
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
L’utilizzo delle intercettazioni tra presenti, effettuate mediante captatore informatico, in un procedimento penale diverso da quello in cui sono state autorizzate, non è regolato dal comma 1 dell’art. 270, ma dal comma 1-bis dello stesso articolo. Tali esiti captativi potranno, dunque, essere utilizzati solo se risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati nell’art. 266 comma 2-bis c.p.p. Diversamente, invece, per le conversazioni realizzate sempre con captatore informativo, ma che non si svolgono tra presenti, per le quali – in ossequio alla clausola di salvezza contenuta nell’incipit del comma 1-bis – troverà applicazione la previsione contenuta nel primo comma dell’art. 270 c.p.p.
Svolgimento del processo
Il Tribunale del riesame — in sede di appello ex art. 310 c.p.p. — accoglieva l’impugnazione proposta dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza del G.i.p. di rigetto della richiesta di misura cautelare.
L’ordinanza del Tribunale del riesame veniva impugnata dall’imputato con ricorso per cassazione, mediante l’articolazione di plurimi motivi di doglianza.
In primo luogo, il ricorrente censurava la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, sulla scorta della erronea applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite “Cavallo”, in tema di circolarità delle intercettazioni.
In particolare, la difesa rimarcava la necessità di rintracciare una connessione rilevante ex art. 12 c.p.p. tra il reato per il quale è intervenuto decreto di autorizzazione e il reato emerso dai risultati delle intercettazioni, non bastando il mero collegamento investigativo, in quanto solo un vincolo qualificato potrebbe attrarre anche il secondo reato nel provvedimento autorizzatorio.
Pertanto, siccome le intercettazioni erano state disposte in un procedimento concernente un tentativo di omicidio, non potevano essere utilizzate nel giudizio sub iudice, concernente un episodio di cessione sostanza stupefacente.
Con il secondo motivo, il ricorrente censurava l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione all’art. 270 comma 1-bis c.p.p.
Segnatamente, si evidenziava che l’approccio ermeneutico adottato dal Tribunale del riesame — secondo cui, la clausola di riserva ex art. 270 comma 1-bis c.p.p. legittimerebbe l’acquisizione delle intercettazioni nel diverso procedimento anche per delitti diversi da quelli previsti dall’art. 266 comma 2-bis c.p.p. — tradirebbe l’impostazione adottata con il D.Lvo. n. 161 del 2019.
Nello specifico, il legislatore avrebbe limitato la circolarità delle intercettazioni, prevedendo l’utilizzabilità dei risultati per la prova di reati diversi da quelli originariamente autorizzati, solo se compresi tra quelli indicati dall’art 266 comma 2-bis c.p.p., vale a dire delitti di criminalità organizzata e dei delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione che siano puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni.
Pertanto, secondo il ricorrente, doveva concludersi per l’inutilizzabilità degli esiti captivi per i reati non ricompresi tra quelli ex art. 266 comma 2-bis c.p.p., diversi da quello per cui è stato autorizzato l’inserimento del captatore informatico.
Al riguardo, il Procuratore Generale domandava il rigetto del ricorso o, in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 270 comma 1-bis c.p.p. per contrasto con l’art. 3 della Costituzione in relazione alla irragionevolezza palese degli effetti che discendono dalla interpretazione restrittiva proposta dalla difesa.
Motivi della decisione
(…)
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il secondo motivo di doglianza, concernente la portata del comma 1-bis dell’art. 270 c.p.p.
Preliminarmente, la Corte ha tenuto a precisare che l’art. 270 c.p.p. — come modificato dal D.L.vo n. 161/2019 — ha previsto, al primo comma, due distinte deroghe al generale divieto di utilizzazione di captazioni effettuate in diverso procedimento: «la prima, che ricalca la disciplina previgente, consente la circolazione extraprocedimentale delle intercettazioni in relazione all’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza; la seconda concerne i reati di cui all’art. 266, comma 1, cod. proc. pen.».
Ciò premesso, i Giudici di legittimità non hanno mancato di rimarcare come il nucleo centrale della questione ermeneutica sia rappresentato dall’interpretazione dell’art. 270 comma 1-bis cp.p., rilevante nel caso di specie.
Al riguardo, la Corte ha ammesso, da subito, la problematica interpretazione del menzionato comma 1-bis e, soprattutto, della clausola di apertura, nella parte in cui fa salvo il disposto del comma 1, clausola che ha indotto il Tribunale del riesame a ritenere applicabile, nel caso di specie, il primo comma dell’art. 270 c.p.p.
Sul punto, è stato evidenziato che «un’attenta lettura dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen. induce a ritenere che le restrizioni previste dal legislatore con riferimento alle intercettazioni operate con captatore informatico valgano unicamente per le conversazioni tra presenti (…) la precisazione contenuta nel corpo della norma, che si rivolge a “i risultati delle intercettazioni tra presenti”, limita a questa ipotesi l’ulteriore specificazione contenuta nell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen. Pertanto, ove attraverso il captatore informatico si registrino conversazioni tra presenti, l’utilizzo di dette intercettazioni sarà consentito al di là dei limiti di autorizzazione del decreto che ha disposto l’intercettazione solo per l’accertamento dei più gravi delitti indicati dall’art. 266, comma 2-bis, cod. proc. pen.».
Tale scelta legislativa, secondo la Corte, sarebbe giustificata dalla necessità di limitare l’utilizzo del mezzo di ricerca della prova in procedimenti diversi da quelli per i quali è intervenuto apposito decreto autorizzativo, per l’accertamento di delitti di particolare gravità e allarme sociale, attesa la particolare invasività del mezzo stesso, che consente, nel caso precipuo di conversazioni tra presenti, intercettazioni in incertam personam.
Detta opzione normativa rientra, com’è noto, tra le prerogative del legislatore nell’attuazione del bilanciamento di valori costituzionali tra loro contrastanti, prerogativa insindacabile fuori dall’ipotesi di manifesta irragionevolezza.
Per tale motivo, la Corte ha ritenuto «che non vi siano le condizioni per sollevare la questione di legittimità costituzionale proposta dal Procuratore Generale».
Da ultimo, i Giudici di legittimità hanno tenuto a precisare che, nel caso in cui «l’intercettazione effettuata mediante captatore si svolga con modalità che non riguardino le conversazioni tra presenti (come nel caso di chiamate vocali tra due persone), la clausola di salvezza indicata nell’incipit della formulazione dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen. consente di ricondurre il caso nell’ambito della previsione di cui al primo comma dell’art. 270 cod. proc. pen.» e, dunque, sarà possibile l’utilizzo della conversazione intercettata in altro procedimento, ove rilevante e indispensabile per l’accertamento di reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza e dei reati di cui all’art. 266 comma 1 c.p.p.
Per tali motivi, la Corte ha conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: «in tema di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni operate con captatore informatico per reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto autorizzativo, la previsione di cui all’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui limita l’utilizzazione all’accertamento dei delitti indicati nell’art. 266, comma 2-bis cod. proc. pen., è riferita alle sole intercettazioni tra presenti. Non così per le conversazioni che non si svolgano tra presenti, realizzate anche mediante captatore, rispetto alle quali vale la clausola di salvezza contenuta nell’incipit dell’art. 270, comma 1-bis, cod. proc. pen., che rinvia alle condizioni previste nel primo comma dell’art. 270 cod. proc. pen.».
(…)
Dispositivo
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale.