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I diritti del terzo propietario di un bene confiscato nell’ambito del giudizio abbreviato – cass. Pen., Sez. I 16 gennaio 2025, n. 1908

- 11 Marzo 2025

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.

Massima

In caso di celebrazione del giudizio con rito abbreviato, la legge non prevede l’estromissione del terzo titolare di diritti reali o personali di godimento incompatibili con la preannunciata confisca, in quanto un accertamento unitario amplia la possibilità del terzo di far valere le proprie ragioni. Al lui, una volta disposto detto rito, devono essere comunque assicurati i diritti di iniziativa probatoria e di contraddittorio sulla prova, quali componenti ineludibili del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24, secondo comma, Cost., rientranti nella garanzia del giusto processo ex art. 111, primo e secondo comma, Cost.

Il fatto 

La Corte di appello di Lecce emetteva una sentenza, modificando parzialmente la decisione ottentua in primo grado all’esito di un giudizio abbreviato.

Con riguardo ai singoli soggetti coinvolti nel processo, si segnala schematicamente che:

M.C. (imputato per associazione mafiosa, usura, estorsione e detenzione illegale di armi) in appello vedeva ridotta la propria  pena, in accoglimento di una proposta di concordato ex art. 599-bis cod. proc. Pen.

  1. T. (imputato per usura) vedeva confermata la propria condanna a 3 anni di reclusione e una multa di 8.000 euro, nonostante nell’atto di appello egli sostenesseche le prove addotte in suo carico erano insufficienti a fondare la propria colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio” in quanto l’intercettazione di una conversazione non era sufficiente e adeguata a dimostrare la sua resposanbilità.
  2. F. veniva condannato per associazione mafiosa, usura ed estorsione, con la confisca di un immobile, formalmente intestato al terzo Y. C., ma nella sua disponibilità al momento dei fatti. A.F. defiiva la propria posizione processuale mediate un concordato sulla pena.

Il ricorso in cassazione veniva proposto da M.C., S.T. e Y.C., i quali impugnavano la sentenza di appello per dei vizi di legittimità. In specie: M.C. deduceva una violazione della legge processuale, obiettando che la sentenza impugnata non menzionava alcun elemento ostativo all’adozione di una pronuncia di proscioglimento in suo favore, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.

S.T. impugnava la sentenza di appello per violazione di legge e vizio di motivazione, argomentando l’insufficienza della prova posta a sostegno della sua condanna.

I motivi d’appello proposti dal Y.C. sono senza dubbio i più articolati e quelli sui quali si fonda il principio giurisprudenziale espresso dalla Suprema Corte con riferimento al caso di specie. Egli, terzo, formale proprietario dell’immobile confiscato, contestava proprio la confisca dell’appartamento, sostenendo che la decisione del Collegio non prendeva adeguatamente in considerazione la sua posizione patrimoniale e la correlazione tra il reato e l’acquisto del bene.

I complessi e articolati sette motivi d’appello da lui proposti possono così essere sintetizzati:

Primo motivo: il ricorrente contestava la violazione del diritto al contraddittorio e al giusto processo. A suo avviso, essere stato citato nel processo penale dopo che era stato già deciso il rito abbreviato gli ha impedito di esercitare pienamente i suoi diritti di difesa, come esaminare testimoni e contestare prove. Egli riteneva, inoltre, violato il principio di imparzialità in quanto il giudice che aveva disposto il sequestro non era il medesimo che aveva deciso sulla confisca.

Secondo motivo: il ricorrente adduceva una violazione di legge da parte della Corte d’Appello, in quanto la sentenza non avrebbe dovuto escludere la possibilità di contestare i presupposti generali della confisca, come la correlazione temporale tra il reato e l’acquisto del bene o la sproporzione tra il valore del bene e la capacità reddituale del propritario.

Terzo motivo: il ricorrente richiamava la Giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza n. 8052 del 2024) che stabilisce che la confisca di beni acquistati prima della legge n. 161 del 2017 non può essere giustificata per evasione fiscale e contestava che la sentenza impugnata non avesse considerato i suddetti principi.

Quarto motivo: il ricorrente adduceva che non vi era correlazione alcuna fra l’acquisto dell’immobile e il reato-spia, ritenendo che le condotte illecite dell’imputato fossero di un decennio precedenti alla data dell’acquisto.

Quinto motivo: con detta cesura si sosteneva che l’acquisto dell’immobile fosse legato a motivazioni personali (rottura della relazione sentimentale) e non ad un illecito. Inoltre – a suo dire – la locazione dell’immobile all’imputato e il fatto che ciò generasse un buon rendimento non poteva essere considerato indice di simulazione propietaria.

Sesto motivo: il ricorrente accusava la Corte di non aver saputo valutare adeguatamente la capienza del suo patrimonio, perfettamente indonea a fondare l’acquisto dell’immobile.

