SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Fino all’esaurimento del rapporto esecutivo, il Giudice dell’esecuzione è competente a conoscere l’illegalità della pena — successiva, per effetto di una modifica normativa, o preesistente alla intervenuta irrevocabilità — dovendo di conseguenza provvedere alla sua rideterminazione, in virtù di una disamina da compiere alla luce della singola vicenda processuale. In caso di reati di competenza del Giudice di pace, per i quali sia stata erroneamente applicata la pena della reclusione, spetterà al Giudice della fase esecutiva rimodulare il trattamento sanzionatorio, nonché — in caso di connessione con un reato di competenza del Tribunale, per il quale sia stato già riconosciuta la sospensione condizionale della pena — valutare la possibilità di estendere il beneficio ex art. 163 c.p.
Svolgimento del processo
A.C. avanzava — al Tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione — istanza di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati ex art. 6, comma 3, d.lgs. 286/1998 e art. 496 c.p. (accertati con sentenza del G.i.p. del Tribunale che ratificava l’accordo raggiunto tra le parti e condannava l’imputato alla pena di mesi cinque e giorni 20 di reclusione, convertiti in 42.500,00 euro di multa, con beneficio della sospensione condizionale) ed i reati ex art. 582 e 612 c.p. (accertati con sentenza del Tribunale, condannando A.C. alla pena di mesi sei di reclusione).
Il Giudice dell’esecuzione, in accoglimento della richiesta difensiva, rideterminava la pena in mesi nove di reclusione, tre dei quali — irrogati con riferimento al reato accertato con la prima sentenza — sostituiti con la multa di euro 22.500,00.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione A.C., articolando plurimi motivi di doglianza.
Con il primo motivo, l’interessato si doleva della violazione dell’art. 163 c.p., nella parte in cui — riconosciuto il vincolo della continuazione — non era stata scrutinata la possibilità di estendere il beneficio della sospensione condizionale della pena anche per il reato giudicato con la seconda pronuncia di condanna.
Al riguardo, infatti, secondo il constante orientamento ermeneutico della giurisprudenza di legittimità, una volta riscontrata positivamente dal Giudice dell’esecuzione l’unicità del disegno criminoso tra i fatti oggetto di due diverse sentenze, la sospensione condizionale già disposta per uno dei due reati non è automaticamente revocata e il Giudice dovrà valutare se il beneficio già concesso si suscettibile di estensione alla pena complessivamente determinata (cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. I, 7 luglio 2021, n. 3137, Rv 282493).
Il ricorrente lamentava, inoltre, la violazione dell’art. 52 d.lgs. 274/2000, nella parte in cui era stata applicata, per il reato ritenuto più grave — le lesioni personali — la pena della reclusione, benché con il d.lgs. 150/2022 tale fattispecie sia stata attratta nella competenza del Giudice di pace.
Alla luce della modifica normativa, dunque, non poteva più applicarsi la pena della reclusione per il delitto ex art. 582 c.p., trovando, invece, riconoscimento una delle sanzioni non detentive disciplinata dal Titolo II del d.lgs. 274/2000.
Da qui, l’illegalità della pena.
Motivi della decisione
(…)
A tal proposito, la Corte ha dato atto del mutamento della competenza per materia a decidere in merito al delitto di lesioni, in forza della novella introdotta dalla Riforma “Cartabia”, mutamento non espressamente previsto dal d.lgs. 150/2022, ma implicitamente dedotto dal testo riformato.
L’impostazione è stata, peraltro, di recente rimarcata anche dalle Sezioni Unite, sollecitate a pronunciarsi su di una vicenda dai contorni analoghi a quelli sub iudice.
In particolare, è stato evidenziato che «appartiene al giudice di pace, dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia in ordine al delitto di lesione personale, nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento» (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 14 dicembre 2023, n. 12759, L., Rv 286153).
Il Supremo Consesso, nella sua composizione più estesa ed autorevole, ha tenuto, altresì, a precisare che, se l’azione penale è stata esercitata entro il 29 dicembre 2022 — prima, cioè, dell’entrata in vigore della novella legislativa che ha determinato il mutamento di competenza — non vi sarà un’automatica «applicazione delle sanzioni previste per i reati di competenza del giudice di pace, potendo risultare in concreto più favorevole anche il regime “ordinario”, in caso di concedibilità della sospensione condizionale della pena, e secondo una valutazione da compiere di volta in volta, alla luce della singola vicenda processuale».
Detto enunciato, in ossequio alla successione favorevole di leggi penali nel tempo, tende a graduare la rilevabilità della pena illegale: in caso di concessione della sospensione condizionale della pena — laddove il beneficio non poteva essere concesso stante la preclusione imposta dall’art. 60 d.lgs. 274/2000 — non potrà essere censurata l’inflizione della reclusione, in luogo di una delle pene non detentive ex art. 52 del medesimo testo di legge.
La Corte, condividendo l’impostazione proposta dal ricorrente e dal Procuratore Generale sulla scorta della citata pronuncia del Supremo Consesso, ha ritenuto fondato il motivo, ancorché formulando qualche precisazione.
Segnatamente, è stato evidenziato che «nel caso in esame, il reato di lesioni personali “lievi” per il quale il ricorrente è stato condannato era già di competenza del giudice di pace alla data della comissione (29 gennaio 2014), sicché le sanzioni applicabili erano soltanto quelle individuate dall’art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000, indipendentemente dalle modifiche normative introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022».
Dunque, ha precisato la Corte, la questione non involge la successione di leggi penali nel tempo — che, in ogni caso, avrebbe determinato l’applicazione del regime più favorevole delle sanzioni previste dal d.lgs. 274/2000 — ma esclusivamente la rilevabilità, in executivitis, della illegalità della pena.
In proposito, non può che trovare applicazione il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite Miraglia, secondo cui, «pur in presenza di un ricorso inammissibile, spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., il potere di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione ab origine contraria all’assetto normativo vigente » (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 31 marzo 2022, n. 38809, Miraglia, Rv 283689).
Tale principio di diritto costituisce l’epilogo del ribaltamento di altra impostazione condivisa dalla Suprema Corte (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 47766, Butera, Rv 265108), secondo la quale l’illegalità della pena non sarebbe deducibile dinanzi al Giudice dell’esecuzione, in quanto l’invocata rimodulazione imporrebbe una complessiva, inammissibile rivalutazione dei parametri impiegati dal Giudice di merito per determinare il trattamento sanzionatorio.
La presa di posizione delle Sezioni Unite Butera risultava, infatti, disarmonica rispetto all’esigenza, costituzionalmente imposta, di assicurare la permanente legalità della pena durante tutta la sua esecuzione.
Pertanto, ferme ed impregiudicate le conclusioni del giudice della cognizione nella selezione dei parametri di riferimento a cui ancorare la pena da applicare, la più recente evoluzione giurisprudenziale ha ritenuto di non poter disconoscere al Giudice della fase esecutiva il potere di rimodulare autonomamente il trattamento sanzionatorio, mediante l’integrale rinnovazione del giudizio di commisurazione della pena, sia sotto un profilo quantitativo — quando l’illegalità attiene ai limiti edittali minimi e massimi — sia sotto un profilo qualitativo, quando, come nel caso di specie, il novum concerne le modalità di espiazione della sanzione.
Non si registra, dunque, alcuna plausibile ragione giustificatrice capace di impedire, in executivitis, la rideterminazione del trattamento sanzionatorio illegale che attenga non al quantum, ma al quomodo, consentendo al Giudice di individuare una tipologia di pena del tutto diversa da quella illegalmente applicata all’esito del giudizio di merito.
Ciò posto, la Corte ha evidenziato — come detto — che quella impugnata era «una decisione errata in diritto, senza considerare che, come emerge dalla sentenza n. 2, la pena di sei mesi di reclusione era stata inflitta per il reato di lesioni ex art. 582 cod. pen. e per l’unificato reato di minaccia ex art. 612, primo comma, cod. pen. per il quale era prevista soltanto la pena della multa».
Pertanto, la Suprema Corte — in accoglimento del secondo motivo di gravame — ha espresso il seguente principio di diritto: «l’illegalità della pena, derivante dall’omessa erronea applicazione da parte del tribunale delle sanzioni previste per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace, è deducibile innanzi al giudice dell’esecuzione cui spetta di provvedere alla rimodulazione della pena secondo una valutazione da compiere, di volta in volta, alla luce della singola vicenda processuale che riguardi anche l’eventuale concessione della sospensione condizionale della pena, beneficio estraneo al poteri del giudice di pace».
La Corte ha, inoltre, ritenuto assorbite le censure prospettate con il primo motivo di ricorso, rimettendo al Giudice della fase rescissoria la valutazione circa la estensibilità della sospensione condizionale della pena — già riconosciuta per i reati ex art. 6, comma 3, d.lgs. 286/1998 e art. 496 c.p. — anche per i reati ex artt. 582 e 612 c.p.-
Nello specifico, il Giudice di legittimità ha prestato adesione al granitico orientamento secondo il quale, in seguito al riconoscimento della continuazione in executivitis, occorre procedere a verificare la effettiva riconoscibilità del beneficio ex art. 163 c.p. per la “nuova” pena complessivamente inflitta.
(…)
Dispositivo
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio.