SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Ai fini della configurabilità del reato di estorsione, quest’ultima fattispecie penale non può ritenersi integrata dal comportamento del datore di lavoro che prefiguri ai candidati ad una posizione lavorativa la possibilità di rinuncia parziale della retribuzione o la mancata assunzione, in quanto non sussiste prova dell’effettivo danno patito dai lavoratori rispetto al precedente stato di disoccupazione
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Potenza, ha confermato la decisione con cui il GIP presso il Tribunale della medesima città ha condannato, ad esito di giudizio abbreviato condizionato, l’imputato per il reato di estorsione.
Avverso la sentenza impugnata, il difensore del ricorrente proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.
Con il primo motivo, il legale dell’imputato eccepiva vizio di norme processuali e vizio di motivazione con specifico richiamo a determinati atti processuali, rappresentati dalla sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Potenza del 16.10.2019 e dalla nota esplicativa del verbale d’udienza del 23.11.2018 ove erano contenute le prove dichiarative rese davanti al G.u.p.
Sotto tale profilo, si evinceva una errata configurabilità della condotta della fattispecie penale oggetto di esame giacché, nel caso de quo, si rilevava un’originaria adesione consensuale del prestatore di lavoro rispetto al momento costitutivo del legame lavorativo, per cui non si ravvisava la produzione di un danno contra ius e di un ingiusto profitto.
Da ciò derivava la mancata prova in ordine all’ipotesi per cui l’imputato avrebbe profittato della condizione di fragilità psico-fisica dei dipendenti i quali non avevano mai manifestato il loro dissenso in ordine alla loro collocazione lavorativa.
Quanto al secondo motivo, il difensore di fiducia dell’agente desumeva violazione di legge, di norme processuali, e vizio di motivazione, nel senso che il giudice di merito non aveva fornito adeguata motivazione con riferimento all’effettiva sussistenza della minaccia finalizzata a comprimere l’autodeterminazione delle parti offese.
Infine, con il terzo motivo, si ravvisava la mancata individuazione dei parametri per la determinazione del trattamento sanzionatorio, in quanto l’organo giudicante non ha tenuto conto della mancanza di precedenti penali e del regolare comportamento tenuto dall’imputato in sede processuale.
Motivi della decisione
(…)
I motivi analizzati dalla Suprema Corte possono così essere articolati:
Preliminarmente, il primo motivo di doglianza della difesa del ricorrente risulta fondato, con contestuale assorbimento di quelli residui proposti.
Sul punto, la doglianza esposta dal ricorrente si basa sulla contestazione della rilevanza penale della condotta estorsiva, in quanto l’insorgenza del rapporto lavorativo non era stato delineato mediante minaccia e le relative condizioni contrattuali erano state precedentemente pattuite prima dell’effettiva assunzione delle parti offese.
La motivazione della Corte d’Appello di Potenza risulta altresì contraddittoria laddove l’organo giudicante ritenga che l’imputato tragga profitto da una condizione di bisogno dei dipendenti e sottoponga a quest’ultimi, nello stadio iniziale delle conclusioni dell’accordo, posizioni economiche di diverso tipo rispetto a quelle prefigurate in sede contrattuale.
Tuttavia, il giudice di merito si riferisce poi genericamente ad una minaccia indiretta di licenziamento durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, mediante il rinvio a rilievi probatori vaghi che non consentono un’adeguata ricostruzione dell’effettiva natura della condotta.
In altri termini, la difesa del ricorrente contesta l’indebita estensione della fattispecie penale di estorsione al momento in cui le parti offese stipulavano l’accordo contrattuale.
Sul punto, un autorevole orientamento giurisprudenziale ha ribadito che non può configurarsi l’art. 629 c.p. qualora si versi nel momento genetico della costituzione del legame lavorativo, per cui il delitto di estorsione potrà ravvisarsi soltanto nella fase di svolgimento del medesimo, in quanto il diritto alla prestazione lavorativa da parte dell’utente non può coincidere con il diritto all’assunzione promosso da una data impresa rispetto al quale non vige alcun obbligo della parte datrice (Cass. pen. Sez. VI, 3.12.2021 n. 6620).
Non può pertanto ritenersi applicabile, rispetto al caso di specie, l’opposto orientamento secondo cui risulterebbe ravvisabile la fattispecie penale di cui all’art. 629 c.p. nel caso dell’imprenditore che proponga ai prestatori di lavoro moduli di dimissioni “in bianco” per assicurarsi successivamente future adesioni, rappresentati dalla dazione di quote parziali del salario mensile e del trattamento di fine rapporto (Cass. pen. Sez. II, 20.2.2019 n. 8477).
Quest’ultima posizione ermeneutica non risulta adottabile rispetto al caso de quo, laddove non sembra che si possa desumere l’esistenza di determinati comportamenti criminosi di tale genere.
In conclusione, la Corte di Appello dovrà valutare se preesista tra le parti un semplice accordo oppure siano state promosse e contestualmente dimostrate ulteriori condotte che configurino la minaccia di escludere le parti dallo svolgimento dell’attività lavorativa mediante comportamenti estorsivi finalizzati ad ostacolare le loro lecite pretese contrattuali.
(…)
Dispositivo
La Suprema Corte annulla la decisione oggetto di impugnazione e predispone rinvio alla Corte d’Appello competente per un nuovo giudizio.