
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
La Quinta Sezione penale, in tema di diffamazione, stabilisce che, in caso in cui il delitto sia commesso attraverso una trasmissione televisiva, in danno a più persone e aggravato dall’attribuzione alle stesse di un fatto determinato, la competenza territoriale per connessione deve essere determinata in base al criterio supplettivo previsto dall’art. 9, co. 1, c.p.p.
Il fatto
Con ordinanza del 20 maggio 2024, il Tribunale di Bologna ha rimesso gli atti alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 24 -bis c.p.p. (introdotto dalla Riforma Cartabia), chiedendo la risoluzione, in via pregiudiziale, della questione di competenza per territorio nel procedimento istaurato nei confronti di F.R e M.O. per diffamazione aggravata, ex art. 595, co. 3, c.p.: agli imputati, in qualità di autori di un servizio televisivo, veniva contestato di aver “offeso la reputazione” di N. R., D. O., P.V., nel corso del servizio intitolato “ Inter-Juve, il mistero dell’audio del V. “sparito” sul caso Pjanic”, all’interno del programma “Le Iene”.
Il servizio in oggetto sembrava mettere alla luce una frode sportiva tra i tre al fine di favorire Juventus Football Club, nel corso dell’incontro Inter-Juve del 28.04.2018.
Il Giudice rimettente premetteva che:
- la competenza per territorio era stata individuata dal Pubblico Ministero in ragione del luogo di residenza della persona offesa (nello specifico di P.V. primo querelante);
- la difesa degli imputati sollevava tempestivamente eccezione di incompetenza per territorio, in favore del Tribunale di Monza, nel cui circondario rientra il luogo di trasmissione del servizio televisivo, o del Tribunale di Roma, luogo di residenza di entrambi gli imputati, chiedendo di rinviare gli atti a questa Corte ex art. 24-bis c.p.p., nello specifico deducendo il difetto dei presupposti di applicazione dell’art. 30, co. 5 cit. dal momento che gli imputati non rientrerebbero tra i soggetti per cui la norma eccezionale prevede una deroga ai criteri di competenza ordinari per territorio, nonché contestando la stessa vigenza della norma ( a seguito della Sent. della Corte di Cass. n. 150/2021) e nella precisazione che fosse stata sporta un’unica querela dalle tre persone offese;
- il Pubblico Ministero si è opposto, riportandosi a quanto indicato nell’atto di querela con riferimento alla competenza;
- le parti civili si sono opponevano.
Il Tribunale riteneva che agli imputati fosse contestato di aver attribuito alle persone offese un fatto determinato; ha evidenziato come costoro, quali “autori” del servizio diffuso con mezzo televisivo e con carattere diffamatorio, non fossero annoverabili tra i soggetti contemplati dall’art. 30, co. , l. n. 223/1990. Il Tribunale altresì ha dato conto di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicazione del criterio speciale di competenza, previsto all’art. sopra enunciato, soltanto a chi rivesta una delle qualifiche di cui al comma 1, ovvero a chiunque commetta il delitto di diffamazione, esponendo i piani ermeneutici in discorso e chiarendo come essi condurrebbero ad una distinta decisione sulla questione di competenza per territorio (radicandosi così, nell’un caso, innanzi al Tribunale di Monza ex art. 9, co. 1 c.p.p., luogo di trasmissione del programma, nell’altro, ex art. 30, co. 5 l. n. 223/1990, innanzi al Tribunale di Bologna).
Il Sostituto Procuratore generale chiedeva di dichiarare inammissibile la questione sollevata, alla luce della giurisprudenza di legittimità, considerata esplorativa (cfr. Cass. Sez. III, n. 11400/2023); altresì chiedeva di annullare l’ordinanza “nel merito, qualora si dovesse optare per una presa di posizione specifica del remittente, oggettivamente il capo di imputazione indichi in modo sufficientemente chiaro la sussistenza di un fatto determinato a contenuto diffamatorio”.
In subordine, affermare la competenza territoriale del Tribunale di Bologna, luogo di residenza della persona offesa, attribuendo rilievo alla “sussistenza del fatto determinato”, come da consolidata giurisprudenza (Cass. Sez. V, n. 26919/2024).
