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Cass. Pen., sez III, ud. 4 aprile 2023 (dep. 4 settembre 2023), n. 36572

- 29 Novembre 2023

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di delitti contro la personalità individuale, integra la detenzione penalmente rilevante ai sensi dell’art. 600-quater co. 1 c.p. la disponibilità di file di contenuto pedopornografico archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo nello spazio Telegram e accessibili, per il tramite delle proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo che abbia ad esso consapevolmente preso parte.

Svolgimento del processo 

La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Napoli con cui, all’esito della fase dibattimentale, E.F. veniva ritenuto colpevole del delitto di cui all’art. 600-quater c.p. e condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e € 3.000 di multa.

L’imputazione si strutturava su due capi: al capo A, veniva contestato all’imputato il delitto di cui all’art. 600-quater comma 1 c.p. perché deteneva all’interno di uno spazio virtuale, segnatamente nella cartella dei media condivisi di una chat di gruppo facente parte del servizio di messaggeria istantanea denominato ‘Telegram’ – cui accedeva utilizzando un account abbinato alla sua utenza telefonica – più di centocinquanta file contenenti materiale pedopornografico, con l’aggravante dell’ingente quantità; al capo B, veniva contestato il delitto ex art. 600-ter comma 4 c.p., così riqualificata l’originaria imputazione, per aver condiviso i predetti filein chat private, di cui facevano parte un ristretto numero di persone.

Avverso la sentenza l’imputato ha proposto due ricorsi per cassazione, redatti da due difensori differenti, affidando le proprie censure a 8 diversi motivi complessivi.

Con il primo motivo, riferibile alla configurabilità del delitto di cui al capo A, l’imputato deduceva il vizio di violazione di legge per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente l’elemento oggettivo della detenzione richiesto dalla fattispecie incriminatrice, non avendo l’imputato effettuato alcuna operazione di download dei file presenti sulla chat sul proprio cellulare – file, invece, contenuti nel cloud storage abbinato alla chat Telegram “Abusi e Famiglia” di cui l’imputato faceva parte – non avendo, pertanto, la fisica disponibilità dei file in contestazione bensì potendo soltanto visualizzarli attraverso l’accesso alla rete internet. In considerazione di un tanto, la difesa sosteneva la necessità di riqualificare la condotta di cui al capo in parola nella fattispecie individuata dall’art. 600-quater comma 3 c.p., anche e soprattutto ritenuto che l’iscrizione ad una chat non appariva assimilabile alla mera navigazione in internet, presupponendo, invece, la memorizzazione automatica dei file sul dispositivo elettronico o nella cartella degli elementi multimediali condivisi a cui l’imputato aveva libero accesso.

Con il secondo motivo, deduceva il vizio di violazione di legge riferito all’art. 552 c.p.p. e al vizio di motivazione, posto che il fatto ritenuto in sentenza appariva diverso da quello contestato e che la Corte territoriale non si era espressa sul punto nonostante l’espressa contestazione sollevata con l’atto d’appello.

Con il terzo motivo, lamentava il vizio di violazione di legge ex art. 600-quater comma 2 c.p. e il vizio di motivazione, posto che la configurabilità dell’aggravante di cui al capo A) non poteva essere commisurata al numero complessivo dei file detenuti da tutti i partecipanti alla chat Telegram, non potendo la natura indiretta della detenzione da parte dell’imputato far ricadere solo su di lui gli effetti di una condotta qualificabile come collettiva, oltre a non aver la Corte di appello neppure verificato il numero dei filepresenti sulla chat, limitandosi ad un’indicazione largamente approssimativa degli stessi.

Con il quarto motivo, contestava il vizio di violazione di legge di cui all’art. 62-bis c.p. e il vizio di motivazione, nella considerazione che la negazione della concessione delle circostanze attenuanti generiche non trovava rispondenza, prima, nella condotta collaborativa procedimentale dell’indagato e, dopo, nel generale contegno processuale del soggetto medesimo, elementi – questi – da valorizzare nel quadro di un genuino tentativo dell’imputato, che ha risarcito il danno ed intrapreso un percorso terapeutico, di improntare la propria condotta futura ad un minor se non azzerato disvalore penale.

