930 views

Cass. Pen., sez II, ud. 14 febbraio 2024 (dep. 28 febbraio 2024), n. 8794

- 26 Aprile 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

La Seconda Sezione penale ha affermato che il giudice di primo grado in sede di condanna dell’imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., sia i fini della determinazione della pena da infliggere, sia, in esito a tale operazione, ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva ex art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, dovendo esservi continuità e non contraddittorietà tra i due giudizi, così da favorire tanto più l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20-bis cod. pen. quanto minore risulti, rispetto ai limiti edittali, la pena in concreto inflitta.

Svolgimento del processo 

La Corte d’ Appello di Torino ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale di Verbania del 26/11/2020, con la quale OMISSIS veniva condannato alla pena di mesi tre di reclusione ed euro 300,00 di multa, essendosi reso responsabile del  reato di ricettazione in forma attenuata.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure a cinque motivi complessivi.

Con il primo, la difesa deduce una nullità della sentenza per mancanza di motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen. ed omessa valutazione di prova decisiva, per non avere la Corte territoriale valutato una ricevuta rilasciata dal ricorrente all’imputato; la quale era idonea ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo, costituito dal dolo, ed altresì ad escludere la natura delittuosa degli oggetti ceduti.

Col secondo motivo, si lamenta nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione alla errata qualificazione giuridica dei fatti contestati. Stante la ricostruzione difensiva, la Corte avrebbe erroneamente ricondotto la fattispecie delittuosa in quella di cui all’art. 648 cod. pen.; Il quadro probatorio avrebbe invece dimostrato la sussistenza dell’ ipotesi contravvenzionale di incauto acquisto di cui all’art. 712 cod. pen.

Col terzo motivo, si deduce nullità della sentenza per erronea applicazione dela legge penale e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. quanto alla circostanza valorizzata dalla Corte d’Appello dell’ omessa indicazione nel corso del procedimento delle modalità di ricezione del bene da parte dell’imputato.

Col quarto motivo, si deduce nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale o della legge processuale penale ex artt. 606 lett. b) cod. proc. pen., 53-58 L. 689/81 come riformulati dal D.lgs. 150/2022 ovvero difetto di motivazione quanto al rigetto dell’istanza di applicazione delle pene sostitutive della reclusione, posto che l’istanza era stata ritualmente reiterata con l’atto di appello e con le conclusion scritte ed aveva errato il giudice di secondo grado a ritenere quali condizioni ostative i procedenti giudiziari o i periodi di carcerazione pregressi.

La difesa adduce che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare esclusivamente l’insussistenza di condizioni ostative e tenere altresì conto che scontate le condanne, l’imputato non aveva commesso ulteriri reati a partire dal 2016; la valutazione operata dalla Corte d’Appello, secondo la tesi difensiva, si pone in contrasto con la volontà de legislatore in tema di deflazione carceraria breve e con il disposto dell’art. 58 cit.;

Con il quinto e conclusivo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per violazione di legge penale e difetto di motivazione in relazione all’ omessa pronuncia circa la richiesta di ammissione al programma di giustizia riparativa.

Motivi della decisione

(…)

Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:

–     Per quel che concerne i primi tre motivi edotti, la Corte ne dichiara l’inammissibilità.

 La ratio dell’inammissibilità risiede nella ragione per cui, mediante la stesura dei citati motivi, la Difesa ripropone quanto già censurato innanzi al giudice di secondo grado chiedendo alla Suprema Corte un giudizio in merito all’affidabilità e veridicità delle fonti di prova, lamentando poi sul punto una mancanza di motivazione.

Il giudizio cui il giudice delle leggi è chiamato a fare, è un giudizio di controllo avverso l’operato dei suoi predecessori volto alla verifica circa l’esatta applicazione delle regole di rito da parte di questi ultimi ed una corretta e logica argomentazione circa le deduzioni conclusive.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello, così come il giudice di primo grado, abbia ottemperato diligentemente ai propri compiti, applicando correttamente le regole di rito nonché quelle della logica nello sviluppo delle argomentazioni, producendo un provvedimento privo di profili di illogicità e/o carenza motivazionale sul punto.

La Corte dichiara invece fondato il quarto motivo, cuore pulsante della presente sentenza.

Il Supremo Collegio, con una rara chiarezza espositiva, evidenzia e valorizza la portata innovativa introdotta al legislatore della c.d. Riforma Cartabia in merito al sistema delle pene, alla luce della quale deve esser elaborata l’interpretazione della norma de qua (Art. 20 bis cod. pen.).

Ripercorrendo quanto indicato all’interno della Relazione Illustrativa, i giudici di legittimità affermano che il meccanismo elaborato è ispirato al modello del “sentencing” di matrice anglosassone, modello in cui si osserva ad un quasi tramonto della centralità del giudice di cognizione nel dosaggio della pena detentiva, già intraneo al nostro ordinamento nei giudizi innanzi al giudice di pace.

