SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per i danni patiti mediante infezione trasfusionale dal paziente ricoverato , ricade sulla struttura sanitaria l’onere probatorio di dimostrare che, al momento della trasfusione, il paziente fosse già affetto dall’infezione di cui chiede il risarcimento, provando di aver correttamente eseguito i protocolli relativi all’attività di acquisizione e perfusione del plasma, in ottemperanza alle norme giuridiche vigenti in materia e alle leges artis.
Svolgimento del processo
La Corte Suprema di Cassazione Civile (Sezione terza) ha cassato la sentenza n. 17/2022, depositata il depositata il 27/01/2022, con cui la Corte d’Appello di Caltanissetta aveva rinnovato la sentenza di primo grado, che aveva visto la convenuta Azienda Sanitaria Provinciale (A.S.P.) condannata al risarcimento dei danni alla persona patiti dalla danneggiata nella misura di Euro 286.355,40, in seguito ad emotrasfusione eseguita in data 15.12.1998 presso l’Ospedale di competenza dell’A.S.P.
In seguito a tale statuizione, infatti, l’A.S.P. proponeva gravame sollevando nuovamente e preliminarmente l’eccezione di difetto di legittimazione passiva in favore del Ministero dalla Salute, già rigettata in primo grado, e chiedendo poi nel merito, il rigetto di tutte le domande attoree per insussistenza del nesso causale fra la trasfusione del 15/12/1998 e le patologie sofferte dall’appellata B.C. Quest’ultima proponeva appello incidentale, con condanna dell’A.S.P. anche al risarcimento del danno patrimoniale relativo all’attività lavorativa di casalinga, non riconosciuto dal Tribunale di prime cure.
Ebbene, la Corte d’appello di Caltanissetta rinnovava la CTU medico legale a carico dell’appellata B.C. ed accoglieva le doglianze, rigettando nuovamente l’eccezione di difetto di legittimazione passiva ed integralmente la domanda. Nel merito, infatti, la Corte riteneva che il trattamento del sangue (prelievo – trasfusione) operasse tramite un “circuito chiuso”, sancito dalla normativa (art. 11 D.M. n. 27 dicembre 1990) e che dalla CTU si era rilevato come la paziente non fosse immune da epatopatia C e che, pertanto, secondo il principio del “più probabile che non”, l’appellata non avesse provato il nesso di causalità materiale, da cui il debitore deve provare l’esatto adempimento o l’impossibilità (art. 1218 c.c.).
Contro tale statuizione di secondo grado, la paziente B.C. proponeva ricorso per cassazione in base a tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo, la ricorrente lamentava la violazione ed errata/omessa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., degli art. 2697, 2727 -2728 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui la Corte aveva erroneamente posto sulla ricorrente l’onere di dimostrare di essere “negativa” alla malattia HCV al momento del ricovero, presupponendo una positività senza fornire la benchè minima indicazione di elementi gravi, precisi e concordanti a suffragio di tale tesi.
Consolidata e lapidaria giurisprudenza sul punto, infatti, afferma che è onere della struttura sanitaria dimostrare che al momento della trasfusione la paziente fosse già positiva alla patologia per cui richiede il risarcimento dei danni patiti.
Col secondo motivo, la ricorrente insisteva sull’assunto della mancata dimostrazione da parte della A.S.P. di aver agito con la diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico, soprattutto rilevando come il “circuito chiuso” attenga esclusivamente alla fase di separazione del plasma dal sangue, ignorando completamente tutte le fasi successive che portano alla somministrazione della trasfusione ai pazienti ed ancora, insistendo sulla circostanza che l’A.S.P. non abbia mai presentato prova di aver agito correttamente rispettando tutte le procedure trasfusionali previste dalla legge, né tale prova può essere data mediante espletazione di CTU medico legale, la quale è stata meramente valutata come se la trasfusione ed il suo processo fossero stati compiuti secondo le leges artis e secondo la normativa vigente in materia, circostanza mai provata dall’Azienda Sanitaria.
Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente si doleva del fatto che la Corte d’Appello non avesse tenuto affatto conto della CTU di parte attorea, anzi ad abundantiam, nonostante la contrapposizione tra due CTU totalmente in disaccordo sul punto, non avesse accolto la richiesta della ricorrente di voler espletarne una nuova.
Con ricorso incidentale, la contro ricorrente lamentava la violazione o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. per quanto riguardava, ancora una volta, la legittimazione passiva del Ministero della Salute in merito ai danni da emostrasfusione.
Motivi della decisione
(…)
In riferimento ai motivi di ricorso presentati ed alla successiva statuizione della Corte di Cassazione, è di precipua importanza soffermarsi sui motivi della decisione:
Con riferimento al primo motivo, è principio di diritto granitico in giurisprudenza quello secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, il danneggiato deve esclusivamente dare traccia dell’inadempimento del debitore, su cui grava l’onere della prova di dimostrare l’esatto adempimento o l’impossibilità dello stesso per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Nello specifico, con l’accoglimento dell’appello, la Corte ha disatteso i criteri di riparto dell’onere probatorio stabiliti da notevoli e plurime sentenze della Cassazione, in quanto il danneggiato non era onerato di dimostrare l’assenza di una malattia epatica al momento del ricovero, ma come detto sovra, doveva esclusivamente allegare l’inadempimento.
In riferimento al secondo motivo, la Corte d’Appello omette di considerare la totale mancanza di materiale probatorio allegato da parte dell’Azienda Sanitaria in merito alla corretta esecuzione, in ottemperanza alle leges artis e alle norme vigenti in materia, di tutte le fasi del procedimento di conservazione, separazione e somministrazione del sangue, prova liberatoria che avrebbe dovuto fornire a fronte della prova presuntiva di infezione subita all’interna della struttura ospedaliera prodotta dalla persona danneggiata.
Inoltre, la Corte d’Appello ha erroneamente valutato quanto stabilito dalla CTU medico legale in secondo grado, vero è, infatti, che la paziente fosse affetta da sofferenza epatica, ma sicuramente non è vero che tale sofferenza epatica dovesse essere per forza causata dall’epatite, circostanza mai provata dalla struttura sanitaria, decisiva per vincere la presunzione semplice di contrazione dell’infezione a seguito della trasfusione sanguigna.
Con riferimento al terzo motivo di ricorso, chiaro è che la Corte d’Appello ha tenuto esclusivamente conto della seconda CTU medico legale, decisiva per avallare l’erroneo ragionamento sull’inversione probatoria effettuato nel merito.
Infine, sul ricorso incidentale, nulla quaestio poiché lo stesso è certamente inammissibile perché la paziente ha agito esclusivamente per il danno procurato dalla struttura sanitaria in virtù del contratto di spedalità stipulato con la stessa e che quest’ultima, in nessuna fase di giudizio del merito, ha chiesto l’estensione del giudizio anche al Ministero della Salute.
A conclusione e ad onore di cronaca, il riferimento all’art. 2935 c.c. è frutto di un errore di scrittura della controricorrente.
(…)
Dispositivo
La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie quello principale e, per l’effetto, cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.