
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Antefatto della causa. 3. Le motivazioni della pronuncia della Corte di giustizia.
Massima
Nel determinare il diritto all’indennizzo per i familiari di una vittima di omicidio, non è sufficiente basarsi esclusivamente sui legami familiari formali. È necessario considerare ulteriori fattori, come l’entità del danno effettivamente subito dai familiari esclusi, per garantire un risarcimento che sia equo e proporzionato.
Antefatto della causa
Il 18 settembre 2018, il Tribunale di Padova ha condannato un uomo per l’omicidio della sua ex compagna a trent’anni di reclusione, imponendogli anche il pagamento di un’indennità provvisoria: 400.000 euro per ciascuno dei due figli della vittima, 120.000 euro al padre, alla madre e alla sorella, e 30.000 euro al coniuge superstite, da cui la vittima era separata ma non divorziata. Tuttavia, poiché l’imputato era insolvente, lo Stato italiano, in applicazione del Decreto ministeriale del 22 novembre 2019 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 23 gennaio 2020), ha erogato un indennizzo ridotto rispetto a quello originariamente stabilito. Sono stati corrisposti 20.000 euro a ciascun figlio della vittima e 16.666,66 euro al coniuge separato.
La normativa italiana sull’indennizzo per i reati intenzionali violenti stabilisce che i genitori di una vittima deceduta possano ricevere un indennizzo solo in assenza di coniuge e figli, mentre i fratelli e le sorelle hanno diritto all’indennizzo esclusivamente in mancanza dei genitori della vittima.
Il 1° febbraio 2022, i genitori, la sorella e i figli della vittima si sono rivolti al Tribunale ordinario di Venezia, giudice del rinvio, chiedendo il riconoscimento di un indennizzo «equo e adeguato», proporzionato al danno stabilito dalla sentenza di condanna dell’omicida.
In questo contesto, il giudice del rinvio ha sollevato una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia, interrogandosi sulla compatibilità della normativa italiana, che esclude automaticamente dall’indennizzo alcuni familiari di vittime di reati intenzionali violenti in caso di omicidio, con la Direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato.
Le motivazioni della pronuncia della Corte di giustizia
La Corte di giustizia ha fornito una significativa interpretazione della nozione di “vittima” ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Questa definizione comprende non solo le vittime dirette di reati intenzionali violenti, ma anche i loro parenti stretti che, in qualità di vittime indirette, subiscono le conseguenze del reato. Poiché la direttiva non offre una definizione esplicita di “vittima” né rinvia al diritto nazionale per determinarne il significato, la Corte di giustizia ha stabilito che essa rappresenta una nozione autonoma del diritto dell’Unione, da interpretare uniformemente in tutto il territorio europeo, tenendo conto del significato comune del termine, del contesto normativo e degli obiettivi perseguiti.
Dal punto di vista linguistico, il termine “vittima” può riferirsi sia a chi subisce direttamente il reato, sia ai familiari stretti che ne soffrono indirettamente le conseguenze. Sul piano normativo, l’obiettivo dell’articolo 12, paragrafo 2, è garantire a tutti i cittadini dell’Unione un risarcimento equo e adeguato per i danni subiti a seguito di reati intenzionali violenti nel territorio degli Stati membri. Limitare la definizione di “vittima” solo a chi sopravvive al reato, escludendo i parenti delle persone decedute, priverebbe tale disposizione della sua efficacia, poiché lascerebbe scoperti i familiari delle vittime decedute.
Riguardo ai sistemi nazionali di indennizzo, la Corte di giustizia ha chiarito che gli Stati membri hanno un margine di discrezionalità nell’istituzione dei rispettivi regimi, ma questi devono garantire un indennizzo che non sia puramente simbolico o inadeguato rispetto alla gravità delle conseguenze del reato. Inoltre, eventuali criteri di priorità tra familiari, basati esclusivamente sull’ordine successorio o sui legami familiari, non possono portare all’esclusione automatica di taluni parenti dal risarcimento. Tali sistemi devono invece considerare elementi quali il sostentamento economico fornito dalla vittima deceduta o la convivenza con essa, nonché le conseguenze materiali e morali subite dai familiari. In caso contrario, il risarcimento non potrebbe essere considerato equo e adeguato, come richiesto dalla direttiva.
La Corte di giustizia ha anche sottolineato che un sistema di indennizzo che esclude determinati familiari in favore di altri, senza tener conto delle loro specifiche condizioni, non risponde all’obbligo di fornire un indennizzo proporzionato. Se, ad esempio, un giudice penale ha riconosciuto un risarcimento ai familiari per i danni causati dalla morte della vittima, ma l’autore del reato è insolvente, il sistema nazionale deve garantire che tali familiari non restino privi di indennizzo. In questo contesto, l’assenza di un risarcimento adeguato mina la funzione stessa del sistema di indennizzo imposto dalla direttiva.
Alla luce delle considerazioni che precedono, è necessario predisporre un sistema che assicuri un risarcimento sufficiente per alleviare sia i danni materiali che quelli morali delle vittime dirette e indirette, evitando discriminazioni basate esclusivamente sui legami familiari o sull’ordine successorio, in conformità con gli obiettivi della direttiva 2004/80.