Il legislatore della riforma ha dunque gravato sul giudice un preciso onere: la valutazione circa la possibilità di applicare pene sostitutive volte ad assicurare forme di limitazione della libertà personali extra carcerarie egualmente idonee a garantire la funzione rieducativa della pena, pur prevedendo il pericolo di commissione di ulteriori reati.

La riforma si è posta l’obiettivo di riportare in auge le pene sostitutive in un’ottica di valorizzazione del finalismo rieducativo della pena di cui all’art. 27 comma 3 Cost.

La Corte sottolinea quanto tale finalità – unica finalità legittimata, nel nostro ordinamento, a sostenere l’applicazione di una sanzione penale – mal si concilia con l’esecuzione di pene contenute, come appunto quelle punite con reclusione inferiore a quattro anni, in quanto produttive di un sacrificio eccessivamente gravoso e sproporzionato rispetto alla gravità del reato ed inidonee ad associare alla pena un aspetto rieducativo.

Mediante una ricostruzione circa la volontà espressa dal legislatore della c.d. riforma Cartabia e quella espressa dalle prime interpretazioni dottrinali, la Suprema Corte afferma che sul giudice della condanna grava un preciso obbligo di verificare la sussistenza delle condizioni per disporre la sostituzione delle pene detentive brevi. Un onere che viene definito “di particolare rilievo”poiché strettamente funzionale a quell’obiettivo di “decarcerizzazione” del sistema penale, volto a favorire il minore sovraffollamento delle carceri, a sua volta strettamente al fine di promuovere il reinserimento sociale del condannato.

Quanto all’esercizio del potere discrezionale, contestato nel quarto motivo di ricorso, la Corte ricostruisce il contenuto degli artt. 53, 58 e 59 della l. 681/1989 [recte: 689/1981 – n.d.r.] come riformata dal d.lgs. 150/2022. In primo luogo si ribadisce che, ai sensi di quanto statuito con l’art. 53, il giudice, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare laddove invece, quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità.

Chiarita tale premessa, la Corte passa ad un’analisi dell’art. 58, specificando in primo luogo che quest’ultimo richiama i parametri dettati dall’art. 133 c.p.

La citata norma stabilisce che, valutati detti criteri, il giudice può applicare le pene sostitutive quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati.

Lo stesso articolo aggiunge poi che la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.

Proseguendo, l’art. 59 detta invece testualmente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva escludendo la possibilità di applicarla per chi versa in talune e tassative ipotesi.

Dalla lettura del predetto articolo la Corte conclude sostenendo che, come esposto in ricorso dalla Difesa, la sussistenza di precedenti condanne a carico dell’imputato non può essere ritenuta ex se elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive e ciò perché il legislatore ha stabilito, quali condizioni ostative, circostanze che appaiono del tutto indipendenti dalla negativa personalità desumibile dai precedenti penali così che le sanzioni oggi introdotte dall’art. 20-bis c.p. sono concedibili anche ai recidivi pur se reiterati.

Deve pertanto ritenersi che il giudice di appello, ritualmente investito della questione della applicabilità delle pene sostitutive inflitte con la sentenza di condanna di primo grado, deve procedere all’analisi delle condizioni per la concessione delle stesse.

Nel caso di specie, a fronte di una pena edittale nella forbice compresa tra 15 giorni e 6 anni per il reato attenuato di cui all’art. 648, comma 4, c.p., irrogata nella misura assai ridotta e prossima ai minimi assoluti di mesi 3 di reclusione, per un fatto ritenuto dalla Corte di oggettiva scarsa gravità, il giudice di appello ha negato l’applicabilità delle pene sostitutive facendo riferimento alla gravità ed al numero dei precedenti gravanti a carico dell’imputato ed alla impossibilità di ritenere che ogni pena diversa dalla reclusione possa assicurare le esigenze special-preventive, circostanze, queste, o non rilevanti sotto il profilo normativo ovvero che appaiono contraddette dall’esercizio del potere discrezionale in sede di determinazione della sanzione in concreto inflitta.

Per la Suprema Corte l’impugnata sentenza appare inoltre affetta da difetto di motivazione sul punto, nella parte in cui ha omesso di valutare le date di consumazione dei precedenti dai quali pretende ricavare il giudizio di pericolosità pur avendo la difesa eccepito che la consumazione dei precedenti delitti rimonterebbe al 2016 ed a date anche anteriori.

Per quel che concerne il quinto e conclusivo motivo, in tema di omessa motivazione sulla richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, la Corte ne statuisce la non proponibilità. Ed invero, citando un recente orientamento (Sez. 2, n. 6595 del 12 dicembre 2023, Baldo, n.m. allo stato), il provvedimento con il quale il giudice nega al richiedente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa ha natura di provvedimento non giurisdizionale e dunque non risulta impugnabile.

(…)

Dispositivo

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’applicabilità della pena sostitutiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e definitivo l’accertamento di responsabilità.

- Published posts: 401

webmaster@deiustitia.it

Leave a Reply
You must be logged in to post a comment.