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Cass. Civ., sez I, ud. 12 ottobre 2020 (dep. 13 marzo 2023), nr. 7214

- 9 Ottobre 2023

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

La banca non è responsabile di una truffa avvenuta tramite phishing qualora quest’ultima sia stata realizzata sfruttando la negligenza del cliente. Qualora vengano adottate tutte le misure di sicurezza da parte dell’istituto bancario, se il cliente fornisce il proprio user-id e la propria password a terzi per accedere all’home banking, la responsabilità ricade in capo al correntista e non può ricadere invece sull’istituto di credito.

Svolgimento del processo 

L.B.A. e I.C. ricorrevano contro P.I. avverso la sentenza n.1782/2015 della Corte d’Appello di Palermo, con cui veniva rigettata la domanda risarcitoria-riconosciuta ai ricorrenti in primo grado.

Con sentenza del 12 Gennaio 2010 il Tribunale di Palermo condannava P.I a risarcire L.B.A ed L.C per il danno a loro cagionato a causa dell’addebito fraudolento derivante da operazione di bonifico eseguito per via telematica da un terzo, sulla base del fatto che la società convenuta non aveva adottato tutte le misure di sicurezza idonee a prevenire danni come quelli verificatisi in capo agli attori.

La parte soccombente si rivolgeva quindi alla Corte di Appello di Palermo, che rigettava la domanda risarcitoria poiché riscontrava nella condotta degli appellati la causa dell’addebito fraudolento sul loro conto corrente, in quanto in considerazione delle sempre più frequenti truffe informatiche (c.d phishing) miranti a carpire fraudolentemente i dati per il compimento di operazioni illecite, l’istituto bancario aveva comunque adottato un sistema per impedire l’accesso ai dati personali dei suoi correntisti da parte di terzi. La Corte d’Appello ha quindi ravvisato nella condotta degli appellati l’unica causa esclusiva dell’operazione fraudolenta, che ha determinato l’addebito della somma e che ha interrotto il nesso eziologico tra l’attività pericolosa e l’evento dannoso, con esclusione della responsabilità risarcitoria dell’appellante.

Avverso tale sentenza A.L.B e C.I proponevano ricorso per cassazione, contenente cinque motivi ed assistito da memoria. P.I resisteva con controricorso, assistito da memoria.

Motivi della decisione

(…)

I motivi che hanno spinto la cassazione a dichiarare inammissibile il ricorso possono essere riassunti come segue:

– Con il primo motivo i ricorrenti deducevano che la sentenza impugnata omettesse di esaminare il fatto decisivo per il giudizio, costituito dal disconoscimento dell’operazione. Tale motivo veniva ritenuto inammissibile in quanto non riguardante la ragione che aveva fondato la decisione della Corte di Appello.

– Con il secondo motivo i ricorrenti avevano dedotto che la sentenza impugnata fosse caratterizzata da falsa applicazione degli articoli 1218 e 2697 del codice civile nonché degli artt. 115 e 116 del c.p.p e dei principi per il riparto dell’onere della prova, in quanto l’istituto bancario non aveva provato che l’addebito fosse frutto di una specifica disposizione di pagamento effettuata in maniera corretta dai clienti. Anche tale motivo viene ritenuto dalla Corte inammissibile in quanto la sentenza impugnata dava già prova per presunzioni della apparente provenienza dai ricorrenti dell’ordine di bonifico, preceduto dall’immissione di nome utente, password e pin per l’accesso, che secondo la normativa sottoscritta dagli stessi, solo ed esclusivamente loro avrebbero dovuto conoscere, inferendo che alla luce del diniego dei ricorrenti i dati fossero stati fraudolentemente captati.

– Il terzo motivo censura la sentenza per l’errata applicazione dell’art. 345 c.p.p (rif. al testo precedente alla l. 134/2012), non avendo tenuto conto della resp. contr. di P.I, ritenendo indispensabile il documento prodotto dall’appellante ai sensi dell’articolo 345 c.p.p con cui la Corte di Appello aveva ritenuto superata la presunzione di responsabilità di cui all’articolo 2050 c.c. Anche questo motivo veniva ritenuto inammissibile in quanto non risultava dalla sentenza impugnata vi fosse stata una discussione riguardanti i documenti depositati da P.I., essendo implicita la motivazione riguardante l’affermata indispensabilità, in quanto già in primo grado era stata acquisita la prova della sicurezza del sistema di sicurezza dell’istituto bancario.

– Il quarto motivo censurava la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.p e 2050, 2697 e 2729 c.c. nonché 40 e 41 c.p poiché non veniva dimostrata la condotta colposa dei danneggiati che aveva effettivamente interrotto il nesso di causalità tra attività e danno. Tale motivo è stato sempre ritenuto inammissibile in quanto la sentenza si basava su un ragionamento presuntivo non rilevante in sede di Cassazione.

– Con il quinto ed ultimo motivo la sentenza veniva censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.p e 2050 c.c, nonché dei principi di valutazione delle prove, in relazione all’effettivo accertamento del funzionamento del sistema di sicurezza dell’istituto bancario, che secondo i ricorrenti era di livello modesto. Tale censura è inammissibile in quanto riguarda una valutazione del merito che può essere effettuata solo in sede di legittimità.

(…)

Dispositivo

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, con il vincolo della solidarietà passiva a rimborsare le spese processuali anticipate dalla controricorrente, liquidate in euro 200 per esborsi e 3.000 per compenso di avvocato, con riconoscimento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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