
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
In caso di confisca allargata, non è opponibile allo Stato l’ipoteca iscritta sul bene immobile a garanzia di un credito in seguito ceduto a un terzo, indipendentemente dalla buona fede dei suoi danti causa, intesa come mancanza di accordo fraudolento con il destinatario della misura ablativa.
Il fatto
Il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata dalla società “L. E.”, in persona del legale rappresentante L.B., con la quale veniva chiesto il riconoscimento della permanente validità dell’iscrizione ipotecaria relativamente ad un bene immobile, sottoposto a confisca, con conseguente opponibilità al Demanio.
Contestualmente, il Tribunale ordinava al Conservatore dei registri immobiliari la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria relativa all’immobile.
L’episodio in contestazione originava dalla concessione da parte della “Banca T.” di un mutuo fondiario alla società “A. S.R.L.”, al fine di acquistare un immobile. Nel dicembre 2021, questo veniva confiscato con provvedimento definitivo reso dalla Corte di Cassazione.
Frattanto la “Banca T.” si fondeva per incorporazione alla “Banca P.”, la quale cedeva il credito derivante dal predetto mutuo alla società “A.O.”. Quest’ultima, a sua volta, cedeva il credito per il quale era stata iscritta l’ipoteca alla società “L. E.”, il cui legale rappresentante era L. B.
Il Tribunale di Ancona motivava il rigetto ritenendo rilevante il solo elemento soggettivo del creditore originario, ma non anche quello dei successivi cessionari, evidenziando un intento fraudolento in capo al primo avallato da diversi indici rivelatori: l’epoca in cui si interrompevano i pagamenti del rimborso del mutuo; la data di iscrizione della società ricorrente “L. E.”; la cessione dell’intero pacchetto sociale da parte di L. B. alla moglie in prossimità del deposito del ricorso al giudice dell’esecuzione.
Avverso il provvedimento di diniego, il difensore del ricorrente proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi.
Con il primo, il legale dell’imputato contestava la violazione di legge in relazione agli artt. 240 cod. pen. e 52 D. Lgs. n. 159 del 2011, evidenziando che, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza impugnata, la motivazione sulla tutela del terzo in tema di confisca resa dalle Sezioni Unite n. 29847 del 2018 doveva considerarsi quale obiter dictum, sicché il creditore cessionario poteva sempre dimostrare la propria buona fede.
Sul punto, secondo la tesi difensiva, era da valorizzare l’art. 52, D. Lgs. 159 del 2011, il quale imponeva di valutare la sola esistenza di eventuali accordi fraudolenti fra soggetto cessionario e quello pericoloso nel momento genetico del credito, rimanendo neutri le vicende dello stesso. La lettura veniva – poi – rafforzata dalla ratio stessa della disposizione, volta a garantire il valore della resconfiscata, evitando il rischio che un eventuale prestanome possa vantare diritti, in realtà inesistenti, sui beni sottoposti a sequestro.
Con il secondo motivo di ricorso, lamentava ai sensi dell’art. 606, lett. e) c.p.p. la manifesta illogicità della motivazione. A sostegno il ricorrente allegava l’anteriorità del diritto di garanzia rispetto al provvedimento dispositivo della confisca e l’estraneità al reato della “Banca T.”, definita come il creditore originario, sottolineandone la buona fede.
La decisione
La Suprema Corte, antecedentemente all’analisi dei motivi di ricorso – entrambi ritenuti infondati -, escludeva la sussistenza di eventuali vizi procedimentali dovuti all’omessa citazione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati, necessaria ai sensi dell’art. 104 bis, comma 1 bis, disp. att. c.p.p. così come modificato dalle riforme avutesi nel 2021 e 2022 volte ad estendere l’ambito di applicazione dell’art. 52, D. Lgs. 159/2011, a tutte le ipotesi di confisca.
A decorrere dal 1° settembre 2021 la disciplina collocata nel titolo IV del Libro I (“La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali”) del D. LGS. 159/2011 (c.d. codice antimafia) ricomprendeva anche la confisca allargata prevista dall’art. 240 bis c.p., applicandosi – di conseguenza – le disposizioni in materia di tutela dei terzi contenute nel codice antimafia.
Infine, a seguito della c.d. Riforma Cartabia (D. Lgs. 150/2022), il regime dettato dal D. Lgs. 159/2011 veniva dilatato sino a ricomprendere tutte le ipotesi di confisca.
Nel caso di specie, la misura di sicurezza veniva disposta ai sensi dell’art. 2641 c.c., sussumibile nell’alveo dell’art. 240 bis c.p.
Così concludendo, allora, sarebbe stata in astratto necessaria la citazione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati[1], così come richiesto dall’art. 52, cod. antimafia.
L’affermazione resa in punto di premessa dai Giudici di legittimità si giustificava in ossequio all’applicazione del principio della “ragione più liquida”, secondo cui al giudice è consentito «esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale» in ragione di una tutela giurisdizionale effettiva e celere delle parti in giudizio.
Ciò premesso, il primo motivo veniva dichiarato infondato.
