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Il nuovo reato di indebita destinazione e i suoi rapporti con la fattispecie di peculato e con la previgente fattispecie di abuso d’ufficio (distrattivo) – Cass. Pen., sez. VI, 4 febbraio 2025, n. 4520

- 31 Marzo 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

Non vi è alcuna interferenza tra la nuova fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili (art. 314 bis c.p.) e la fattispecie di peculato (art. 314 c.p.). La nuova norma incriminatrice punisce invece quelle condotte che determinano il mero mutamento della destinazione di legge del denaro o delle cose mobili pubbliche, pur sempre compatibili con i fini istituzionali dell’ente di appartenenza dell’agente pubblico (condotte prima ricondotte nell’alveo dell’abuso d’ufficio).

Il fatto 

La Corte di appello di Roma ha confermato, con riferimento al capo di imputazione di interesse in questa sede, la sentenza impugnata che condannava, a titolo di peculato, il presidente di una federazione sportiva legata al CONI.

Avverso la sentenza il ricorrente articolava diversi motivi.

In particolare, il ricorrente lamentava violazione di legge e vizio di motivazione. Secondo quanto prospettato dal ricorrente, infatti, le condotte di peculato contestate non sarebbe sussistenti per difetto del presupposto necessario della condotta: il possesso della cosa da parte dell’agente per ragioni del suo ufficio o del suo servizio. Si osservava nel ricorso, invero, che l’imputato non aveva la disponibilità autonoma dei fondi della Federazione.

Successivamente, con motivo aggiunto, il medesimo ricorrente chiedeva di annullare i capi della sentenza impugnata inerenti a tali condotte, in quanto, per come contestate, non sarebbero più punibili per effetto della recente introduzione nel codice penale del reato di cui all’art. 314 bis c.p. (“Indebita destinazione di denaro o beni mobili”), introdotta in sede di conversione del d.l. n. 92/2024, poco prima dell’abrogazione dell’art. 323 c.p., ad opera della l. n. 114/2024 (c.d. legge Nordio). Si rilevava, infatti, che la collocazione sistematica dell’articolo 314 bis (subito dopo l’articolo 314), unitamente alla clausola di riserva con cui si apre la fattispecie, inducano a ritenere che la disposizione contempli attualmente tutte le condotte di peculato per distrazione. Sarebbero però eccettuate le distrazioni che si concretizzano in una scelta discrezionale della pubblica amministrazione o che non consentono di individuare la specifica norme di legge violata, oggetto di abolitio criminis.

A ulteriore sostegno di tale argomentazione, si aggiungeva che costituirebbe un’intollerabile discriminazione che l’ordinamento punisca per il futuro solo le condotte distrattive che contrastano con quanto previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e al contempo mantenga il rilievo penale di condanne ancora sub iudice relative ad ipotesi distrattive meno gravi (in quanto si concretizzano in una scelta discrezionale della pubblica amministrazione o che non consentono l’individuazione della specifica norma di legge violata).

Le distrazioni in violazione di una specifica disposizione di legge integrerebbero dunque il delitto di cui all’articolo 314 bis cod. pen. Nel caso di specie, dovendosi applicare la lex mitior, dovrebbe allora procedersi alla rideterminazione della pena inflitta al ricorrente.

La decisione

La Cassazione non ha aderito alla tesi prospettata dal ricorrente.

Secondo i giudici di legittimità, il nuovo reato di indebita destinazione presenta, sul piano del fatto tipico oggettivo, il medesimo presupposto e l’oggetto materiale della condotta del peculato. Si osserva, infatti, che il soggetto attivo del reato deve avere, per ragioni del suo ufficio o del suo servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui. Allo stesso tempo, il reato in esame presenta più elementi dell’abuso d’ufficio: sul piano oggettivo, la condotta di destinazione del bene ad uso diverso deve contrastare, così com’era già sotto l’impero dell’articolo 323 cod. pen., come modificato nel 2020, con specifiche disposizioni di legge o con atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità; corrispondente, inoltre, è l’evento del reato (l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altro danno ingiusto) e l’elemento soggettivo, costituito dal dolo intenzionale.

In questo senso non è casuale la scelta del legislatore di non riproporre il lemma “distrae” ma di utilizzare il diverso predicato verbale “destina” Lo scopo sarebbe proprio quello di evitare equivoci circa la volontà di reintrodurre una distinzione tra peculato per distrazione e peculato per appropriazione non più contemplata nel codice penale dal 1990. Ancora, la disposizione in commento esordisce con una clausola di riserva proprio per regolare il concorso apparente tra la fattispecie di reato di peculato e l’indebita destinazione di denaro o cose mobili. In altri termini, con questa clausola di riserva determinata, il legislatore ha inteso escludere un’incidenza della nuova fattispecie sull’ambito applicativo dell’articolo 314 cod. pen., per come interpretato dal diritto vivente. Se la nozione di appropriazione che connota la condotta del reato di peculato, infatti, non ricomprendesse anche quello di distrazione, non vi sarebbe alcuna interferenza tra le disposizioni di cui agli articoli 314 e 314 cod. pen., poiché le due fattispecie contemplerebbero due condotte del tutto distinte e prive di correlazione tra di loro. In nessun caso, infatti, una destinazione di beni per finalità diverse da quelle pubbliche, ma pur sempre compatibile con la riduzione di interessi pubblici, potrebbe essere ascritta alla nozione di appropriazione.

Il legislatore, dunque, consapevole del diritto vivente, ne ha preso atto e, prevedendo la clausola di riserva, ha inteso mantenere inalterato l’ambito operativo del diritto di peculato, per come delineato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità. Le condotte di distrazione qualificabili come peculato non sono pertanto suscettibili di diversa qualificazione per effetto dell’introduzione del delitto di cui all’articolo 314 bis cod. pen. e pertanto restano punibili ex articolo 314 cod. pen. Sono questi i casi in cui la condotta distrattiva integra un’effettiva appropriazione, perché la res è sottratta in modo definitivo dalla finalità pubblica per perseguire finalità private proprie o altrui. In relazione a questa ipotesi di distrazione appropriativa, vi è dunque continuità nella qualificazione giuridica e di conseguenza nella risposta sanzionatoria che resta affidata all’articolo 314 cod. pen.

Non vi è dunque interferenza tra le due figure di reato. Ne consegue che l’articolo 314 bis cod. pen. non costituisce lex mitiorrispetto alle condotte di peculato per distrazione: queste ultime esulano pertanto dal campo di applicazione della nuova fattispecie di indebita destinazione.

La ratio dell’introduzione della nuova fattispecie di reato è invece da individuare nel sottrarre le condotte di “indebita destinazione di denaro o cosa mobili” – nell’assetto previgente ritenute condotte di abuso d’ufficio – all’irrilevanza penale conseguente all’abolitio criminis di tale ultimo reato, in tal modo evitando il contrasto con gli obblighi di criminalizzazione derivanti dal diritto dell’Unione europea. La fattispecie di indebita destinazione, dunque, interviene solo sulle condotte di abuso distrattivo di fondi pubblici finora sussunte nell’articolo 323 cod. pen. Trattasi di quelle condotte che consistono nel mero mutamento della destinazione di legge del denaro o delle cose mobili pubbliche, pur sempre compatibili con i fini istituzionali dell’ente di appartenenza dell’agente pubblico.

La locuzione “destina ad un uso diverso”, infatti. in forza della clausola di riserva adoperata, implica pur sempre l’immanenza di una finalità pubblica. Quest’ultima, per quanto differente da quella prevista dal legislatore, deve pur sempre essere presente. Ne consegue quindi che le condotte di indebita destinazione che originariamente erano ricondotte sotto l’impero della norma che puniva l’abuso d’ufficio, continuano ad essere punibili ai sensi della nuova disposizione incriminatrice. Vi è per tali condotte quindi continuità nella rilevanza penale del fatto, stante la omogeneità di elementi strutturali di fattispecie: esse continueranno ad essere punibili ai sensi della nuova fattispecie e si applicherà ex articolo 2, comma quarto cod. pen., la lex mitior costituita dalla nuova cornice edittale.

Il legislatore, comunque, rispetto alle condotte di indebita destinazione che erano punibili dalla disciplina previgente come abuso distrattivo d’ufficio, ha tuttavia inteso realizzare un’abrogatio sine abolitione parziale, in quanto non sono più punibili le condotte che non hanno comportato violazione di specifiche disposizioni di legge o di disposizioni che lasciano residuare margini di discrezionalità del pubblico agente.

Conclude, infine, la Suprema Corte che vi è stata un’ulteriore riduzione dello spazio di rilevanza penale delle condotte di indebita destinazione prima ascrivibili al reato di abuso di ufficio e ciò in relazione al presupposto della condotta: il possesso o la disponibilità della res, richiesto nella nuova norma incriminatrice, infatti è presupposto più stringente rispetto a quello previsto dall’articolo 323 codice penale, che utilizzava la formula “nello svolgimento delle funzioni o del servizio”.

Va ulteriormente aggiunto che vi è una abolitio criminis altresì per le condotte distrattive che hanno oggetto beni immobili punibili nell’assetto previgente, ma attualmente non più contemplate dall’articolo 314 bis cod. pen.

Conclusioni

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti degli imputati, in relazione al reato di cui all’art. 318 cod. Pen. così riqualificato il reato contestato al capo C), e nei confronti del solo F. anche per il reato di cui agli articoli 646, 61, n. 11 cod. pen, così riqualificato il reato contestato al capo F), perché estinti in seguito ad intervenuta prescrizione, revocando le relative statuizioni civili, nonché le confische disposte in relazione suddetti capi. Rigetta nel resto i ricorsi e dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per la rideterminazione della pena principale e delle pene accessorie nei confronti di F. in ordine ai residui reati, nonché per la quantificazione delle somme relative alla confisca e al risarcimento dei danni a favore delle parti civili. Condanna la società A. al pagamento delle spese processuali. Visto l’articolo 624 cod. proc. pen., dichiara irrevocabile la sentenza riguardo alla responsabilità di F. per i reati di peculato di cui ai capi I) e L).

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