Con il quinto motivo, deduceva il vizio di motivazione con riferimento al quantum di pena irrogato, determinato senza valutare la positiva condotta dell’imputato successiva al fatto commesso.

Con il sesto motivo lamentava la violazione di legge riferibile all’art. 600-quater c.p., sostenendo – come nel perimetro del primo motivo sopra menzionato – l’assenza di uno specifico atto di download del materiale pedopornografico contestato, essendo questo presente all’interno della chat di Telegram “Famiglia e abusi”, altresì sottolineando come non si potesse ravvisare alcuna differenza con il caso della consultazione di un sito internet attraverso un browser dal momento che la cartella dei media condivisi della chat non era nella disponibilità dell’imputato, potendovi quest’ultimo accedere solo in presenza di una rete o di una connessione internet.

Con il settimo motivo contestava la violazione di legge dell’art. 600-quater c.p. e il vizio di motivazione, posto che le indagini di P.G., come risultanti dal verbale delle operazioni compiute, avevano determinato l’emersione della detenzione di circa 150 file, numero, tuttavia, approssimativo e non del tutto indicativo dell’entità della condotta dell’imputato, considerato che – come appurato in seguito – tale indicazione si saturava della presenza tanto di file a contenuto pedopornografico quanto pornografico (questi ultimi penalmente irrilevanti), nonché di immagini variamente duplicate, difettando in tal guisa una precisa quantificazione riferibile ai contenuti in parola e, conseguentemente, l’aggravante dell’ingente quantitativo.

Con l’ottavo ed ultimo motivo, lamentava il vizio di violazione di legge relativo agli artt. 62-bis c.p. e 133 c.p. e il vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, sottolineando il travisamento della prova per avere la Corte di appello ritenuto contraddittoria la confessione resa dall’imputato e la censurabilità delle conclusioni tratte con particolare riguardo al percorso di sostegno psicoterapeutico intrapreso dall’imputato, posto che gli esiti di tale percorso si sarebbero potuti apprezzare con riferimento ad una riduzione del rischio di recidiva, anche considerata, come segnalato dal terapeuta, la rinnovata consapevolezza dell’imputato circa il disvalore penale della condotta realizzata e un maturato senso di responsabilizzazione.

Motivi della decisione

(…)

I principi sanciti dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:

– il concetto di “detenzione”, seppur di matrice civilistica, viene mutuato dal legislatore penale solo con riferimento al “corpus possessionis”, senza alcun apprezzabile interesse ad approfondire l’elemento soggettivo dell’animus possidendi. Ciò appare coerente con le ricostruzioni della dottrina civilistica che si è occupata di studiare gli odierni fenomeni della realtà virtuale, grazie allo sviluppo e all’impatto delle nuove tecnologie sul mercato (si pensi, ex multis, alle criptovalute), e che ha ritenuto di precisare come i beni immateriali (a cui tali fenomeni appaiono equiparati) non siano, per la loro medesima natura, suscettibili di quell’uso esclusivo che fonda la disciplina positiva della detenzione e del possesso, sicché – pur potendosene sostenere nella realtà fenomenica il loro godimento ed utilizzo – non appare verosimile assimilare i diritti assoluti su beni immateriali ai diritti reali, perciò ritenendone ammissibile il possesso se utilizzati da un soggetto che – pur non essendone titolare – si comporti come tale.