Dirimente, sul punto, è proprio la pronuncia resa dalle Sezioni Unite n. 29847 del 31 maggio 2018, Island Refinancing S.R.L., secondo cui:
«in tema di misure di prevenzione patrimoniali, la cessione di un credito ipotecario, precedentemente insorto, successiva alla trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, non preclude di per sé l’ammissibilità della ragione creditoria, né determina automaticamente uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest’ultimo dimostrare la propria buona fede».
Ripercorrendo la parte motiva delle Sezioni Unite, il creditore subentrato (o cessionario), ai fini dell’allegazione della propria condizione soggettiva, deve – primariamente – provare la buona fede del creditore originario (o cedente).
Tale lettura è coerente con l’art. 1263, co. 1, c.c. che disciplina l’istituto della cessione del credito, secondo cui: «il credito ceduto è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e gli altri accessori». Più dettagliatamente, la cessione del credito non realizza alcuna novazione né può intendersi come modo di estinzione dello stesso, realizzandosi un mero effetto derivativo a mente del quale nella posizione del creditore originario subentra quello derivato, trasferendosi tutte le utilità che il creditore può trarre dal diritto ceduto.
Siccome l’identica posizione giuridica del cedente viene trasferita al cessionario, questi ne assume la titolarità e, con essa, acquisisce anche la possibilità di far valere le condizioni per l’ammissione al riparto in caso di confisca del bene oggetto di garanzia; nel caso di cessione posteriore alla trascrizione del sequestro, quest’ultimo può avvalersi della condizione di buona fede solo se sussistente ab origine in capo al creditore originario, in quanto egli consegue l’identica posizione giuridica del ceduto.
Il riferimento alle Sezioni Unite Island Refinancing S.R.L circa le condizioni di sussistenza della buona fede quale condizione di tutela del cessionario, ritenuto un obiter dictum dal ricorrente, veniva invece definito come un principio strettamente funzionale «alla definizione dei criteri di valutazione della buona fede del cessionario».
Così motivando, dunque, veniva ritenuta priva di fondamento la tesi del ricorrente, secondo cui i rapporti tra cessionario e condannato sarebbero irrilevanti ai fini della tutela del credito, dovendo, secondo i Giudici di Piazza Cavour, assumere rilievo la sola condizione soggettiva del creditore originario concedente il mutuo e in capo a cui si costituiva l’originaria garanzia.
Veniva ritenuto infondato altresì il secondo motivo di ricorso, ritenendosi trascurabile l’estraneità della “Banca T.” all’illecito, così come di L. B., evidenziando l’idonea spiegazione dell’ordinanza impugnata ancorata alla consapevolezza, da parte del cessionario, della strumentalità del credito all’attività illecita.
L’ordinanza impugnata verteva in specie sul riconoscimento della permanente validità dell’iscrizione ipotecaria relativa ad un bene immobile, sottoposto a confisca, con opponibilità al Demanio.
Ebbene, l’art. 45, co. 1, D. Lgs. 159/2011 cristallizzava l’idea secondo la quale la confisca comporti l’acquisizione del bene al patrimonio dello Stato, senza oneri e pesi.
Tale regola, tuttavia, necessita il coordinamento con il successivo Titolo IV (artt. 52 ss.) che tracciava le condizioni per le quali le garanzie possano influire sulla tutela del credito e sulle finalità di acquisizione al patrimonio del Demanio. La ratio di tale fascio di norme, invero già evidenziato, era evitare che vengano tutelate ragioni creditorie in favore di chi sia consapevole della strumentalità del credito rispetto all’attività illecita e, quindi, in stato di mala fede.
In tale esegesi si collocano le richiamate Sezioni Unite Island Refinancing, le quali – in coerenza con la precedente pronuncia resa dalle Sezioni Unite n. 9 del 28 aprile 1999 (Bacherotti) – affermavano come la posizione di buona fede del cessionario dovesse tradursi in assenza di accordi fraudolenti con il cedente.
Così disponendo, allora, la diligenza e la buona fede divengono criteri orientativi
«verso una valutazione attenta alla sostanza dei rapporti economici intercorsi tra le parti, alla luce del punto di equilibrio tracciato dal legislatore tra interesse dello Stato all’acquisizione e interesse dei creditori incolpevoli a vedere salvaguardate le proprie ragioni, non altrimenti tutelabili rispetto ad altri beni del patrimonio del debitore».
Rispetto a tale ultimo principio di diritto, il giudice dell’esecuzione ben motivava, valorizzando una serie di indici rivelatori confermativi della consapevolezza della cessione del credito con l’attività illecita con la quale interveniva la condanna.
[1] Testualmente la Sezioni I motivava così l’esclusione: «non può trovare applicazione il principio espresso da Sez. 3, n. 40394 del 04/06/2019, Rv. 277160, ossia che “in tema di amministrazione dei beni confiscati, il rinvio contenuto nell’art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo, disp. att. cod. proc. pen., al d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, va interpretato come riferito alle sole disposizioni del codice antimafia relative alla procedura e non anche a quelle sulla competenza dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (…)”»
Conclusioni
La Suprema Corte rigettava il ricorso e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali.