435 views

Cass. Pen., sez VI, ud. 3 aprile 2024 (dep. 4 settembre 2024), n. 33584

- 4 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

La natura privata delle Onlus non esclude il reato di peculato ai sensi dell’art. 314 c.p., nei confronti del suo Presidente quando colui che agisce lo fa per fini pubblici e sulla base di finanziamenti pubblici.

Svolgimento del processo 

La ricorrente proponeva ricorso avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Palermo.

Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale in questione rigettava il ricorso proposto dalla signora, indagata per il reato di peculato ai sensi dell’art. 314 c.p., avverso il decreto di sequestro preventivo della vettura in possesso della stessa, una “Opel Mokka”.

Difatti, l’indagata risultava essere Presidente di una società cooperativa di assistenza sociale e le veniva contestato di essersi appropriata, in ragione del suo ufficio e della disponibilità del bancomat della Onlus, del denaro da destinare agli ospiti della cooperativa, nonché di un’autovettura di proprietà della medesima. In particolare, la ricorrente concludeva con la cooperativa un contratto simulato per il quale procedeva all’acquisto della vettura Opel Mokka al prezzo simbolico di Euro 500,00, diversamente dal suo reale valore ben più alto.

Pertanto, avverso l’ordinanza, si rivolgeva alla suprema Corte di Cassazione deducendo un unico motivo, ossia l’assenza di natura pubblicistica della cooperativa sociale.

A motivazione della deduzione, la ricorrente asseriva che proprio per l’assenza della natura pubblicistica della cooperativa sociale, la qualifica di incaricato di pubblico servizio, e dunque il delitto di peculato, non ricorrerebbe.

Bensì, si configurerebbe esclusivamente un reato di appropriazione indebita, per il quale mancherebbe la condizione di procedibilità.

L’indagata nel suo ricorso sosteneva la natura privata delle Onlus, intese come enti che non esercitano un pubblico esercizio, bensì organizzazioni del tutto private che perseguono un fine meritevole e, per il quale, ricevono anche un trattamento fiscale di favore.

Per tale ragione, non poteva essere del tutto corretto sostenere la natura pubblica del denaro, il quale veniva ricevuto per conto dell’ente pubblico a titolo di corrispettivo delle prestazioni svolte, ossia come retribuzione; tutto ciò a differenziare dallo stipendio percepito da un pubblico ufficiale.

Il Tribunale del riesame, per sostenere al tesi della natura pubblicistica dell’attività svolta dall’indagata, richiamava anche una sentenza della Corte di Legittimità che poco si attagliava al caso sottoposto all’esame, avendo riguardo all’attività svolta dalle associazioni di promozione sociale e non prettamente cooperative.

E ancora, secondo la difesa, i fondi ricevuti dalla cooperativa risultavano essere il frutto di un accordo di natura privatistica e che, quindi, per ogni pagamento effettuato dal Comune in favore della cooperativa, la stessa emetteva regolare fattura.

Non a caso, sempre per la difesa, l’esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio da parte dell’agente deve essere escluso quando l’attività svolta sia in forma privatistica, sia ne fosse parte una persona giuridica pubblica o una società partecipata interamente da un ente pubblico.

Motivi della decisione

(…)

Ripercorrendo le argomentazioni della motivazione, è necessario primariamente delineare la nozione di pubblico ufficiale (art. 357 c.p.) e di incaricato di pubblico servizio (art. 358 c.p.), così come sono stati disciplinati dal legislatore, in chiave oggettiva-funzionale.

In dottrina, la condotta incriminata dalla norma sul peculato consiste nell’appropriazione di denaro o altra cosa mobile altrui compiuta esclusivamente da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

Si denota perciò un comportamento tenuto “come proprietario” da parte dell’agente nei confronti della cosa, che si manifesta con atti compatibili con il titolo per cui si possiede quel bene, così da realizzare una interversione nel possesso e l’interruzione della relazione funzionale tra il bene ed il legittimo proprietario.

Perciò, affinché si realizzi ciò, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, non basta acquisire la materiale disponibilità della cosa ma occorre che il soggetto eserciti tale interversione nel possesso con la volontà di tenere per sé il bene.

Tanto premesso, per la Suprema Corte la qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 357 c.p., è attribuita a colui che è chiamato a svolgere attività aventi carattere accessorio e sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, che può manifestarsi nelle forme della pubblica funzione legislativa, giudiziaria e amministrativa.

Rientrano nella categoria i soggetti muniti di poteri autoritativi e certificativi: gli indici che, pertanto, consentono di individuare la funzione amministrativa sono il potere di determinare al volontà dello Stato o di altro ente pubblico e di rappresentarne all’esterno le decisioni, il potere autoritativo, inteso come espressione di un rapporto di sovraordinazione del pubblico ufficiale nei confronti del privato e il potere di attestazione e documentazione di un’attività giuridicamente rilevante.

Perciò, ai fini del riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale, non deve aversi riguardo alla natura dell’ente, né alla tipologia di rapporto di impiego, né il rapporto di dipendenza con l’ente, ma deve valutarsi esclusivamente la natura dell’attività effettivamente espletata dall’agente.

Anche il concetto di incaricato di pubblico servizio (ai sensi dell’art. 358 c.p.), come quello di pubblico ufficiale, originariamente era concepito secondo quanto dettato dalla concezione per la quale un soggetto poteva essere qualificato tale in presenza di un rapporto di impiego con un determinato ente.

Solo nel 1990, il legislatore ha inteso modificare la propria posizione a favore di una concezione oggettiva, in base alla quale è incaricato di pubblico servizio colui che presta, a qualsiasi titolo, un servizio pubblico facendo riferimento esclusivamente al tipo di attività concretamente svolta.

