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Cass. Pen., sez. Feriale, ud. 22 agosto 2024 (dep. 23 agosto 2024), n. 33094

- 25 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Risponde del delitto di lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione dagli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, nominando un preposto non formato e preparato nel modo adeguato, dalla condotta negligente e imperita di questo, si genera un sinistro in pregiudizio di un lavoratore nell’adempimento delle sue mansioni.

Svolgimento del processo 

La Corte di Appello di Milano confermava la condanna inflitta in primo grado ad un datore di lavoro ritenuto responsabile del reato ex art. 590, co. 3, c.p., in quanto, a causa di negligenza, imperizia e imprudenza, nonché in violazione dell’art. 71, co. 4, d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, non adottava tutte le misure necessarie per prevenire l’infortunio del suo dipendente.

 

Dall’istruzione probatoria emergeva che la persona offesa, un operaio edile assunto dalla società rappresentata dall’indagato, si trovava in un cantiere posto all’ottavo del ponteggio allestito attorno ad un immobile sul quale dovevano essere eseguiti diversi lavori, tra qui quello di sollevare con carriola sacchi di cemento.

Purtroppo, durante la salita del carico in questione, il tubo sul quale si trovava agganciato l’argano, si staccava e piegandosi verso il basso, colpiva violentemente la persona offesa al volto, riportando gravi lesioni.

Tali lesioni consistevano in trauma cranico maggiore, frattura cranica, esa frontale, frattura del massiccio facciale, per le quali era stato giudicato, in un primo momento, in prognosi riservata e le cui lesioni avevano comportato l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni.

Si accertava che il distacco dell’argano veniva causato dal suo montaggio errato e difforme da quanto indicato dal manuale di istruzione; in particolare, emergeva che la struttura di sostegno dell’argano non era stata saldamente ancorata.

All’imputato, pertanto, venivano mosse tali accuse, in termini di colpa, in quanto:

 

  • il macchinario doveva essere predisposto da personale specializzato, mentre colui che l’aveva montato erroneamente era un semplice muratore (capo squadra), con il titolo di licenza elementare;
  • non era stata impartita adeguata formazione sul montaggio del macchinario, in particolare sulla predisposizione dell’organo in condizioni di sicurezza, in modo da assicurarne la tenuta sull’impalcatura;
  • il datore di lavoro non aveva esercitato l’adeguata vigilanza sul corretto espletamento delle mansioni da parte dei propri dipendenti.

Avverso la sentenza di appello, l’imputato proponeva ricorso formulando quattro motivi:

 

Con il primo motivo, il ricorrente deduceva la violazione di legge, in particolare degli artt. 299, 18 e 19 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ossia che in sede di appello non fosse stato tenuto conto del libretto di manutenzione del macchinario, messo a disposizione dei lavoratori nel cantiere: in virtù di ciò, secondo il ricorrente, il preposto aveva consapevolmente assunto i relativi compiti e vi aveva concretamente dato seguito, impartendo direttive agli operai e provvedendo egli stesso al montaggio del macchinario.

La Corte, secondo la difesa, aveva ignorato la qualifica assunta dal preposto e non ne aveva tratto le debite conseguenze.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduceva la violazione di legge ed in specie dell’art. 40 in relazione all’art. 590 c.p.: il difensore sosteneva come la causa dell’infortunio fosse stata individuato nell’insufficiente serraggio di un dado, risultato inidoneo, nella fase di montaggio dell’argano e che, ciò nonostante, la sentenza in primo grado aveva attribuito rilievo causato nella condotta del preposto, autore del montaggio.

In sostanza, il ricorrente sosteneva come la responsabilità del sinistro fosse da imputare al preposto poiché gestore del rischio connesso alla esecuzione della prestazione lavorativa.

Con il terzo e il quarto motivo, veniva dedotta altresì la violazione di legge dell’art. 43 c.p. e dell’art. 521 c.p.p. e il vizio di motivazione relativamente ai profili di colpa. Secondo il ricorrente, la Corte non si soffermava sulla c.d. causalità della colpa, non aveva chiarito, pertanto, come l’ulteriore formazione del preposto, avrebbe potuto evitare l’evento verificatosi.

La sentenza in appello aveva incentrato la responsabilità sul profilo della scelta e della formazione dei lavoratori (culpa in eligendo).

Per la Cassazione, il ricorso è inammissibile.

Motivi della decisione

(…)

Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così riassunti:

–     i primi due motivi di ricorso, con cui di censura l’affermazione di responsabilità dell’imputato, sono manifestamente infondati.

Si premette che, per la dottrina, in ragione della particolare rilevanza che il nostro ordinamento attribuisce alle norme dettate sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, il codice penale prevede un trattamento sanzionatorio aggravato nelle ipotesi di lesioni gravi o gravissime che derivano dalla violazione di predette norme.