Dal punto di vista del diritto penale, i file condividono con i beni immateriali la caratteristica di poter essere utilizzati da più soggetti anche contemporaneamente senza che l’esercizio dell’uno impedisca quello degli altri, apparendo così necessario ampliare il concetto di “detenzione”, sganciandolo dalla relazione materiale con la res intesa in termini strettamente fisici e traslandone il nucleo essenziale sulla fruibilità della medesima in termini non già concreti bensì anche solo meramente potenziali, prescindendo dall’utilizzo effettivo;

– ogni qual volta un soggetto entri in una chat, avrà la possibilità di accedere alle conversazioni e ai contenuti condivisi all’interno del gruppo, significando che i contenuti, non appena condivisi, vengono automaticamente salvati con il sistema cloud storage nella chat del gruppo, divenendo patrimonio comune di ogni componente del gruppo medesimo che, pertanto, sarà libero di accedervi, consultarli, condividerli al pari di ogni detentore individuale;

– resta, in ogni caso, fondamentale accertare la consapevolezza dell’utente circa la partecipazione ad una chat che presenti contenuti integranti la violazione della fattispecie incriminatrice de qua e, quindi, creata allo specifico fine di condividere materiale pedopornografico, dimostrazione di consapevolezza che – sul piano strettamente soggettivo – graverà sull’accusa e di cui dovrà puntualmente dare conto l’organo giudicante nel pronunciare l’eventuale sentenza di condanna;

– non vi è alcuna differenza tra un’operazione di download dei file fatta sul proprio cellulare e l’accesso incondizionato ad un archivio condiviso tra i partecipanti ad una chat collettiva, accesso ottenuto proprio in conseguenza della propria consapevole partecipazione al gruppo telematico, giacché – in ambedue le ipotesi – l’agente ha la piena ed incondizionata possibilità di fruire del materiale archiviato, a nulla rilevando che sia stato lui stesso o altri ad aver effettuato le operazioni di salvataggio. Di conseguenza, è da ritenersi che integri la detenzione penalmente rilevante di materiale pedopornografico la disponibilità di file di siffatta specie archiviati sul cloud storage di una chat di gruppo nello spazio Telegram e accessibili, con le proprie credenziali, da parte di ogni componente del gruppo e che abbia consapevolmente ad esso preso parte;

– non è profilabile alcun contrasto tra contestazione e sentenza quando l’imputato abbia comunque potuto difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione, sussistendo la violazione de qua ogniqualvolta il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità di fronte al quale l’imputato non abbia potuto esercitare il proprio diritto a difendersi;

– con riferimento alle doglianze sollevate rispetto al mancato accertamento del dato numerico dei file presenti sulla chat, la Suprema Corte ha rilevato la genericità della contestazione mossa, precisando che la valutazione compiuta dalla Corte distrettuale, oltre a rappresentare un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, rappresenta puntuale declinazione del principio invalso nella giurisprudenza relativa alla fattispecie incriminatrice de qua secondo cui la configurabilità della circostanza aggravante dell’ingente quantità nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico impone al giudice di tenere conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti ma anche – così come il termine “materiale” impiegato dal legislatore autorizza a ritenere – del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene[1];

– con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, la Corte di legittimità ha sottolineato come sia stato reiteratamente affermato che il riconoscimento delle circostanze anzidette ai sensi dell’art. 62-bisp. è oggetto di un giudizio di fatto, potendo pertanto essere escluso dal giudice di merito con motivazione fondata anche sui soli elementi ritenuti ostativi alla concessione del beneficio la cui configurabilità preclude la disamina degli altri parametri di cui all’art. 133 c.p., non potendosi, in ultima battuta, sindacare per cassazione la stessa motivazione – purché congrua e non contraddittoria – altresì chiarendo che la ratio cui risponde il beneficio delle circostanze attenuanti generiche è esclusivamente quello di mitigare la pena rispetto alla forbice edittale che, nel caso di specie, la Corte di Appello non ha ritenuto passibile di alcuna attenuazione rispetto alla quantificazione effettuata già dalla sentenza di primo grado.

(…)

Dispositivo

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

[1] Cfr. ex multis Cass. Pen., sez. III, sent. n. 35876/2016, Rv. 268008; Cass. Pen., sez. III, sent. n. 39543/2017, Rv. 271461).

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