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Cass. Pen., sez V, ud. 1° dicembre 2023 (dep. 22 febbraio 2024), n. 7728

- 6 Marzo 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

L’art. 583-quinquies c.p. – introdotto dall’art. 12, comma 1, L. n. 69/2019 – costituisce un reato comune sia quanto all’autore del reato che alla persona offesa.

Svolgimento del processo 

La Corte di appello aveva confermato quella del G.u.p. del Tribunale che aveva accertato la responsabilità penale dell’imputato in ordine al delitto previsto dall’art. 583-quinquies c.p., per aver, cagionato a lesioni personali, con un morso all’orecchio sinistro che aveva determinato il distacco di quasi metà del padiglione auricolare, dal quale derivava lo sfregio permanente del viso.

Il ricorso per cassazione consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p.-

Il primo e il secondo motivo deducono violazione di legge, in quanto il ricorrente, dopo aver ritenuto pacifica l’applicazione dell’art. 583-quinquies al caso in esame, rileva come la Corte di appello ne faccia una applicazione contro la ratio legis, essendo la norma introdotta dall’art. 12 L. 69/2019 in funzione non di qualunque lesione bensì solo di quelle conseguenti a reati di violenza sessuale e domestica, essendo la disciplina introdotta in conseguenza della Convenzione di Istanbul.

Ne consegue una interpretazione analogica da parte della Corte di appello, non consentita in sede penale, per quanto previsto dagli artt. 25 Cost. e 14 delle cd. preleggi, cosicché la nuova fattispecie non può trovare applicazione al caso in esame, connotato dalla lite fra due donne, per ragioni di gelosia, sulla pubblica via e non in relazione a una ipotesi di violenza domestica.

Inoltre, il ricorrente lamenta, con il secondo motivo, anche la violazione dell’art. 12 delle preleggi, in quanto la Corte territoriale sarebbe andata oltre l’interpretazione letterale, operando una equiparazione fra l’abrogata circostanza aggravante dell’art. 583, comma 2, n. 4 c.p. e l’introduzione del delitto di «deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti ai viso», ribadendo la ragione della introduzione della fattispecie di nuovo conio e la soppressione della precedente aggravante – alla luce della interpretazione dell’intenzione del legislatore, di quella logica e teleologica, fornite dalla relazione di accompagnamento al provvedimento legislativo e dalla relazione dell’Ufficio del Massimario, che collegano il nuovo reato alla violenza domestica – alle quali si ricorre quando, come nel caso in esame, sussisterebbero dubbi in ordine all’interpretazione letterale.

Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione, in quanto risulterebbe assente qualsiasi certificazione in tema di sfregio permanente, dilungandosi la sentenza impugnata in astratte valutazioni e non in una verifica concreta di quelle subite dalla persona offesa.

Il quarto motivo lamenta violazione dell’art. 583-quinquies c.p. e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del delitto, non potendo ritenersi adeguata la sola analisi della condotta, della foga e della volontà bellicosa dell’autrice del delitto, per trarne la prova del dolo, che non può ritenersi configurabile neanche come dolo alternativo o eventuale, ben potendo ritenersi comprovata invece la colpa cosciente, in quanto con la condotta successiva l’imputata operava spontaneamente il soccorso, sosteneva le spese mediche, come pure indicative sarebbero l’assenza di querela da parte della persona offesa e dei precedenti penali, elementi non valutati dalla Corte territoriale.

Motivi della decisione

(…)

Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:

–     la norma di nuovo conio non è esclusivamente destinata a sanzionare condotte commesse nell’ambito della cd. violenza domestica e di genere.

A ben vedere, in primo luogo la lettera della legge non consente alcuna limitazione a tali specifici contesti, non indicando né il genere della persona offesa né tantomeno l’ambito nel quale la condotta sia maturata.

Difatti non si rinvengono le richiamate limitazioni nel testo dell’art. 583-quinquies che recita: «Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni».