L’interesse tutelato è l’incolumità fisica e, pertanto, l’aggravante della violazione di norme antinfortunistiche è configurabile anche nel caso in cui l’attività sia prestata dal lavoratore a titolo di amicizia, riconoscenza o comunque in una situazione diversa dal rapporto di subordinazione, posto che la normativa a tutela della sicurezza sul lavoro deve essere rispettata ogni qualvolta la prestazione avvenga in ambiente suscettibile di essere definito di “lavoro” (Cass. Pen., n. 7192/2023).

Secondo il Collegio, il datore di lavoro è tenuto a controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatagli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente, in aggiunta, impartitegli;  ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si istauri, con il consenso del preposto, una prassi “contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Cass. Sez. IV, n. 26294/2018, in senso analogo, Cass. Sez. IV, n. 10123/2020).

Perciò, il datore di lavoro è tenuto ad investire della qualifica di preposto un soggetto idoneo, sia dal punto di vista delle competenze tecniche che della formazione specifica.

Sul tema è interessante una recentissima sentenza di legittimità, ossia la Cass. Pen., sent. n. 23049/2024, nella quale sono stati ribaditi due principi giuridici fondamentali riguardanti la sicurezza sul lavoro.

Un primo aspetto riguarda l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro, il quale deve prevenire l’instaurarsi di prassi operative pericolose e contrarie alla legge, anche se adottate con il preposto. Da qui, l’ignoranza del datore di lavoro rispetto a tali prassi non esime la sua responsabilità, poiché essa stessa costituisce una colpa per omissione di vigilanza.

Ciò è stato più volte ribadito anche in altre sentenze, evidenziando altresì che la formazione e l’informazione dei lavoratori sono compiti essenziali del datore di lavoro.

Pertanto, nel caso in esame la Cassazione rilevava come il giudice di merito motivava ampiamente che l’infortuno si verificava non già per omesso controllo da parte del preposto dell’osservanza delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori, nello svolgimento dell’attività lavorativa, quanto per aver consentito il datore di lavoro che il montaggio fosse effettuato da un soggetto che non aveva ricevuto adeguata formazione: per cui, il rischio di concretizzarsi nell’infortunio, dunque, rientrava nel perimetro di quello gestito dal datore di lavoro, a cui compete, in ragione dei poteri connessi alla sua funzione, la vigilanza e ancora prima l’obbligo di assicurare una corretta formazione e conoscenza delle criticità del macchinario.

L’infortunio si verificava, secondo il coerente ragionamento effettuato dai giudici di merito, conseguentemente alla violazione di precisi obblighi gravanti non sul preposto, bensì sul datore di lavoro il quale è, per legge, tenuto a garantire la sicurezza dei lavoratori anche attraverso la formazione adeguata nell’utilizzo e prima ancora nel montaggio delle attrezzature utilizzate.

Qui ci si collega all’altro importante principio evidenziato dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 23049/2024, ossia l’interruzione del nesso di causalità dovuta alla condotta del lavoratore: sebbene la legislazione moderna consideri l’area di rischio che il datore di lavoro deve valutare, il principio fondamentale resta che non vi può essere esonero di responsabilità per il datore di lavoro nemmeno in presenza di comportamenti imprudenti del lavoratore.

La condotta del lavoratore può essere ritenuta abnorme se attua un rischio eccentrico o esorbitante rispetto alla sfera di rischio governata dal datore di lavoro, se completamente autonoma ed estranea alle mansioni che vengono affidate.

Per questo, secondo il Collegio, allora l’attività di formazione alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro.

Infatti, l’apprendimento insorgente del lavoratore e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro, non si identificano e tanto meno valgono a surrogare attività di informazione e formazione prevista dalla legge.

L’evento si verificava per condotta imperita di altro soggetto; condotta determinata dal mancato assolvimento da parte del datore di lavoro di obblighi imposti dalla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro a suo carico.

–     Anche il terzo e il quarto motivo sono manifestamente infondati, in quanto, si deve ribadire che l’aspetto della culpa in eligendo, oggetto di contestazione nel percorso argomentativo della Corte di Appello, non poteva essere qualificato come autonomo e distinto rispetto alla negligenza e imperizia e alla violazione della normativa specifica richiamata nel capo di imputazione: la mancata adozione delle misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro, fossero installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso, ricomprende anche l’affidamento delle incarico di installazione a soggetto non adeguatamente formato e preparato, su cui ha omesso di vigilare; il datore di lavoro doveva occuparsi di predisporre una formazione specifica e assicurarsi che il funzionamento e l’assemblaggio delle macchine fossero stati adeguatamente compresi e assimilati.

La Corte di Appello dava atto, con argomentazione coerente e conforme alle risultanze richiamate, che tali obblighi non erano stati assolti dal datore di lavoro.

(…)

Dispositivo

Dichiara inammissibile il ricorso.

Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

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