
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
La reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo sul giudice, però, in siffatta ipotesi, un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita.
Il fatto
Il Tribunale condannava l’imputato per i delitti di atti persecutori, molestia ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose – alla pena detentiva di mesi 9, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonché al risarcimento del danno in favore delle parti civili eredi della persona offesa
In sede di gravame, la Corte d’appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, ritenendo assorbito il reato di minaccia in quello di atti persecutori; escludendo una delle parti civili; dichiarando, poi, di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per intervenuta prescrizione; confermando, infine, il resto della sentenza.
L’imputato, per il tramite del proprio difensore, presentava ricorso per Cassazione articolando diversi motivi, tutti fondati sulla lettera e, dell’art. 606, comma 1, c.p.p.
Prima di tutto, lamentava l’assenza di motivazione in ordine all’obiezione relativa alla reciprocità delle condotte moleste tra imputato e la deceduta P.O.- A tal proposito, sebbene la giurisprudenza ammetta la configurabilità del reato di cui all’art. 612 bis c.p. anche a fronte di molestie reciproche, è anche vero che la presenza di tale circostanza imponga un onere motivazionale più puntuale circa la sussistenza dello stato d’ansia o di paura e/o del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o ancora della necessità del mutamento delle abitudini di vita della P.O.-
Con il secondo motivo, criticava la sentenza di secondo grado per carenza di motivazione in ordine all’entità del danno cagionato, nonostante, con specifico motivo di appello, veniva evidenziata l’assenza di qualunque prova in tal senso.
Infine, criticava la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, la Corte d’appello, pur estromettendo la parte civile, confermava il capo della sentenza, relativo alle spese di costituzione delle due parti civili costituite con il medesimo difensore.
La decisione
La Corte di Cassazione, nell’analisi del ricorso, ribadiva l’orientamento costante della giurisprudenza secondo cui:
«la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo sul giudice, però, in siffatta ipotesi, un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita»[1].
Il reato di cui all’art. 612 bis, infatti, è un reato abituale di evento sicché è necessario, per la sua consumazione, il realizzarsi di almeno due condotte che causino le conseguenze previste alternativamente dalla norma tipizzante.
A fronte di condotte reciproche, di conseguenza, sorge l’esigenza di una verifica più approfondita da parte del Giudice sugli eventi del comportamento tenuto:
«volta ad accertare in quali termini tali condotte “persecutorie” vengano poste in essere e se esse siano o meno maturate in un ambito di litigiosità tra due soggetti che, potrebbe portare a escludere, ove si accerti una posizione di parità tra di loro, la configurabilità del reato che presuppone la sussistenza di un disequilibrio della posizione della vittima rispetto a quella dell’autore dei comportamenti intimidatori o vessatori».
La reciprocità, in altri termini, non esclude di per sé la penale rilevanza delle condotte persecutorie, ma ne rende più scrupoloso l’accertamento, imponendo al Giudice un onere di motivazione rafforzato sull’individuazione di almeno uno degli eventi individuati dal legislatore, nonché, ed è questo il quid pluris richiesto dalla giurisprudenza in tali ipotesi, l’accertamento di una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificare le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura.
Conclusioni
Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
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[1] Da ultimo, Sez. 5, n. 42643 del 24/06/2021.