Il servizio pubblico può allora essere definito come l’attività diretta a soddisfare finalità pubbliche, quelle perseguite dallo Stato, anche attraverso l’iniziativa di altri enti o di soggetti privati.

Più nello specifico, il servizio pubblico è un’attività regolamentata in forma pubblicistica e oggettivamente diretta all’esecuzione e alla realizzazione di finalità pubbliche di utilità sociale, caratterizzata da rapporto di accessorietà e complementarietà nei confronti della funzione pubblica, dalla quale però si differenzia anche per l’assenza di poteri autoritativi.

La giurisprudenza ha stabilito che l’attività dei pubblici ufficiali e quella degli incaricati di un pubblico servizio non sono separate e diversamente finalizzate, dato che sia le mansioni più elevate, sia quelle dimera esecuzione, concorrono a soddisfare su piani diversi gli interessi e i bisogni della collettività.

Il comma 2 dell’art. 358 c.p. esplicita proprio il concetto di servizio pubblico rendendolo omologo alla funzione pubblica ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima  (ossia poteri deliberativi, autoritativi).

Al netto di ciò, il parametro che delimita il pubblico servizio è identico alla pubblica funzione ed è costituito da regolamentazione pubblicistica che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità, sulla base del principio di legalità.

Sostiene la Corte di legittimità che agli effetti della legge penale, l’esercizio della pubblica funzione o del pubblico servizio da parte dell’agente deve essere escluso quando l’attività svolta dal soggetto sia regolata in forma privatistica.

Gli articoli in questione non consentono secondo la Corte, diversamente da quanto sostiene la difesa, di desumere la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio dalla qualità dell’ente di appartenenza, in quanto la funzione pubblica può essere svolta sia da soggetti privati che pubblici.

Per completezza argomentativa, a livello dottrinale, è necessario anche distinguere il peculato dalla figura di appropriazione indebita quanto alla qualifica del soggetto attivo, nonché per il bene giuridico tutelato e le modalità di aggressione del bene giuridico costituito dallo sfruttamento del rapporto tra agente e cosa.

Ora, la Corte nel corpo della sentenza, conferma quanto sostenuto con diversi arresti  di legittimità, per cui la condotta di un Presidente di un associazione svolgente attività di socio assistenziale che, indebitamente, si appropria di somme di denaro ricevute a titolo di finanziamento da parte di un ente pubblico, integra il delitto di peculato se il trasferimento del denaro da parte di suddetto ente sia avvenuto con un vincolo di destinazione, risultante da espressa disposizione normativa o da una sua manifestazione di volontà, in virtù del quale la gestione del denaro, che conserva la sua natura di pecunia pubblica, comporta lo svolgimento di un servizio pubblico (si veda, Cass. Sez. VI, n. 51923/2016).

E così in senso uniforme, il Presidente di un’associazione di volontariato riveste la qualifica di pubblico servizio, con la conseguenza che la condotta di appropriazione di somme di denaro, erogate all’associazione dalla Direzione Regionale della protezione civile per il perseguimento delle finalità pubbliche del sistema, integra il delitto di peculato (Cass. Sez. VI, n. 14171/2020).

E ancora, altra giurisprudenza di legittimità continua ad affermare che anche i soggetti inseriti nella struttura organizzativa di una società per azioni possono essere qualificati come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio qualora l’attività della società sia disciplinata da norme di diritto pubblico e persegua delle finalità pubbliche, sia pure con strumenti privatistici (si veda, Cass. Pen. Sez. VI, n. 37675/2020).

In più, è necessario specificare che per la consumazione del delitto di peculato non è rilevante che il denaro sia di proprietà dello stesso ente pubblico presso cui opera il pubblico ufficiale, quanto si tratti di denaro di spettanza di altri e di cui l’agente sia venuto in possesso in ragione della funzione pubblica svolta (Cass. Pen. Sez. VI, n. 8050/2019).

Il momento della consumazione del delitto di peculato non coincide con quello in cui ci si appropria dolosamente di beni mobili o somme di denaro: l’appropriazione avviene proprio nel momento di accreditamento delle stesse somme sul conto corrente (si veda, Cass., Pen., n. 42061/2017)

L’agente del delitto di peculato deve essere consapevole dell’appropriazione: la natura generica del dolo del reato comporta, ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo, è sufficiente che coscienza e volontà ricadano sulla condotta di appropriazione del denaro di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni del suo ufficio (Cass. Pen. Sez. I, n. 25774/2022).

Anche con riferimento all’utilizzo della vettura, la giurisprudenza ha precisato che la condotta del pubblico ufficiale o dell’incarico di pubblico servizio che utilizza reiteratamente l’autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata, configura il reato di cui all’art.314, co. 1, c.p., in quanto realizza una condotta appropiativa di un bene della pubblica amministrazione per la cui integrazione è sufficiente l’esercizio da parte dell’agente di un potere uti dominus tale da sottrarre il bene alla disponibilità dell’ente (si veda, Cass. Pen., Sez. VI, n. 13038/2016).

Nessuna violazione di legge è pertanto ravvisabile per la Corte nell’ordinanza impugnata, la quale ha correttamente ritenuto che la Onlus, di cui faceva parte l’indagata in qualità di Presidente, svolgesse un servizio pubblico di assistenza sociale, dal momento che operava sulla base di convenzioni con gli enti locali e per il quale, il ricorso definisce “la sua retribuzione, non diversamente dallo stipendio del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio”.

(…)

Dispositivo

Alla luce di quanto riportato, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

- Published posts: 338

webmaster@deiustitia.it

Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.