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La Suprema Corte ritorna sul tema dell’utilizzabilità dei messaggi “whatsapp” quale prova documentale. Cass. Civ., sez. II, ord., ud. 05 dicembre 2024, dep. 18.01.2025, n. 1254

- 5 Marzo 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

I messaggi “whatsapp” sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di “whatsapp” mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi.

Il fatto 

Il Tribunale di Pavia, con sentenza n.1126/2021, in accoglimento dell’opposizione presentata dal presunto debitore avverso il decreto ingiuntivo n.1916/2019, revocava detto decreto, escludendo la fondatezza della pretesa creditoria, considerata l’assenza di risultanze istruttorie a supporto del titolo sotteso alla stessa.

La società creditrice proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando in particolare l’erronea valutazione della documentazione prodotta, nonché delle prove testimoniali assunte in sede di prime cure.

La Corte d’appello di Milano accoglieva l’impugnazione in parola, statuendo la conferma del decreto ingiuntivo.

In particolare, i giudici di secondo grado ritenevano pacifico l’an debaetur, in quanto non oggetto di specifica contestazione, e altresì il quantum, valorizzando proprio le risultanze istruttorie tutte depositate dalla società creditrice.

Invero, la Corte d’appello precisava che dalle dichiarazioni rese dalla teste di parte opposta, corroborate dalla comunicazione intercorsa tramite messaggio whatsapp tra le parti in causa, si doveva ritenere raggiunta la prova del diritto di credito in esame, anche in relazione al quantum debeatur.

Di diverso avviso è stata parte soccombente che, difatti, proponeva ricorso per cassazione denunciando la violazione e/o errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20 e 23 quater d.lgs. n.82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale), per avere la Corte di merito valutato erroneamente le prove documentali e testimoniali in ordine all’accordo raggiunto per la fornitura e l’installazione dei serramenti, anche con riferimento alla misura del corrispettivo, e per aver utilizzato ai fini probatori la copia fotografica del messaggio whatsapp senza alcuna certezza della riconduzione al suo apparente autore.

Dopo aver parte ricorrente presentato opposizione avverso la proposta di definizione anticipata del giudizio ex art.380 bis, gli ermellini così decidevano.

La decisione

Rigettate le eccezioni preliminari sollevate dalla controricorrente, la Suprema Corte rilevava l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

Invero, secondo i giudici di legittimità la prova della pattuizione del quantum preteso in sede monitoria per la fornitura e la posa dei serramenti è stata desunta dalla prova testimoniale da cui emergevano i prezzi pattuiti per la commessa; fatto che risultava corroborato altresì dal contenuto adesivo del messaggio whatsapp inviato dal committente, da cui si deduceva l’accordo delle parti per il pagamento secondo la fattura inviata all’ultimazione dell’installazione.

Più nel dettaglio, avendo riguardo alla contestazione del messaggio whatsapp prodotto dalla società creditrice, la Suprema Corte precisava che i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria del telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legalmente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica.

Ne discende, la piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una chat di whatsapp mediante copia dei relativi screenshot, tenuto conto della provenienza e attendibilità degli stessi.

Del resto, avendo riguardo all’acquisizione degli screenshot di messaggi, deve darsi conto dell’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali con sentenza n.11197/2023 hanno chiarito che gli screenshot di whatsapp sono legittimamente acquisibili come prova in quanto non si tratta di intercettazioni di comunicazioni in corso, ma di mera documentazione di messaggi già esistenti.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, proprio richiamando l’orientamento ormai pacifico sul punto, ribadiva, in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, che il messaggio di posta elettronica, nonché i messaggi whatsapp costituiscono un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppur privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche ex art.2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Ebbene, preso atto che nel caso in oggetto l’odierno ricorrente si limitava a contestare l’utilizzabilità processuale del documento in sé, mancando di disconoscerne la conformità, gli ermellini aggiungevano altresì che, nella fattispecie, il messaggio utilizzato non ha avuto una rilevanza decisiva al fine di ritenere provato il quantum della fornitura e della posa in opera dei serramenti, bensì ha costituito elemento indiziario utile a suffragare l’attendibilità della testimonianza resa dal teste di parte creditrice.

Avendo riguardo al secondo motivo, invece, la Corte ne ravvisava l’inammissibilità, avendo il ricorrente lamentato l’errata e/o la falsa applicazione dell’art. 2225 c.c. e la violazione dell’art.1657 c.c. per avere la Corte d’appello di Milano determinato il prezzo sulla scorta del riferimento al contratto d’opera anziché all’appalto.

Invero, la Suprema Corte ravvisava l’inammissibilità del motivo in parola, considerato che la misura del corrispettivo risultava provato sulla scorta delle prove documentali allegate e depositate dalla società creditrice e, ciò, indipendentemente dalla qualificazione giuridica attribuita al negozio in esame.

Da ultimo, appare doveroso evidenziare che la Corte di Cassazione in punto di condanna al pagamento delle spese processuali, tenendo conto del comportamento processuale del ricorrente, il quale, nonostante la proposta di definizione anticipata del giudizio exart.380 bis c.p.c., proponeva opposizione e, considerando che il giudizio è stato definito in conformità alla proposta, condannava parte debitrice al pagamento di una somma ex art.96, terzo e quarto comma, c.p.c., in favore della controparte, nonché della cassa delle ammende.

Conclusioni

Ciò posto, la Suprema Corte rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In definitiva, per esigenze di completezza, risulta interessante dare conto del recente approdo giurisprudenziale espresso dagli ermellini in punto di corretta acquisizione degli screenshot di messaggi whatsapp e/o sms nel processo procedimento penale (Cass., pen., sentenza 39548/2024).

In particolare, senza addentrarci troppo nella questione specifica, appare interessante evidenziare in questa sede quanto ribadito dalla Suprema Corte rispetto all’interpretazione della nozione di corrispondenza ex art.15 Cost.

I giudici di legittimità, infatti, richiamando l’interpretazione espressa dalla Corte Costituzionale sulla nozione di “corrispondenza” (C. Cost., sentenza n.170/2023), nonché dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, confermano che i messaggi whatsapp rientrano nella nozione di corrispondenza e, che, in quanto tali, per la loro acquisizione nel procedimento penale deve essere applicata la normativa prevista per tale ipotesi dal codice di rito, a pena di inutilizzabilità.

La Consulta, invero, precisa che i messaggi whatsapp rientrano nell’amplissima nozione di corrispondenza, che abbraccia ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) e che prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero.

Con l’ulteriore precisazione che la garanzia di cui all’art. 15 della Costituzione – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza della “della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, consentendone la limitazione “soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria” – si estende “a ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici”.

Da qui la certa riconducibilità alla nozione di corrispondenza della posta elettronica, dei messaggi whatsapp e più in generale della messaggistica istantanea, che -quindi- rientrano nella sfera di protezione dell’art. 15 della Costituzione, “apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi”.

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