
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
La struttura della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 384 c.p. postula che il comportamento astrattamente illecito, in relazione alle circostanze oggettive del caso concreto, costituisca l’unica opzione per scongiurare pregiudizi in capo al soggetto attivo o ai suoi prossimi congiunti. In relazione al reato di falsa testimonianza di cui all’art. 372 c.p., il giudice è tenuto ad accertare soltanto che a fronte dell’obbligo giuridico di dire la verità la persona sia tenuta a scegliere tra autoincriminarsi o mentire.
Il fatto
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene alla corretta configurazione dei presupposti della causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. nell’ipotesi di falsa testimonianza.
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla sentenza del Tribunale che assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 372 c.p., applicandogli la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p., in relazione al delitto di falsa testimonianza commesso nell’ambito del procedimento penale a carico di un amico.
Avverso tale sentenza, veniva proposto ricorso per Cassazione dal Procuratore, articolandolo in due motivazioni:
- con il primo motivo, il ricorrente deduceva la violazione dell’art. 384 c.p., per avere il giudice di prime cure applicato la causa di esclusione della punibilità in assenza dei presupposti normativamente previsti, così come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità;
- con il secondo motivo, il ricorrente eccepiva il vizio di motivazione dell’impugnato provvedimento per aver ritenuto che le dichiarazioni false e reticenti dell’imputato fossero volte ad evitare un’accusa penale senza argomentare in ordine al delitto astrattamente configurabile.
Il giudizio di Cassazione veniva svolto in trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, co. 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla L. n. 176 del 2020 per come prorogata.
La decisione
La Suprema Corte accoglieva il ricorso proposto, ritenendolo fondato.
Il giudice di legittimità rilevava che nessuna delle circostanze oggetto della deposizione del teste rendesse ipotizzabile una sua auto-incriminazione, riguardando le stesse elementi del tutto estranei alle contestazioni formulate nei confronti dell’amico. La Corte, né tantomeno, riteneva evincersi dalla motivazione della sentenza impugnata che, al momento dell’escussione del teste, fossero emersi elementi, anche meramente indiziari, sulla cui base supporre l’assunzione della qualifica di imputato di un qualsiasi reato, o ulteriori ragioni per ritenere che lo stesso potesse essere obbligato a deporre su fatti dai quali potesse emergere la sua responsabilità penale.
La Suprema Corte ribadiva che la struttura della causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p., la quale trova la propria ragion d’essere nel principio di inesigibilità di condotte giuridiche autolesive (si veda, Sez. VI, n. 7006/2021, RV 280840; S.U. n. 10381/2020, Fialova), postula che il comportamento astrattamente illecito, in relazione alle circostanze oggettive del caso concreto, debba costituire l’unica opzione per scongiurare pregiudizi in capo al soggetto attivo o ai suoi prossimi congiunti.
Con riferimento alla falsa testimonianza, per la Corte, il giudice deve accertare soltanto che di fronte all’obbligo giuridico di dire la verità la persona sia tenuta a scegliere tra autoincriminarsi o mentire.
Il Tribunale nel ritenere che la condotta reticente dell’imputato e le sue dichiarazioni contraddittorie fossero coperte dall’art. 384 c.p., non si è attenuto, come dovuto, a quei principi propri del diritto, non mergendo dalla motivazione della sentenza impugnata in quali termini egli trovasse nel concreto pericolo di autoincriminazione per un delitto che, infatti non è stato neanche indicato.
Conclusioni
Alla stregua di tali argomenti la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, rinviandola per un nuovo giudizio al giudice di prime cure.