
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Il divieto di rappresentanza dell’ente previsto dall’art. 39 D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in capo al legale rappresentante che sia imputato del reato presupposto, non si estende a colui che sia stato imputato in un procedimento penale esauritosi con sentenza irrevocabile di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Il fatto
Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello aveva dichiarato l’inammissibilità delle impugnazioni proposte da due enti imputati ai sensi del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione ai reati c.d. presupposto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) e falso ideologico (art. 479 c.p.), ascritti ai rispettivi rappresentanti legali per avere indebitamente ottenuto finanziamenti finalizzati alla realizzazione o ristrutturazione di due frantoi oleari.
Nei procedimenti penali a carico dei rappresentanti legali delle due società, si era già pervenuti, in via separata, all’emissione di due sentenze di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati, divenute irrevocabili negli anni 2010 e 2011.
A seguito della sentenza di primo grado, resa in data 13 febbraio 2023, che aveva riconosciuto la responsabilità delle due persone giuridiche, con contestuale condanna alle sanzioni pecuniarie e interdittive, i rappresentanti legali avevano nominato due nuovi difensori per gli enti conferendo loro procura speciale ai fini della proposizione dell’atto di appello.
La Corte d’Appello, però, con la sentenza quivi impugnata riteneva che i rappresentanti legali versassero, rispetto alle predette nomine, in una perdurante situazione di conflitto di interessi a causa della loro pregressa posizione processuale di imputati dei reati dai quali erano scaturiti gli illeciti contestati alle società ricorrenti.
Ritenendo, dunque, violato il dettato dell’art. 39 D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, la Corte di merito concludeva per il difetto di legittimazione in capo ai due legali rappresentanti dichiarando, conseguentemente, l’inammissibilità delle impugnazioni proposte.
Con motivi pressocché sovrapponibili, proponevano ricorso per Cassazione i due enti-imputati deducendo la violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale esteso la causa di incompatibilità del legale rappresentante dell’ente di cui all’art. 39, comma I, D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 anche al legale rappresentante non più imputato, bensì destinatario, in epoca ben antecedente alla nomina del difensore, di una sentenza irrevocabile di proscioglimento.
Si sottolineava, difatti, come la predetta disposizione sancisse al suo interno un principio generale, contenuto nel lemma «l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale» e una ed unica deroga «salvo che questi sia [e non anche sia stato] imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo». Ponendosi, dunque, tale eventualità come un’eccezione alla regola generale, a parere dei ricorrenti, non poteva essere suscettibile di un’interpretazione analogica.
Una delle società ricorrenti, poi, con il secondo motivo di censura, eccepiva altresì la nullità dell’intero procedimento sostenendo che, laddove si dovesse aderire ad una interpretazione estensiva del predetto art. 39, essendo il legale rappresentante indagato sin dal principio, egli non avrebbe mai potuto nominare alcun difensore di fiducia della società e, quindi, già nella fase delle indagini preliminari il Pubblico Ministero avrebbe dovuto nominare un difensore d’ufficio per l’ente; onere, questo, tuttavia, mai adempiuto dalla Pubblica Accusa.
La decisione
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha accolto il motivo comune ad entrambi i ricorsi, con effetto assorbente rispetto alle ulteriori doglianze dedotte.
Richiamando la propria consolidata giurisprudenza in tema, invero, il Giudice nomofilattico ha evidenziato come il conflitto di interessi cristallizzato nella disposizione di cui all’art. 39, comma I, D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, si configuri come presunto in via assoluta (cd. iuris et de iure), e non richieda una verifica in concreto da parte del giudice che, per l’effetto, non è gravato di alcun onere motivazione sul punto (cfr. Cass. pen., Sez. II, 31 gennaio 2024, n. 13003; Cass. pen., Sez. III, 13 maggio 2022, n. 35387).
Il medesimo principio di diritto, d’altronde, era già stato sancito dalle Sezioni Unite Gabrielloni del 2015, che pronunciandosi sul punto, avevano puntualizzato che «la disposizione vieta esplicitamente al rappresentante legale, che sia indagato/imputato del reato presupposto, di rappresentare l’ente, una proibizione che si giustifica perché il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse o nell’ interesse di terzi ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante». Proprio a tal motivo, continua il Supremo Consesso, «il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è, dunque, assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; d’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale» (cfr. Cass. pen., Sez. Un., 28 maggio 2015, n. 33041).
Alla luce di tale panoramica giurisprudenziale, però, la Corte di legittimità precisa che la questione giuridica attinente agli odierni ricorrenti risulta parzialmente differente rispetto alle pronunce appena richiamate.
Il fulcro del quesito, invero, può essere così sintetizzato: il divieto di rappresentare l’ente nel procedimento penale può estendersi anche al rappresentante legale che sia stato indagato o imputato in un procedimento penale esauritosi prima della nomina del procuratore speciale?
Ebbene, a tale interrogativo il Giudice di legittimità ha fornito una risposta negativa.
Secondo la Corte, invero, il primo comma dell’art. 39 D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non può trovare applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti, e, dunque, la sua portata non può essere estesa in via analogica a situazioni in cui il rappresentante legale non rivesta più, al momento del conferimento della procura speciale, la qualità di imputato.
In tal senso depone certamente il tenore letterale della disposizione, che impiega il tempo verbale al congiuntivo presente (“sia imputato”), escludendo, dunque, implicitamente il riferimento a soggetti che abbiano cessato tale qualità.
D’altronde, una siffatta conclusione poteva altresì essere dedotta dalla trama motivazionale delle già menzionate Sezioni Unite Gabrielloni che pongono un accento proprio sulla contemporaneità della qualifica personale rivestita dal legale rappresentante al momento del conferimento del mandato difensivo dell’ente («quello della non legittimazione, con riferimento alla imputazione degli effetti di atti posti in essere nell’ interesse dell’ente indagato, da parte del rappresentante contemporaneamente indagato del reato presupposto, deve intendersi, appunto, principio di carattere generale che permea di sé l’ intero procedimento»).
Al medesimo epilogo, poi, conduce anche una seconda argomentazione. La Corte di Cassazione, invero, rammenta che ai sensi dell’art. 60, comma II, c.p.p., «la qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna».
Ebbene, nei casi di specie (come è stato correttamente osservato nei ricorsi) la declaratoria di prescrizione emessa nei confronti dei legali rappresentanti delle società ricorrenti, in difetto di contestuali statuizioni civili, non potrebbe dar luogo neanche alla revisione dei processi allora avviati contro di loro (sul punto, Cass. pen., Sez. Un., 25 ottobre 2018, n. 6141), escludendo de facto ogni possibile reviviscenza della posizione processuale pregressa dei rappresentanti legali.
L’ultimo argomento menzionato dalla Corte, infine, riguarda il carattere eccezionale della disposizione in esame. Il divieto di rappresentanza previsto dall’art. 39, comma I, D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, difatti, costituisce una deroga al principio generale secondo cui l’ente è rappresentato nel processo penale dal proprio legale rappresentante. Ed è proprio il suo carattere eccezionale, in pieno accordo con quanto statuito all’art. 14 delle preleggi, che non rende la disposizione suscettibile di essere applicata oltre i casi in essa considerati.
Conclusioni
La Suprema Corte di Cassazione, in accoglimento delle impugnazioni elevate, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata disponendo, al contempo, la trasmissione degli atti alla Corte di Appello, in diversa composizione, per ulteriore corso.