Settimo motivo: infine, il ricorrente contesva la confisca totale dell’immobile, proponendo una confisca parziale, limitata alla somma che non aveva versato lui per l’acquisto, adducendo che egli sarebbe comunque costretto a pagare il mutuo pur non potendo godere dell’immobile di sua propietà.

La decisione

I motivi che hanno portato la Suprema Corte a rigettare tutti i ricorsi proposti, possono essere come segue sinteticamente analizzati.

La Suprema Corte dichiara il ricorso presentato da M.C.– in entrambi i suoi motivi, tra loro connessi e congiuntamente esaminabili – inammissibile. Nel perimetro dell’istituto regolato dall’art. 599-bis cod. proc. pen. le parti danno vita ad un negozio processuale liberamente stipulato che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può̀ essere unilateralmente modificato, da chi lo ha promosso o vi ha aderito, mediante proposizione di apposito motivo di ricorso per cassazione, salva l’ipotesi di illegalità̀ della pena concordata, non menzionata e comunque non sussistente nel caso di specie.

Con riguardo al ricorso proposto dall’imputato S.T., la Corte di legittimità rileva che la prova, valutata a suo carico, non ha natura indiziaria come, invece, asserito.
E’ indiziaria la prova basata su tracce o altri elementi indiretti e secondari, materiali o ideali, idonei a far emergere, tramite un ragionamento logico-induttivo, l’esistenza del fatto medesimo. Peraltro, detti elementi possono legittimamente fondare il convincimento giudiziale nel caso in cu essi siano molteplici e concordanti fra di loro. In ogni caso, la Corte ritiene che la prova che sorreggeva le motivazioni del Giudice d’Appello non poteva dirsi indiziaria, ma fondata su fatti obiettivi risultanti da servizi di osservazione di polizia giudiziaria, nonché da elementi a contenuto narrativo tratti da intercettazioni di conversazioni e idonei a fornire una raffigurazione immediata del fatto-reato investigato, in quanto connessa, sia alla conoscenza diretta previamente acquisita che alla viva voce dell’imputato che la vittima aveva pre-registrato, facendola così ascoltare al suo interlocutore.

La Corte ribadisce, inoltre, che è perfettamente corretto l’inquadramento giuridico proposto, in quanto il delitto di cui all’art. 644 cod. pen. – come riconfigurato sin dalla legge 7 marzo 1996, n. 108 – è integrato, in capo al beneficiario, da qualunque pattuizione o dazione, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altre utilità̀, di interessi o vantaggi usurari, e questi ultimi sono tali per il fatto stesso di essere superiori al saggio legalmente predefinito.

Il ricorso più corposo – quello di Y.C. – viene, anch’esso, integralmente rigettato in tutti i suoi motivi e anche lui viene condannato al pagamento delle spese processuali. Il Signor Y.C. a sostegno della tesi che affermava la celebrazione di un processo non equo nei suoi confronti, citava le garanzie di cui all’articolo 111 della Costituzione e all’art. 6 CEDU che disciplinano, però, le tutele fornite all’imputato e non al terzo. La Corte di legittimità ha precisato che il processo in questione, nonostante sia stato celebrato con le forme del rito abbreviato, ha rispettato le garanzie costituzionali e convenzionali anche in materia di giusto processo. La Suprema Corte rigettando il secondo e il terzo motivo proposti da Y.C. sostiene che quanto addotto dal ricorrente circa la propria capacità economica, oltre ad essere contraddittorio, non risultava neppure rilevante per la causa.

Infine, si afferma che, nonostante sia legittimo che il terzo contesti l’accusa mossa relativamente all’acquisito fittizio della propietà del bene confiscato, nel caso di specie, la correlazione temporale fra l’acquisto dell’immobile e la commissione del reato non giustifica tale contestazione.

Conclusioni

La Suprema Corte rigetta i motivi di tutti e tre i ricorrenti e li condanna al pagamento delle spese processuali.

A parere di chi scrive, la Corte ripercorrendo l’evoluzione normativa in materia[1], fa chiarezza sulla corretta applicazione della vigente disciplina e sulle reali garanzie poste in capo al terzo, sapientemente conforntandola con la legislazione previgente.

In caso di celebrazione del giudizio abbreviato, la legge non prevede l’estromissione dal medesimo del terzo, citatovi in quanto titolare di diritti reali o personali di godimento incompatibili con la preannunciata confisca, e ciò a conferma del fatto che un accertamento unitario amplia la possibilità del terzo di far valere le proprie ragioni. Il terzo, infatti, non sarebbe pienamente e correttamente tutelato se venisse trattato al pari della parte civile[2] nel processo penale. Quest’ultima, una volta scelto dall’imputato il rito abbreviato, può scegliere di rinunciarvi e di essere, di conseguenza, esclusa. Il giudizio di responsabilità civile – che è chiaramente altro rispetto alla figura del terzo titolare di diritti reali su beni confiscati – potrà trovare autonomo corso e specifica tutela nella separata sede civile, all’esito del processo penale.  Appare lapalissiano che la posizione processuale della parte civile – o anche quella simile del responsabile civile – siano radicalmente opposte rispetto a quella trattata in questa sede. Al terzo, infatti, potrebbe essere garantita la medesima tutela soltanto con le modalità previste dall’attuale disciplina, ovvero sia partecipando al rito abbreviato. A tal proposito occorre precisare anche che nel sistema processuale attuale non è ammissibile un giudizio di cognizione riguardante soltanto il terzo, da svolgersi nelle ordinarie forme dibattimentali e – pertanto – svincolato dalla posizione e dalla partecipazione dell’imputato. Una sua estromissione non sarebbe coerente con la ratio della riforma[3] che è quella dell’accertamento unitario dell’imputato e del terzo, nell’interesse prevalente di quest’ultimo.  

Si specifica, peraltro, che una volta disposto il rito abbreviato, al terzo devono essere comunque assicurati i diritti di iniziativa probatoria e di contraddittorio sulla prova, quali componenti ineludibili del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24, secondo comma, Cost., rientranti nella garanzia del giusto processo ex art. 111, primo e secondo comma, Cost.

Inoltre, la Corte correttamente precisa che la garanzia ex art. 25 primo comma Cost. è soddisfatta in tutti i casi in cui l’ufficio giudiziario investito della reiudicanda risulti predeterminato dalla legge; pertanto il terzo non è affatto sottratto al proprio giudice naturale se invece di essere citato innanzi al giudice del dibattimento viene chiamato a difendersi innanzi al giudice dell’udienza preliminare, in costanza di rito abbreviato.[4]

In tale stadio, egli veniva tradizionalmente ammesso a dimostrare – mediante la proposizione di apposito incidente, nelle forme previste dall’art. 676 cod. proc. pen. – la sua posizione di estraneità, il suo diritto di proprietà o di godimento sulla cosa confiscata e l’effettività e prevalenza di esso, senza peraltro poter rimettere in discussione, in linea di massima, i presupposti applicativi che avevano giustificato la misura ablatoria, ostandovi il principio di intangibilità̀ del giudicato.

Non essendo il rimedio dell’incidente di esecuzione disponibile nei riguardi della sentenza, non ancora definitiva, che abbia disposto la confisca della res, la giurisprudenza ha peraltro apprestato un meccanismo di intervento surrogatorio, riconoscendo al terzo estraneo, formalmente proprietario del bene già in sequestro e oggetto della confisca anzidetta, il diritto di chiedere al giudice della cognizione, a processo pendente, la restituzione del bene e, in caso di diniego, la possibilità di proporre appello dinanzi al tribunale individuato dall’art. 322-bis cod. proc. pen.

Le forme di tutela summenzionate non potevano però considerarsi pienamente soddisfacenti in quanto il terzo andava comunque incontro a diverse limitazioni probatorie. Per altro, vi era un vero e proprio vulnus nel caso in cui la res fosse stata assoggettata a confisca in un provvedimento di sequestro preventivo autonomamente impugnabile, ma solo in sentenza.  

Sul piano sostanziale, questi vuoti di tutela privavano il sistema di tempestività ed effettività dei controlli giurisdizionali nelle materie incidenti sul diritto di proprietà, protetto dall’art. 42, terzo comma, Cost., e dall’art. 1, protocollo addizionale n. 1, CEDU. Sul piano formale invece venivano compromessi ildiritto di difesa e i principi del giusto ed equo processo ex artt. 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost.; e art. 6, CEDU.

Per i motivi sopraesposti il legislatore con la legge 17 ottobre 2017, n. 161, ha innalzato la tutela giurisdizionale del terzo, nell’ambito della confisca per sproporzione,  rimodellandola alla stregua del procedimento di prevenzione.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi € 3.000,00 oltre accessori di legge.

 

[1] In passato il terzo, in casi di questo genere, veniva tutelato durante la fase dell’esecuzione.

[2] Cfr. art. 441, comma 4, cod. proc. Pen.

[3] Cfr. art 104-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, disp. att. cod. proc. pen., art. 240-bis cod. pen. modificato dagli artt. 6 (commi 1 e 3), e 7 (comma 1), d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21 che ha – peraltro – assorbito anche l’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992. Nelle citate norme si ha l’assimilazione della confisca per sproporzione alla confisca di prevenzione, per quanto concerne la tutela del terzo e la sua partecipazione al procedimento, per cui nei casi he ricadono nell’ambito applicativo dell’art. 240-bis cod. pen.,i terzi controinteressati devono essere citati già̀ nel processo di cognizione.

[4] C. Cost., n. 41 del 2006, n. 469 del 2002, n. 460 del 1994), come è a dirsi in relazione al caso di specie.

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