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Cass. Pen., sez II, ud. 25 giugno 2024 (dep. 3 luglio 2024), n. 25969

- 29 Luglio 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo nel reato di ricettazione, il dolo eventuale è ravvisabile qualora il soggetto attivo accetti l’eventualità che il bene acquisito derivi da attività illecita, e ciò si distingue rispetto alla condotta di colui che, privo di adeguata diligenza, non si avveda della provenienza criminosa della res, come ad esempio nel caso di acquisto di cose di sospetta origine criminosa.

Svolgimento del processo 

La Corte di Appello, ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale, in quanto ha ritenuto che per il delitto di porto di oggetti idonei a recare nocumento, non si dovesse procedere nei riguardi dell’agente poiché quest’ultima fattispecie penale risultava estinta per prescrizione.

 Quanto al secondo capo di imputazione, l’organo giudicante confermava a carico del prevenuto la condanna per il delitto di ricettazione di un dispositivo elettronico derivante dal reato di furto e, considerato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, procedeva alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio nella misura di 4 mesi di reclusione e 100 euro di multa.

Avverso la sentenza impugnata, il difensore del ricorrente proponeva ricorso per cassazione sulla base di tre motivi:

Con il primo motivo, il legale dell’imputato eccepiva vizio di motivazione in merito all’elemento psicologico del delitto di ricettazione.

Sul punto, la Corte d’Appello non avrebbe effettuato corretta motivazione in ordine alla sussistenza del predetto elemento psicologico dell’illecito penale giacchè la cognizione dell’origine criminosa del notebook non potrebbe automaticamente desumersi dalla mancata elaborazione da parte dell’imputato di motivate argomentazioni dedicate al possesso della res.

 Da ciò derivava la contestuale violazione dell’art. 64, terzo comma, c.p.p. nel senso che il compito di prefigurare da parte dell’agente valide giustificazioni con riguardo alla genesi lecita del possesso, non delinea necessariamente l’inversione dell’onus probandia suo carico, bensì  la possibilità di optare per una colpevolezza presunta soltanto qualora le dichiarazioni siano avulse o irragionevoli rispetto alle questioni di tipo processuale; e quest’ultima situazione non sembrava configurarsi nel caso di specie.

Quanto al secondo motivo, il difensore del ricorrente delineava l’inesatta adozione dell’art. 648 c.p. rispetto al reato contravvenzionale di acquisto di cose di sospetta provenienza di cui all’art. 712 c.p.

Com’è noto, tali fattispecie penali divergono per l’elemento soggettivo, in quanto nell’ipotesi di ricettazione occorre che l’agente abbia certezza della derivazione illecita della cosa; mentre ai fini della configurabilità dell’art. 712 c.p. basta la mancata e colposa valutazione della provenienza illecita del bene.

Sulla base degli atti processuali e delle dichiarazioni dei testimoni che sono stati sentiti, il comportamento del prevenuto potrebbe sussumersi in una condotta poco diligente e nel mancato controllo sull’affidabilità e sul lecito possesso del bene da parte del venditore; e tale situazione deriverebbe dalla condizione socio-culturale dell’agente, inteso quale soggetto fragile, straniero e non sempre in grado di comprendere l’italiano, nonché dal contesto sociale in cui si sono svolti i fatti.

 Quanto al terzo motivo, la difesa eccepiva vizio di motivazione con riguardo alla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis., c.p., la cui mancata adozione veniva giustificata sulla base di una interpretazione univoca dei precedenti penali dell’imputato, al di là di un reale approfondimento dei parametri caratterizzanti quest’ultimo istituto.

Motivi della decisione

(…)

I motivi analizzati dalla Suprema Corte possono così essere articolati:

 

  • preliminarmente, i primi due motivi sono entrambi inammissibili.

Sulla base di un autorevole orientamento giurisprudenziale, risulta configurabile il delitto di ricettazione a carico del prevenuto che abbia la disponibilità di beni di qualunque tipo e non fornisca alcuna legittima motivazione della liceità del possesso, in mancanza di dati probatori da cui possa desumersi la provenienza illecita derivante da furto (Cass. pen. Sez. II, 19.4.2017 n. 20193).

 Giova osservare che ai fini dell’integrazione dell’art. 648 c.p., costituisce prova qualunque parametro, anche mediato, e pertanto anche la mancata o inesatta individuazione da parte dell’agente, della derivazione della res acquisita (Cass. pen. Sez. II, 22.11.2016 n. 53017).

 Il suddetto ragionamento logico-giuridico discende dalla medesima struttura del delitto di ricettazione che ai fini della valutazione sull’origine illecita del bene, presuppone l’esigenza di un’analisi sulle modalità di ricezione del medesimo.

  Infine, la suddetta fattispecie penale ammette anche il dolo eventuale che si realizza qualora il prevenuto abbia messo in conto il rischio della derivazione criminosa della cosa, non circoscrivendo il suo comportamento ad un’assenza di diligenza nell’attività di verifica e controllo, come nell’ipotesi dell’art. 712 c.p. (Cass. pen. Sez. II, 21.4.2017 n. 25439; Cass. pen. Sez. II, 20.9.2013 n. 41002)

 Nel caso de quo, la Corte di appello ha statuito che l’imputato, in possesso del notebook di derivazione furtiva, non avesse prefigurato una motivazione ragionevole della lecita provenienza della res, con riguardo alle modalità di acquisto, alle circostanze di tempo, luogo, fatto, all’individuazione del venditore e alla dazione del prezzo pagato, per cui poteva agevolmente desumersi il dolo eventuale nell’accettazione del rischio da parte dell’agente che il dispositivo elettronico acquistato fosse di origine criminosa.

  • Quanto al terzo motivo, esso risulta fondato.

 Com’è noto, la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. presuppone un’analisi articolata e peculiare dell’illecito penale che abbia ad oggetto, le tipologie della condotta, la gravità della colpevolezza e la rilevanza del danno o del pericolo.

 Inoltre, l’adozione dell’art. 131-bis c.p. è condizionata al compimento da parte del soggetto attivo di plurimi reati della medesima indole che connotino il requisito dell’abitualità e si differenzino rispetto all’illecito penale in oggetto.

 Quindi, la mancata adozione di tale istituto che sia fondata soltanto sui precedenti penali desunti dal casellario giudiziale risulta fallace giacché l’unica situazione in cui i precedenti penali acquisiscano valenza ostativa è rappresentata dallo stato di delinquenza abituale, professionale, per tendenza

 Orbene, nel caso di specie uno dei due illeciti penali derivanti dal casellario giudiziale risultava estinto per positiva valutazione del prevenuto in ordine alla sospensione con messa alla prova, per cui quest’ultima fattispecie penale non risultava rilevante ai fini del riconoscimento dell’abitualità della condotta quale fattore ostativo, in quanto l’estinzione del reato fa venire meno ogni esito derivante dalla condanna.

Sotto tale profilo, la Corte di appello avrebbe dovuto compiere un approfondimento giuridico sulla particolare tenuità, soffermandosi sui criteri di tipo oggettivo che sono menzionati nell’art. 131-bis, primo comma, c.p.

(…)

Dispositivo

La Suprema Corte dichiara l’annullamento della decisione impugnata con riferimento all’adozione dell’art. 131-bis c.p. e rinvia a nuovo giudizio di competenza di una diversa sezione della Corte di appello.

Quanto agli ulteriori rilievi oggetto del ricorso, se ne dichiara l’inammissibilità.

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