I rispettivi avvocati delle parti, quanto all’interesse delle parti civili, il Collega presentava una memoria dove evidenziava che il giudice, nel rimettere la questione di competenza alla Suprema Corte, doveva motivare e spiegare le regioni della scelta e prendere esplicita posizione sull’eccezione motivata; di contro, l’avvocato nell’interesse degli imputati, presentava memoria nella quale contestava la fondatezza di quanto esposto dal Procuratore Generale in ordine alla competenza per territorio; indicava le ragioni per cui escludeva l’applicazione del criterio di competenza per territorio previsto ai sensi dell’art. 30, co. 5 l. n. 223/1990; ribadiva che nel caos di specie, non fosse applicabile il criterio in quanto non era possibile determinare il luogo di residenza della persona offesa, dal momento che le persone offese fossero residenti in tre luoghi differenti e che, pertanto, la competenza per territorio dovrebbe essere determinata in forza delle regole generali poste dagli artt. 8 e ss. del c.p.p., e della regola suppletiva di cui all’art. 9, co. 1 c.p.p. ovvero all’art. 9, co. 2, stesso codice.
La decisione
I motivi analizzati dalla Suprema Corte possono essere così articolati:
- per la Suprema Corte, il giudice competente per territorio deve individuarsi nel Tribunale di Monza e, pertanto, deve dichiararsi incompetenza per il Tribunale di Bologna.
Con riferimento alla competenza per territorio, la Corte esplica che non ricorre l’inammissibilità della questione in quanto, l’art. 24-bis c.p.p. contempla il rinvio pregiudiziale alla Suprema Corte disponendo che “la questione concernente la competenza per territorio possa essere rimessa anche di ufficio (…)”.
Il nuovo istituto è volto a prevenire è volto a prevenire a una determinazione della competenza per territorio nell’udienza preliminare o in dibattimento, nell’ambito degli atti introduttivi, più specificamente, in sede di questioni preliminari.
La legge processuale non esplicita i parametri cui deve uniformarsi il giudice nel disporre il rinvio pregiudiziale, stabilendo unicamente che la rimessione degli atti debba essere disposta con ordinanza, con provvedimento motivato. La giurisprudenza di legittimità, sin dalle prime decisioni relative al nuovo istituto, ha tracciato i criteri di riferimento che il giudice deve utilizzare per rimettere alla Corte di Cassazione, perché quest’ultima determini la competenza per territorio. Difatti, la scelta del giudice rimettente deve essere operata solo al cospetto di questioni di una certa serietà, in modo da evitare potenziali usi strumentali dell’istituto derivanti da un automatismo defaticante.
A sostegno di ciò, si richiama anche l’art. 24-bis co. 2, cit., a mente del quale il giudice rimette alla Suprema Corte gli atti necessari alla risoluzione della questione. E ricordiamo che, ai fini dell’ammissibilità del rinvio, il giudice è tenuto a motivare la propria determinazione (…).
L’onere motivazionale non può essere assolto solo mediante la semplice prospettazione di esigenze “esplorative”, essendo necessaria un’argomentazione delle possibili soluzioni alternative.
Con riferimento, invece, al criterio di determinazione della competenza, la Suprema Corte afferma che occorre verificare se sia attualmente vigente tale criterio, previsto dall’art. 30, co. 5, l. n. 223/1990.
Il comma in esame fissa nel luogo di residenza della persona offesa il parametro di determinazione della competenza per territorio, qualora si proceda per i reati di cui al co. 4 del medesimo articolo.
La Corte ha però dichiarato l’illegittimità dell’art. 30 co. 4 cit., in quanto in tema di diffamazione, la competenza per territorio deve essere stabilità in applicazione del co. 5 cit., con riferimento al foro di residenza della persona offesa (Cfr. Cass. Sez. V, n. 34507/2024).
La Corte ha dichiarato illegittimo, per violazione degli artt. 21 e 117 Cost., l’art. 13 della L. 8 febbraio 1948, n. 47, che costituiva una lex specialis rispetto alle due aggravanti dell’art. 595 c.p., comma 2 e comma 3. Pertanto, è stato possibile osservare che la dichiarazione di illegittimità dell’art. 30, co. 4 abbia la funzione di elidere il trattamento sanzionatorio, proprio come l’art. 13, sopra menzionato.
Alla luce di quanto esposto, il Collegio perviene alla conclusione che in relazione ai fatti di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell’attribuzione di un fatto determinato, sia conseguita un’espansione della sfera di applicazione dell’art. 595 c.p., compreso del comma 3, cfr. Sent. 150/2021.
