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Cass. Pen., sez. I, ud. 9 luglio 2024 (dep. 15 ottobre 2024), n. 37899

- 4 Novembre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Se in conseguenza della riduzione di pena ex art. 442 comma 2-bis c.p.p. — disposta in sede esecutiva, quale effetto della rinuncia a proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio celebrato con le forme del rito abbreviato — la sanzione viene rideterminata in misura inferiore ad anni due di reclusione, il Giudice dell’esecuzione non può concedere la sospensione condizionale della pena. Tale evenienza, infatti, non rientra tra quelle espressamente contemplate dagli artt. 671 e 673 c.p.p. che consentono l’applicazione del beneficio dopo la definizione del procedimento di cognizione.

Svolgimento del processo 

All’esito del giudizio di merito, celebrato con le forme del rito abbreviato, F.I. veniva ritenuto colpevole del reato ascritto e condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, nonché alla pena di euro 800,00 di multa.

Il condannato decideva di non proporre appello al fine di poter beneficiare di un ulteriore riduzione di pena “netta” di un sesto, ai sensi dell’art. 442 comma 2-bis c.p.p.

Cosicché chiedeva al Giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena irrogata, domandando anche il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Al riguardo, infatti, tale beneficio non era originariamente concedibile poiché la pena inflitta era superiore al massimo edittale previsto dall’art. 163 c.p.: a seguito della riduzione “obbligata” per la rinuncia all’impugnazione, invece, la pena sarebbe stata suscettibile di sospensione condizionale.

Investito della richiesta, il G.i.p. riduceva la pena ad anni uno, mesi undici e giorni dieci di reclusione, nonché ad euro 667,00 di multa, rigettando la richiesta di sospensione condizionale, poiché la concedibilità di tale beneficio deve essere sempre valutata con riferimento alla pena inflitta in sede di cognizione.

Il G.i.p. evidenziava, altresì, che l’art. 676 c.p.p. non comprende — tra le ipotesi in cui è possibile concedere il beneficio in fase esecutiva — quella sub iudice.

Avverso l’ordinanza del G.i.p. proponeva ricorso per cassazione il condannato, articolando un unico motivo di doglianza.

In particolare, il condannato si doleva della inosservanza dell’art. 442 comma 2-bis c.p.p. in relazione agli artt. 671, 673 e 676 c.p.p., da cui conseguiva la manifesta illogicità della motivazione.

Secondo il ricorrente, infatti, il G.i.p. aveva erroneamente aderito ad un orientamento interpretativo che ritiene assolutamente intangibile il giudicato.

In realtà, deduce F.I., si sarebbe sviluppata in giurisprudenza una linea di pensiero che consentirebbe maggiori spazi di manovra al Giudice dell’esecuzione al fine di incidere sul giudicato, consentendo di esaminare i novum sopravvenuti al giudizio di cognizione, che ben potrebbero condurre a riconoscere la sospensione condizionale della pena.

A giudizio del ricorrente, inoltre, il caso in disamina non sarebbe differente dall’ipotesi in cui il beneficio sia riconosciuto in conseguenza dell’applicazione della continuazione — ex art. 671 c.p.p. — oppure in ragione della revoca parziale di una sentenza di condanna per abolitio criminis, ai sensi dell’art. 673 c.p.p.

Quindi, essendo il giudice dell’esecuzione competente a rideterminare la pena nel caso di specie, allo stesso spettano anche i poteri conseguenziali, tra cui la valutazione della concedibilità del beneficio ex art. 163 c.p.

Sul punto, il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto, l’art. 671 c.p.p. è norma eccezionale che non prevede la generale possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena in sede esecutiva. Inoltre, l’ermeneutica giurisprudenziale ha costantemente ribadito che il beneficio ex art. 163 c.p. è concedibile, in fase esecutiva, solo in seguito alla revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis o per la declaratoria di incostituzionalità.

Motivi della decisione

(…)

La Corte di cassazione ha ritenuto infondato il ricorso.

Preliminarmente, la Corte ha tenuto a precisare che il riconoscimento della sospensione condizionale della pena è oggetto di scrutinio del Giudice della cognizione

Quindi, in primo luogo, è stato rilevato che il beneficio in questione è profilo che ordinariamente deve essere valutato in fase di cognizione, sulla scorta delle condizioni oggettive e soggettive ex art. 163 c.p.; in sede esecutiva, invece, lo stesso potrà essere concesso solo in caso di riconoscimento del concorso formale o della continuazione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 27 giugno 2012, n. 29162, Rv. 253164).

In giurisprudenza si è affermato che l’art. 671 comma 3 c.p.p. non può essere applicato per analogia a casi similari: ad esempio, non può essere sospesa condizionalmente la pena che residua dalla dichiarazione di parziale estinzione per indulto, in quanto quest’ultimo beneficio non elimina gli altri effetti penali derivante dalla condanna (cfr. Cass. pen. Sez. I, 24 marzo 2023, n. 29877, Rv. 284972).