Pertanto, deve ribadirsi la natura generale della norma, ne ciò seguendo proprio il criterio dell’interpretazione letterale imposto dall’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, per il quale «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse».

Infatti, l’intenzione del legislatore, trasformando la circostanza aggravante dell’art. 583, comma 2, n. 4 c.p. in un delitto autonomo con maggiore pena edittale minima e massima, è quella di assicurare un trattamento di maggior rigore, elidendo la discrezionalità del giudice espressa nel giudizio di bilanciamento fra circostanze operabile con il precedente regime.

È stato inoltre specificamente previsto il caso in cui il delitto di sfregio o deformazione permanente del viso intervenga in ambito di violenza domestica o di genere, rendendo tali elementi di relazione e di contesto circostanze aggravanti.

L’art. 585 c.p. aggrava la pena dell’art. 583-quinquies per il caso di condotta lesiva contro l’ascendente o il discendente e altri congiunti (art. 576 n. 2; 577, comma 1, n. 1 e comma 2), in occasione della commissione dei delitti di cui agli artt. 572, 600-bis, 600-ter, 609-bis, 609-quater, 609-octies (art. 576 n. 5), ovvero da parte dell’autore del delitto previsto dall’art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa (art. 576, n. 5.1).

È di tutta evidenza che la previsione di tali aggravanti, proprio per la commissione del delitto in contesto domestico o di violenza sessuale e di genere, esclude che l’art. 583-quinquies c.p. nella sua previsione di base debba applicarsi solo a tali ultime ipotesi, come invece sostiene il ricorrente.

D’altro canto, la maggior tutela processuale per la vittima si rinviene per le sole fattispecie aggravate dall’art. 585 del delitto in esame: gli artt. 347, comma 3, 362, comma 1-ter, 370 commi 2-bis e 2-ter c.p.p., rispettivamente modificati e introdotti dalla L. 69/2019, introducendo le norme processuali del cd. Codice rosso, intendono velocizzare l’acquisizione della notizia di reato e l’assunzione di informazioni da parte della persona offesa solo nei casi di deformazione del viso aggravata.

Proprio questa necessità sostanziale e processuale di maggior rigore sanzionatorio e di tutela delle vittime, maggiormente vulnerabili, dei delitti di violenza di genere e domestica, ha costituito l’occasione per il legislatore per l’introduzione della fattispecie dell’art. 583-quinquies c.p.

In sostanza, il legislatore ha voluto punire con maggior rigore anche le condotte di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso da «chiunque» commesse in danno di «alcuno», quindi si verte in tema di reato comune sia quanto all’autore che quanto alla persona offesa

L’innovazione normativa ha poi ulteriormente previsto che le relazioni affettive o domestiche fra autore del reato e persona offesa, costituiscano una ragione di ulteriore aggravamento della pena, per la maggiore vulnerabilità delle vittime, a tutela dei beni della libertà e dell’incolumità personale che devono essere garantiti nei contesti in cui matura la cd. violenza domestica o di genere.

Deve pertanto affermarsi che l’art. 583-quinquies c.p. – introdotto dall’art. 12, comma 1, L. n. 69/2019 – costituisce un reato comune sia quanto all’autore del reato che alla persona offesa, secondo l’interpretazione letterale e sistematica della disposizione di nuovo conio, essendo la trasformazione della circostanza aggravante di cui all’art. 583, comma 2, n. 4, c.p. in fattispecie autonoma di reato funzionale in generale ad un trattamento di maggior rigore, ulteriormente aggravato dall’art. 585 c.p. per i casi riconducibili alla violenza domestica e di genere, in coerenza con le esigenze di maggiore tutela richieste dalla Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011;

–   in tema di elemento soggettivo, l’esclusione della condotta colposa risulta adeguatamente motivata, in quanto in tema di coefficiente soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo.

Per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento;

– Infine, quanto a proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad un capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto di appello: solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice di legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un lato il giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione.

(…)

Dispositivo

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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