
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Ai fini della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari di cui all’art. 216 ultimo comma, Legge fallimentare, spetta all’organo giudicante procederne all’accertamento sulla base dei criteri di commisurazione della pena, al di là dell’arco tempora-le della sanzione penale principale irrogata. Tale soluzione risulta giustificata in virtù dei principi di proporzionalità e colpevolezza di cui agli artt. 3, 25, 27 Cost. e dalla particolare funzione svolta dalle pene accessorie che aderiscono alle finalità di prevenzione speciale, insite nella necessità di allontanare il reo dallo stesso contesto socio-operativo e professionale in cui sono state precedentemente realizzate le fattispecie criminose, al fine di evitare l’insorgenza della recidiva
Il fatto
Il difensore del ricorrente proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale di Milano che, previa unificazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e impropria derivante da fallimento, con i reati giudicati dal GIP presso il Tribunale di Torino con sentenza emessa in data 13 novembre 2019, divenuta irrevocabile in data 1 settembre 2019, aveva irrogato nei confronti dell’imputato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la reclusione ad anni 4 e 8 mesi, la multa pari a 7000 euro e le pene accessorie fallimentari, consistenti nell’inidoneità all’esercizio di attività commerciali e allo svolgimento di uffici direttivi per la durata di 10 anni.
Con unico motivo, il legale del ricorrente eccepiva il vizio di motivazione, in quanto il Tribunale non aveva impiegato determinati parametri per l’individuazione della durata delle pene accessorie fallimentari
In altri termini, l’organo giudicante non aveva adeguatamente motivato sulla determinazione temporale di tali tipologie di sanzioni, che erano state adottate in assenza di un precedente accordo tra le parti.
Con successiva requisitoria, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha formulato richiesta di annullamento con rinvio della decisione impugnata, in merito al tema delle pene accessorie fallimentari.
La decisione
L’unico motivo analizzato dalla Suprema Corte risulta fondato sulla base delle seguenti argomentazioni.
Preliminarmente, giova osservare che il ricorso per Cassazione risulta legittimo laddove verta sul tema dell’adozione delle pene accessorie.
Secondo un autorevole arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la delimitazione dei motivi di impugnazione avverso le sentenze di patteggiamento ex. art. 448, comma 2-bis, c.p.p. concerne solamente quelle componenti del decisum che attengano all’accordo tra le parti processuali e non le questioni ulteriori rispetto a tale pattuizione (Cass. pen. S.U. 26 settembre 2019 n. 21368).
Sulla base di tale argomentazione, risulta ammissibile il ricorso del ricorrente per violazione di legge con riguardo alle pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, Legge fallimentare, le quali non hanno costituito oggetto di accordo tra le parti, e quindi non determinano l’operatività dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p (Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2019 n. 49477; Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2020 n. 16508).
Invero, costituisce onere dell’organo giudicante formulare idonea motivazione sul punto, in quanto la genesi di tale obbligo discende da una decisione della Consulta che ha ravvisato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, Legge fallimentare nel caso in cui quest’ultima normativa penale disponesse l’adozione in maniera fissa e aprioristica delle pene accessorie, così contraddicendo l’adeguamento costituzionale del testo di tale disposizione, mediante l’inserimento dell’avverbio “fino a 10 anni”; e al fine di garantirne la compatibilità con i principi di proporzione e individualizzazione della pena (Corte cost. 25 settembre 2018 n. 222).
Sul punto, la Suprema Corte ha richiamato i principi di diritto esposti dalla predetta sentenza della Corte costituzionale e ha ribadito che l’individuazione in concreto dell’entità temporale delle sanzioni penali per cui la legge dispone un limite edittale minimo e massimo rappresenta onere valutativo posto in capo all’organo giudicante sulla base dei parametri commisurativi sanciti dall’art. 133 c.p. e non connesso alla durata della pena principale irrogata ex. art. 37 c.p.
Il suddetto ragionamento logico-giuridico prefigura così la corretta adozione dei principi di uguaglianza, proporzionalità, e colpevolezza, in materia penale, che presiedono all’individuazione delle pene.
In proposito, le pene accessorie, aventi natura interdittiva o inabilitativa, alludono alla verificazione di comportamenti criminosi promossi nel contesto economico-sociale e di tipo professionale e svolgono finalità di prevenzione speciale e di reinserimento sociale del reo, nella misura in cui quest’ultimo venga allontanato dall’ambiente socio-lavorativo in cui ha perpetrato gli illeciti penali, al fine di distoglierlo dalla commissione di nuovi reati.
Dunque, spetta al giudice effettuare una valutazione individualizzata delle pene accessorie fallimentari in ordine al fatto criminoso compiuto dall’agente, attraverso un accertamento discrezionale che dovrà tenere conto del limite edittale delineato dalla fattispecie penale e dei criteri di commisurazione della pena ex. art. 133 c.p., di cui occorre fornire idonea motivazione.
Conclusioni
La Suprema Corte dispone l’annullamento della decisione impugnata con riguardo all’individuazione delle pene accessorie fallimentari e contestuale rinvio al Tribunale di Milano per un nuovo esame della questione giuridica.
Con la seguente decisione, i giudici di legittimità valorizzano l’orientamento prevalente assunto dalla Consulta, finalizzato a ribadire l’illegittimità costituzionale di qualunque automatismo di tipo sanzionatorio.
Com’è noto, le c.d. pene fisse risultano difficilmente compatibili con il volto costituzionale dell’illecito penale.
In tal senso, esse determinano non solo l’inosservanza del principio di proporzionalità, per cui le sanzioni penali devono essere proporzionate rispetto al fatto commesso, ma anche la violazione del principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, in quanto spetta al giudice valutare la corretta commisurazione delle pene in concreto, la cui irrogazione occorre che sia calibrata sulla posizione del singolo agente, in ossequio all’attuazione dei principi di uguaglianza e di personalità della responsabilità penale.