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Cass. Pen., sez. VI, ud. 8 ottobre 2024, (dep. 24 ottobre 2024), n. 39111

- 10 Dicembre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Qualora il sanitario ponga in essere condotte che travalicano la mera assistenza sanitaria, fornendo un contributo dotato di rilievo causale-condizionalistico all’associazione mafiosa e, in particolare, alla figura apicale sussistono gli estremi del reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso e non il delitto di favoreggiamento personale con l’aggravante mafiosa.

Svolgimento del processo 

 Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Palermo, in qualità di Giudice del riesame, previa riqualificazione del fatto provvisoriamente contestato come partecipazione all’associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) (capo 1 dell’incolpazione provvisoria) in favoreggiamento personale aggravato (artt. 378, commi 1 e 2, 384-ter; e 416-bis.1, c.p.), sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

  1. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, deducendo due motivi.

2.1. Vizio di motivazione quanto alla riqualificazione delle condotte contestate in favoreggiamento aggravato.

Il Tribunale, pur avendo riconosciuto come provate tutte le condotte contestate all’indagato, ha circoscritto il rilievo penale ad alcune di esse, giungendo a qualificare il fatto come favoreggiamento, attraverso un percorso motivazionale carente ed illogico.

Premesso che l’indagato ha prestato in più occasioni assistenza sanitaria al latitante M.M.D., pur consapevole del fatto che questi era ricoverato nell’ospedale sotto falso nome, il Tribunale non ha spiegato perché la condotta di assistenza sanitaria sarebbe priva di rilievo penale (se perché atipica oppure non antigiuridica).

Anche l’episodio della consegna da parte dell’indagato a M.M.D. di un cellulare con nuova utenza, il 14 novembre 2020, durante la degenza post-operatoria del latitante, è motivata in modo manifestamente illogico.

Il Tribunale ha infatti affermato come tale utenza fosse funzionale a creare soltanto un canale di comunicazione sicuro tra il M.M.D. e B. (cl. 69). Tuttavia, tale conclusione non è suffragata da dati concreti.

Non considera, inoltre, come la disponibilità dell’utenza, e quindi di internet, permetta di effettuare chiamate o mandare messaggi che sfuggono alle successive verifiche dei tabulati e, più in generale, di connettersi, sotto le più svariate forme, con chicchessia. Infine, anche a ritenere che la consegna dell’utenza avesse creato “soltanto” tale canale privilegiato, resterebbe il fatto che il L.C. ha comunque svolto un ruolo importante nella catena di comunicazioni tra M.M.D. e l’organizzazione mafiosa di cui era a capo nella provincia di Trapani.

L’indagato ha di fatto operato in stretta sinergia con i cugini B. (cl. 67 e cl. 69), allora pedine strategiche nello scacchiere mafioso a disposizione del latitante, fungendo da fondamentale raccordo tra gli associati, tanto più che le sue condotte si inserivano in un momento di crisi particolare che investiva l’intera associazione mafiosa, per il fatto che l’arresto del suo vertice avrebbe inevitabilmente compromesso l’intera attività di “(OMISSIS)”.

2.2. Vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari e alla sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari.

Il Tribunale ha giudicato le esigenze cautelari «di particolare intensità», in ragione della «particolare gravità della condotta dell’indagato», il quale ha manifestato un‘«allarmante disponibilità nei confronti del sodalizio mafioso». Poi, però, in modo contraddittorio, ha ritenuto superabile la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere «alla luce del particolare contesto in cui sono maturate le condotte delittuose, occasionate dal ricovero di M.M.D. nell’ospedale dove prestava servizio l’indagato», peraltro contraddicendo le precedenti valutazioni sulla irrilevanza penale dell’assistenza sanitaria prestata al latitante.

Motivi della decisione

(…)

Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:

 

–     in primo luogo, non configurano reato le mere condotte di assistenza sanitaria prestate dall’indagato in quanto la fruizione di assistenza sanitaria rientra sotto l’ombrello delle tutele costituzionali riservate a qualunque individuo e che, quindi, la prestazione corrispettiva mai potrebbe assurgere a rilievo penale;

 

–     è configurabile l’ipotesi di cui all’art. 378 c.p.  con preferenza rispetto all’art. 416-bis c.p. là dove non si ravvisi un’interazione organica e sistematica con gli associati, bensì l’aiuto prestato in modo episodico ad uno dì essi, con ciò che ne consegue in termini di elemento soggettivo, non richiedendosi, nella prima ipotesi, a differenza che nella seconda, alcun animus sodi.

A ritenere, come assumono i Giudici del provvedimento impugnato, che l’indagato non facesse stabilmente parte della compagine associativa mafiosa – salvo, cioè, quanto sarà precisato immediatamente di seguito -, non si sarebbe dovuta escludere, in luogo del semplice favoreggiamento, la configurabilità del c.d. concorso esterno in associazione mafiosa (artt. 110, 416- bis c.p.).

Di tale ipotesi di reato ricorrerebbero, infatti, i presupposti da tempo messi a sia sul piano sia oggettivo (il contributo causale verificabile ex post, in termini condizionalistici), sia sul piano soggettivo (il dolo di recare un contributo alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, nella consapevolezza e con la volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio).

(…)

Dispositivo

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio, al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, c.p.p.

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