SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
In tema di contratto di locazione, non è ravvisabile alcuna violazione del canone di buona fede da parte del locatore che, previa manifestazione di sollecito di pagamento per precedenti canoni rimasti inadempiuti, si avvalga della clausola risolutiva espressa dedotta nell’accordo, poiché se l’inadempimento della parte conduttrice si rivela “effettivo”, secondo una valutazione da compiersi oggettivamente (e non secondo il requisito della colpa), può ritenersi legittimo l’esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto, atteso che gli artt. 1175 e 1375 c.c. svolgono la funzione di evitarne l’abuso e così escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall’ordinamento. Tale pretestuosità non si ravvisa nel comportamento della parte che intenda avvalersi della clausola risolutiva espressa, qualora dall’indagine complessiva del rapporto non emerga alcun abuso dell’esercizio del diritto potestativo che trova origine nell’accordo negoziale.
Svolgimento del processo
La decisione della Cassazione si incentra sulla clausola generale della buona fede che deve permeare nel rapporto contrattuale tra le parti.
In punto di fatto, la vicenda vede contrapposte una società a responsabilità limitata che, previa cessione a suo beneficio di un ramo di azienda di bar-pasticceria, era subentrata nel contratto di locazione, ai sensi dell’art. 36 l. 27 luglio 1978, n. 392, in cui controparte era una persona fisica.
La locatrice – avvalendosi della clausola contenuta nel contratto – aveva domandato al Tribunale l’accertamento della risoluzione di diritto a causa del mancato pagamento di due canoni a cadenza mensile, nonché degli oneri condominiali che dovevano essere versati due anni prima.
In ordine alla tempistica, emerge che il ricorso ex art. 447-bis c.p.c. fu depositato il 17 luglio 2018.
Tale dato è importante, poiché la società convenuta, quale difesa, assunse di aver già provveduto al pagamento dei canoni il 19 giugno 2018 e degli oneri condominiali il 19 luglio 2018, sebbene vi fosse contestazione da parte della conduttrice, dovendo essere detratte le spese, da essa sostenute per risolvere “problemi legati al cattivo funzionamento della cisterna di raccolta condominiale dei liquami”.
In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione contrattuale e di condanna al rilascio.
La decisione veniva confermata in appello.
Con l’unico motivo di ricorso, la società soccombente censurava per cassazione il comportamento tenuto dalla locatrice, ritenuto – nella sua interezza – contrario a buona fede, innalzando a propria difesa il principio espresso in giurisprudenza per cui “il contraente che invochi una clausola risolutiva espressa viola i doveri di buona fede e abusa del suo diritto potestativo tutte le volte in cui, pur in presenza di fatti legittimanti l’operatività della clausola, non si sia consumata una effettiva e significativa lesione del suo interesse”.
Per il ricorrente, le corti di merito non avevano fatto buon uso di tale principio ermeneutico, laddove avevano statuito che “l’interesse della locatrice è stato senz’altro leso, perché ella, alla scadenza dei termini previsti, non ha ricevuto per due volte il canone e, quanto a quello di maggio (scaduto il 10 maggio 2018) il ritardo è stato superiore al periodo di comporto stabilito dall’art. 9 del contratto (30 gg.); e perché con ritardo ancor più forte ha ricevuto gli oneri condominiali (risalenti al 2016)”.
Per il ricorrente la lesione dell’interesse della locatrice era insussistente, atteso che parte conduttrice aveva sempre pagato, con puntualità, i precedenti ventidue canoni mensili della locazione, da versarsi anticipatamente al giorno 10 di ogni mese.
Osservando con attenzione la dinamica dei fatti – sosteneva la ricorrente – non vi era ragione per non dare rilevanza fatto che i canoni di maggio e giugno 2018 fossero stati versati successivamente alla scadenza con ritardo imputabile, nel primo caso, ad un semplice problema amministrativo di disposizione dell’addebito bancario del bonifico, nonché, quanto al secondo pagamento, provvedendovi ampiamente nei limiti del contratto.
In altre parole, sebbene il pagamento non fosse stato tempestivo, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità è da considerarsi recepita la coordinata ermeneutica secondo cui il riferimento alla scadenza di un termine non sia di per sé sufficiente a deporre per la relativa essenzialità e la conseguentemente ineluttabile risoluzione del contratto.
Resisteva con controricorso la locatrice, domandando che il procedimento fosse definito in via accelerata considerato che l’unico motivo posto a base del ricorso fosse manifestamente infondato e inammissibile.
La tesi prospettata evidenziava che:
- la clausola risolutiva espressa è volta a predeterminare e individuare formalmente, in maniera specifica, le modalità di inadempimento considerate ex se gravi, sottraendole alla valutazione giudiziale ex art. 1455 c.c., garantendo alla parte adempiente, proprio in virtù dell’accordo contenuto nella clausola, di sottrarsi al vincolo contrattuale in maniera spedita e in via stragiudiziale, manifestando la volontà di avvalersi della clausola risolutiva; la pattuizione di una clausola risolutiva espressa rende, infatti, irrilevante l’indagine circa l’importanza di un determinato inadempimento, che è valutata anticipatamente dalle parti;
- certamente sussiste l’obbligo del giudicante di riscontrare il rispetto del principio generale di buona fede o correttezza, in forza del quale i soggetti sono tenuti, nell’ambito dei rapporti della loro vita di relazione, e quindi anche nelle loro relazioni contrattuali, a prescindere dalla mancanza di specifici obblighi positivamente stabiliti, a mantenere un comportamento leale; trattasi di principio generale che vale non soltanto come regola di condotta, ma anche come fonte legale integrativa del contratto, quale regola volta a determinare il comportamento dovuto in relazione alle concrete circostanze in cui il rapporto si attua, regola che si specifica in obblighi di informazione e di avviso, è tesa alla salvaguardia dell’utilità altrui (nei limiti dell’apprezzabile sacrificio della parte tenuta ad osservarla) ed alla cui violazione conseguono profili di responsabilità.
Dunque, nel caso di specie non era ravvisabile alcuna violazione della clausola generale di buona fede, sicché i giudizi di merito avevano riscontrato che, da un lato, il mancato pagamento anche di un solo canone, oltre a integrare l’inadempimento previsto dalla clausola risolutiva espressa, aveva leso effettivamente anche l’interesse della locatrice e, dall’altro, che il comportamento della locatrice non avesse manifestato alcun carattere strumentale o di mala fede, che invece era ravvisabile nel condotta complessiva del ricorrente.
Motivi della decisione
(…)
La Cassazione rigetta il ricorso.
I principi di diritto che costituiscono le fondamenta della decisione attengono allo spettro di operatività della clausola generale di buona fede, secondo cui l’agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, tenuto conto proprio di questa clausola generale, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione, sicché qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola, appaia comunque conforme al criterio della buona fede, non sussiste l’inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente (cfr. Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 2023, n. 8282).
Di conseguenza, se l’inadempimento si riveli “effettivo” secondo una valutazione da compiersi oggettivamente (e non secondo il requisito della colpa), può ritenersi legittimo – riguardato, questa volta, il canone della bona fides con riferimento al contegno assunto dalla parte non inadempiente – l’esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto, atteso che gli artt. 1175 e 1375 c.c. svolgono la funzione di evitarne l’abuso e così “escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall’ordinamento” (cfr. Cass. civ., Sez. I, 23 novembre 2015, n. 23868).
Nel caso di specie, il comportamento della locatrice era stato pretestuoso?
La Cassazione fornisce risposta negativa.
Nel giudizio di appello, la Corte aveva dato contezza che nell’affermare l’effettività dell’inadempimento della società ricorrente e, per converso, la non “abusività” dell’esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto di locazione, da parte della locatrice, ha operato una valutazione scevra da vizi, pervenendo alla conclusione che le condotte della conduttrice avessero leso l’interesse della locatrice.
Il mancato pagamento dei canoni da parte della conduttrice aveva disatteso una delle obbligazioni principali del contratto ex art. 1587 c.c.
Ciò non è l’unico motivo per dare rilevanza alla lesione dell’interesse della parte locatrice.
Invero, sempre la Corte territoriale ha ben messo in luce che al primo mancato pagamento del canone – che, comunque, faceva seguito ad una morosità già nella corresponsione degli oneri condominiali, perdurante dall’inizio del contratto e protrattasi per circa due anni – si fosse, poi, aggiunto un nuovo inadempimento, quello relativo alla rata del canone di giugno 2018, essendo rimasta senza riscontro la comunicazione della locatrice che sollecitava il pagamento di quanto dovuto.
Solo nell’istante in cui la locatrice si è avvalsa della clausola risolutiva la controparte provvedeva a sanare integralmente la morosità ed è proprio qui che si cela un dato fondamentale per la valutazione giudiziaria.
Nel merito, questo comportamento complessivo era stato interpretato – si legge nella sentenza di cassazione – nei termini di “una condotta di malafede della conduttrice, per avere essa deciso di procrastinare scientemente la sua morosità, approfittando della buona disponibilità della locatrice e contando sulla sua remissività, essendo stato, per giunta, pure escluso dal Tribunale di Livorno che vi fossero stati i disguidi bancari, inizialmente dedotti dalla conduttrice a giustificazione del mancato pagamento della rata di maggio 2018”.
Tanto basta per ritenere corretta l’applicazione che la Corte fiorentina ha fatto del canone della buona fede oggettiva
(…)
Dispositivo
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese di giudizio.