito il contemporaneo passaggio della bicicletta e del motocarro.

Avverso tale pronuncia il Procuratore Generale della Corte di Appello ha proposto ricorso.

Con il primo motivo lamentava violazione di legge. Si ritiene errore di diritto ritenere che il segnale di divieto di sosta sia volto solo a regolare la speditezza della circolazione e non anche a prevenire incidenti. Si osserva che non possono piuttosto esservi automatismi tra violazione della regola cautelare e attribuzione di responsabilità, dovendosi accertare, nel caso concreto, se un parcheggio in divieto di sosta abbia creato pericolo per la circolazione.

Con il secondo motivo lamentava manifesta illogicità della motivazione in ordine all’esclusione del nesso causale. La sentenza impugnata, infatti, nel ritenere che il restringimento della carreggiata non aveva impedito il contemporaneo passaggio della bicicletta e del motocarro aveva omesso di considerare che la consulenza tecnica aveva precisato che lo spazio libero rimasto tra i veicoli, a causa del restringimento della carreggiata, fosse di soli 30 centimetri (e non di un metro, come sarebbe stato se non ci fosse stato lo scooter).

La decisione

La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato.

I giudici di legittimità ricordano che la responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare abbia determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire, poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla violazione della regola cautelare.

Dopo tale necessaria premessa, la sentenza annotata prosegue evidenziando che l’apposizione del divieto di sosta può essere riconducibile alla finalità di evitare intralci alla circolazione stradale in determinate aree (in particolare, quelle descritte dall’art. 158 CdS, quali incroci, presenza di dossi, corsie riservate a mezzi pubblici ecc.), oppure può essere riconducibile alla diversa esigenza di riservare spazi di sosta a categorie protette (e non già dalla necessità di non intralciare la circolazione). Deve, pertanto, essere accertata la ragione della apposizione del divieto di sosta, ai fini di comprendere se la previsione abbia finalità cautelare e rispetto a quale rischio.

Qualora, infatti, il divieto miri ad evitare che, in determinati luoghi, la circolazione non sia intralciata, impedita o resa difficoltosa dalla presenza di ostacoli, il divieto attiene al rischio di verificazione di sinistri, non solo perché potrebbe trattarsi di ostacoli non visibili o inattesi (come in presenza di dossi o curve, dove infatti è vietata, oltre alla sosta, anche la fermata), ma anche perché tali ostacoli, facilmente evitabili per chi tenga una condotta di guida prudente ed accorta, potrebbero non esserlo in caso contrario.

Da qui la conclusione secondo cui il Tribunale di Savona abbia omesso di motivare in merito alla natura cautelare del divieto nel caso di specie e, in caso affermativo, in relazione a quale rischio.

Per tale motivo, la Suprema corte ritiene necessario un approfondimento volto a chiarire, ai fini della corretta individuazione della natura delle prescrizioni e del tipo di rischio che il divieto mirava a prevenire, le ragioni della apposizione del divieto di sosta nel caso di specie.

Conclusioni

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale in diversa composizione fisica.

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