Il rinvio contenuto dall’art. 30, co. 5, l. n. 223/1990, ha riguardo una specifica disposizione contenuta nel medesimo corpo normativo, ossia una speciale disciplina per taluni reati, indice inequivoco che l’art. 30, co. 5, cit. abbia inteso richiamare il precedente co. 4 nel testo che illo tempore è stato dettato, per delimitare la portata del criterio speciale di determinazione della competenza quando la diffamazione sia commessa con il mezzo radiotelevisivo e si sostanzi nell’attribuzione di un fatto determinato.
Seguendo il dettato delle Sezioni Unite, il rinvio deve ritenersi statico, con la conseguenza che non può dirsi mutato il contenuto dell’art. 30, co. 5 cit., sia pure a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 4 precedente.
Per giurisprudenza consolidata, in tema di diffamazione, per la sussistenza della circostanza aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato è sufficiente che l’episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, in modo che risulti maggiormente credibile e che le espressioni adoperate evochino, alla compressione del destinatario, delle azioni concrete e dalla chiara valenza negativa (…).
Con riferimento alla portata applicativa dell’art. 30, co. 5 cit., si riflettono indirizzi contrastanti; il Collegio però intende dare continuità al recente indirizzo ribadito da Sez. V, n. 26919/2024, secondo cui, in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni televisive e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, la sentenza con cui la quinta sezione penale della Corte di cassazione – investita di un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 24-bis c.p.p., da parte del Tribunale di Milano – ha affermato che, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 2021, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l’art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990, n. 223, con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato.
Con riguardo al delitto di diffamazione: si osserva che sono tre i distinti reati per cui si procede, ossia il servizio televisivo relativo alle persone offese, integrerebbe il reato di diffamazione aggravato nei confronti di ciascuna di esse.
Dal capo di imputazione deve trarsi proprio che l’imputati, mediante espressioni utilizzate nel servizio televisivo, abbiano offeso la reputazione di N.R., D.O., P.V. così realizzando, per il tramite di un’unica azione, l’offesa tipizzata e ledendo più volte il bene giuridico tutelato: si tratta di delitti connessi ai sensi dell’art. 12, co. 1, lett. a) e b) c.p.p. poiché ad entrambi è contestato di aver commesso il reato in concorso di reati, con una sola azione, ragion per cui il territorio deve essere determinato ai sensi dell’art. 16 c.p.p.
Difatti, l’art. 30, co.5 cit., pone un criterio speciale che deroga alla disciplina codicistica in materia di competenza per territorio ma nulla dispone sulla competenza per connessione.
Tuttavia, nel caso in esame, i tre delitti aggravati di diffamazione sono di pari gravità, e soccore al riguardo l’elaborazione giurisprudenziale relativa ai casi in cui non sia possibile fare applicazione del disposto dell’art. 16, co. 1 cit.
Ciò che si desume dalle Sezioni Unite è che quando non sia possibile determinare la competenza ai sensi di tale art., occorre avere riguardo alle norme che ancorano la competenza a un luogo determinabile oggettivamente all’illecito e, solo quando tramite esse non possa individuarsi il giudice competente, ai criteri supplettivi di cui all’art. 9, co. 2 e 3 c.p.p.
Tale piano ermeneutico deve essere declinato in conformità alla disciplina speciale posta all’art. 30, co.5 l. n. 223/1990, di cui deve in prima battuta tenersi conto, allorché non possa operare l’art. 16 cit.: come nel caos in esame, qualora, nessuno dei reati sia più grave o precedente rispetto agli altri e, quindi, non si possa applicare la competenza ex art. 16 co.1 c.p.p., si deve tenere fermo il rapporto logico tra il medesimo art. 30, co. 5 cit e l’art. 8 c.p.p., nel senso che il primo costituisce norma speciale la cui operatività esclude l’applicazione del secondo.
Dunque, in conclusione, non potendo essere soddisfatta immediatamente la specifica esigenza di tutela della persona offesa sottesa alla previsione dello speciale foro di cui all’art. 30, co. 5, l. n. 223/1990, occorre determinare la competenza a un criterio che rimanga oggettivo, ossia quello posto dall’art. 9, co. 1, c.p.p., comunque ancorato al fatto e alla sua presumibile capacità offensiva, difficilmente determinabile aliunde rispetto a un fatto commesso mediante una trasmissione rediotelevisiva sul territorio nazionale, tanto che si è gi. Rilevato come normalmente non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato.
Conclusioni
La Suprema Corte, visto l’art. 24-bis c.p.p., dichiara incompetente il Tribunale di Bologna e dispone la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il competente Tribunale di Monza.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui al comma 4 del citato art. 24-bis c.p.p.