SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Ai fini della configurabilità della causa di non punibilità per tenuità del fatto ex. art. 131-bis c.p., occorre che l’organo giudicante accerti la sussistenza congiunta di due presupposti contenuti in tale normativa, rappresentati dalla mancata reiterazione del comportamento criminoso dell’agente e dalla minore lesività del danno o del pericolo.
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Salerno ha confermato la decisione emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania con cui l’imputata era stata condannata per i reati di cui all’art. 44, lett. c., d. P. R. n. 380/2001poichè, avendo la proprietà di un appezzamento soggetto alla disciplina in materia di limiti ambientali e paesaggistici ex. d.lgs. n. 42/2004, costruiva strutture abitative (seminterrato), mura e impianti abusivi, privi della prescritta autorizzazione e violava contestualmente le disposizioni antisismiche e quelle relative alle norme in materia di edilizia.
Avverso la sentenza impugnata, il difensore della ricorrente proponeva ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Con il primo motivo, il legale dell’imputata contestava la mancata osservanza delle norme processuali e del diritto di difesa poiché, in virtù dell’art. 601, terzo comma, c.p.p., introdotto dall’art. 34, primo comma, lett. g, d.lgs. n. 150/2022 il termine di comparizione in appello è individuato in 40 giorni e non più in 20 giorni.
Quanto al secondo motivo, il difensore della ricorrente lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per tenuità del fatto ex. art. 131-bis c.p.
Sotto tale profilo, il giudice di merito non ha valorizzato ai fini dell’applicazione della suddetta normativa penale la mancata abitualità della condotta contestata all’agente e la minima offensività del danno prodotto, nel senso che non sarebbe stata provocata una seria modificazione della natura paesaggistica e ambientale.
Sotto tale profilo, il reato contestato acquisirebbe valenza permanente e tale modello dogmatico contrasterebbe con l’interpretazione secondo cui le condotte dell’agente sarebbero reiterate.
Giova poi precisare che sussisterebbe istanza di condono pendente per talune opere, mentre per altre costruzioni vi sarebbe già permesso per l’edificazione.
Infine, con il terzo motivo la difesa eccepiva mancata osservanza o inesatta adozione della normativa penale e delle norme processuali, nonché violazione dei termini di prescrizione, poiché la Corte territoriale aveva erroneamente calcolato il periodo di commissione dei reati a far data dal 31.03.2016 e l’autorità giudiziaria al momento della scoperta del fatto aveva omesso di riferire sulle attività di lavoro in corso.
Sulla base delle doglianze rilevate dal legale di fiducia del ricorrente, il Procuratore generale formulava richiesta di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
(…)
I motivi analizzati dalla Suprema Corte possono così essere articolati:
Preliminarmente, il primo motivo di ricorso risulta infondato.
Invero, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha disposto che il termine di comparizione in appello, pari a 40 giorni, come desunto dall’art. 601, terzo comma, c.p.p. è applicabile soltanto per le questioni impugnate dall’1.7.2014.
Nel caso de quo risulta invece adottabile l’antecedente disciplina processuale che prevede il minore termine di comparizione pari a 20 giorni, in quanto l’atto di appello è stato predisposto nella fase temporale in cui era in vigore il precedente regime normativo, e ciò non risulta contestato nemmeno dalla ricorrente.
Quanto al secondo motivo, anch’esso risulta infondato poiché illogico e affetto da evidente genericità.
Sul punto, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità è stato motivato in virtù dell’assenza della specifica tenuità dell’offesa desunta dai molteplici abusi perpetrati dall’agente nel contesto edilizio, naturalistico, e antisismico; mentre la questione giuridica sostenuta dalla difesa della conformità dell’art. 131-bis c.p. rispetto al modello dogmatico di reato permanente non acquisirebbe alcuna rilevanza.
Invero, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che ai fini della configurabilità della causa di non punibilità per tenuità del fatto, non è sufficiente il mancato rispetto di una pluralità di disposizioni, tenuto conto dell’integrale offensività della condotta (Cass. Sez. III, 10.3.2016 n. 19111).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto non lievi tutte quelle reiterate condotte che si sono articolate nella creazione di strutture abitative prive delle necessarie autorizzazioni edilizie e in cui risultano mancanti i progetti per la costruzione, l’atto di denuncia allo sportello competente, il nulla osta paesaggistico.
Inoltre, i reati commessi dall’imputata hanno procurato un danno ambientale grave che ha determinato una radicale modifica territoriale, in virtù delle nuove costruzioni.
Tale giudizio di gravità dell’offesa non può essere nemmeno messo in dubbio dalla preesistenza di una richiesta di condono e di un permesso di costruzione di taluni edifici, la cui difformità risulta peraltro pacificamente ammessa dall’agente.
Sotto tale profilo, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha precisato che una valutazione sulla minore lesività del fatto impone un’analisi complessa che attenga alle tipologie dell’azione e alla minore offensività del danno o del pericolo, dovendo l’organo giudicante contemperare tutti gli aspetti peculiari della norma incriminatrice e non solo il grado di aggressione all’interesse protetto (Cass. pen. Sez. Un., 25.2.2016 n. 13681).
Dunque, il giudice dovrà chiarire se, in base all’esistenza dei parametri della tipologia della condotta, della minore lesività del danno e dell’assenza di reiterazione del comportamento criminoso, vi siano gli estremi per la configurabilità dell’art. 131-bis, c.p.
Infine, il terzo motivo non è ammissibile e quindi risulta infondato.
Come può osservarsi, il reato urbanistico è classificabile tra gli illeciti penali permanenti, per cui la fase della consumazione è individuabile nel momento in cui vi sia l’inizio della costruzione delle opere architettoniche e degli impianti e dura fino alla fine dell’attività edilizia illecita, con conseguente decorso successivo della prescrizione.
Giova rilevare che la giurisprudenza di legittimità ricollega la cessazione dei lavori al completamento dell’opera, alla sospensione dell’attività attuata in via volontaria o secondo quanto prescritto dalla legge, all’emanazione di una decisione di primo grado (Cass. pen. Sez. III, 25.9.2001 n. 50620; Cass. pen. Sez. III, 4.11.2015 n. 49990; Cass. pen. Sez. III, 6.5.2014 n. 29974).
Nel caso di specie, il dies a quo coincide con la data del 12.11.2019 e il pregresso periodo del compimento dei fatti criminosi desunto dalla difesa in base a generiche allegazioni non risulta provato.
Giova osservare come il motivo di appello risulti generico e non consenta di identificare un differente momento di cessazione della permanenza.
Da ciò deriva il mantenimento della data del 12.11.2019 che costituisce periodo temporale entro cui si è realizzato il sequestro, per cui l’illecito penale non può ritenersi prescritto.
(…)
Dispositivo
La Suprema Corte reputa non ammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.