Rileva, ancora la Corte, che, oltre all’ipotesi ex art. 671 c.p.p., la sospensione condizionale in fase esecutiva può essere riconosciuta anche nel caso dell’art. 673 c.p.p.

Segnatamente, qualora il Giudice revochi le precedenti condanne per intervenuta abolitio criminis — condanne che abbiano impedito la sospensione condizionale di altra porzione di pena riferita a reato non abrogato — può concedere il beneficio ex art. 163 c.p., quale «provvedimenti[o] conseguenti[e]» alla suddetta declaratoria.

Detto potere, però, incontro un limite: infatti, il giudizio prognostico ex art. 164 c.p. compiuto dal Giudice dell’esecuzione non dovrà porsi in contrasto con quanto già eventualmente rilevato dal Giudice della cognizione.

In altri termini, se nella fase di merito il Giudice ha escluso la possibilità di sospendere la pena ritenendo il condannato immeritevole del beneficio — a prescindere dal dato ponderale della sanzione — nel giudizio di esecuzione tale statuizione non potrà essere sovvertita, poiché coperta dal giudicato (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 20 giugno 2014, n. 33817, Rv. 261433-01).

Peraltro, la Corte ha rimarcato — in maniera condivisibile — che, sia in caso di abolitio criminis della norma incriminatrice, che in caso di illegittimità costituzionale della stessa, si verificano sopravvenienze incidenti sul quadro normativo di origine e, quindi, sulla stessa valutazione prognostica — non operata in sede di cognizione — ex art. 164 c.p.

Secondo i Giudici di legittimità, tali ipotesi sono del tutto differenti da quella sub iudice, in quanto, se per un verso «è vero che la riduzione di pena matura prima che la pena stessa venga posta in esecuzione, ponendosi essa a cavallo fra la definizione della cognizione e la promozione della fase esecutiva», per altro verso, «resta il dato di fatto che il giudice della cognizione, avendo irrogato una pena detentiva superiore ai limiti fissati dall’art. 163 c.p., non aveva, in radice, la possibilità giuridica di formulare la valutazione prognostica di cui all’art. 164 c.p. Poi, il giudice dell’esecuzione, operando la riduzione automatica derivante dalla mancata impugnazione per cui aveva optato il condannato, ha determinato una pena inferiore ai suddetti limiti fissati dall’art. 163 c.p. Però, tale riduzione è intervenuta comunque — e necessariamente — in sede esecutiva, senza che tale postuma modificazione della pena appaia poter influire sugli effetti penali derivanti dalla sua determinazione in sede cognitiva, in mancanza di un’espressa indicazione del legislatore in tal senso».

In altri termini, la Corte — allineandosi alla giurisprudenza prevalente — ha ritenuto inammissibile una generalizzata possibilità di riconoscere la sospensione condizionale in sede esecutiva.

La Corte ha, da ultimo, evidenziato che tra i provvedimenti conseguenziali all’estinzione del reato non è ricompreso l’esame o il riesame della concedibilità del beneficio in oggetto.

Pertanto, conclude la Corte, «deve ritenersi non superabile rispetto alla proposta ermeneutica coltivata dalla difesa la constatata carenza, nel descritto sistema, della norma attributiva al giudice dell’esecuzione del potere di prendere in esame la questione della sospensione condizionale all’esito della riduzione di pena disposta ai sensi dell’art. 442 comma 2-bis c.p.p.».

Tali conclusioni, pur coerenti con l’impostazione normativa vigente, evidenziano il limite dell’intervento legislativo in tema di potenziamento del giudizio abbreviato, attuato con la Riforma Cartabia.

Nello specifico, è evidente che se l’obiettivo di fondo era incentivare la deflazione processuale — anche scoraggiando la proposizione di atti di gravame — oltre ad introdurre una specifica diminuente in caso di giudizio abbreviato, occorreva intervenire sui poteri del Giudice dell’esecuzione.

Al riguardo, infatti, la rinuncia all’impugnazione risulta fortemente disdegnata nei casi in cui la pena irrogata è di poco superiore al limite edittale per ottenere la sospensione condizionale.

In tali ipotesi, infatti, per scongiurare l’esecuzione della pena, l’imputato non potrà far altro che proporre impugnazione, cercando di coltivare utilmente il motivo concernente il trattamento sanzionatorio.

D’altra parte, il conferimento al Giudice dell’esecuzione del potere di concedere la sospensione condizionale non appare distonico al sistema processuale.

Se, infatti, l’attuale stato normativo impedisce tale facoltà, non si riscontrano — almeno prima facie — profili di incostituzionalità in caso di espresso riconoscimento legislativo del suddetto potere.

(…)

Dispositivo

Rigetta il ricorso.

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