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L’equo compenso tra esigenze di innovazione e profili di criticità

- 12 Settembre 2023


Fair compensation  is law. The article aims to analyze in detail the legislative provisions on fair compensation with particular attention to the evolution and, above all, to the critical profiles among which emerges, with disruption, the lack of regulation of sub-contracting, the non-retroactivity of the law and the exclusion of forced collection. Precisely in this last field, the professionals implement a derogation of about 70% of the ministerial parameters.

SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. 2. Lo squilibrio contrattuale. 3. Contenuto. 4. Profili di criticità.

Cenni introduttivi

L’equo compenso per i liberi professionisti è legge. Il 13 aprile 2023 l’aula della Camera ha dato il via libero definitivo al disegno di legge che impone ai cosiddetti contraenti forti di riconoscere un giusto compenso alle prestazioni professionali.

In verità nella prima versione il disegno di legge si rivolgeva solo ai professionisti ordinisti, ma quasi subito lo stesso Sacconi allargò nominalmente l’ambito della legge ai professionisti di cui legge 4/2013. Successivamente altre integrazioni hanno contribuito a definire il perimetro della nuova legge, che però mantiene i limiti di un provvedimento pensato per i soli professionisti ordinisti, senza l’attenzione a coprire le situazioni più deboli, anche degli stessi ordinisti.

Occorre fin da subito evidenziare che sono almeno cinque aspetti della legge, che ne riducono l’applicazione e/o che la rendono non equa.

La legge n. 49 del 29 aprile 2023 sulle “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” rappresenta l’evoluzione di un disegno di legge presentato nel lontano 2017 (a firma di Sacconi), oggetto di numerose modifiche e rimaneggiamenti con il non celato obiettivo di ripristinare i sistemi tariffari degli ordini professionali eliminati nel 2006.

Sul punto occorre precisare che nel 2017, il Consiglio Nazionale Forense avviò una diffusa azione di monitoraggio dei casi più clamorosi di abuso da parte di grandi imprese, soprattutto nei settori bancario e assicurativo[1]  , nuove norme sull’equo compenso hanno prima novellato l’ordinamento forense, con il nuovo art. 13 bis, e poi sono state estese a tutti i professionisti. E’ inoltre doveroso premettere che il c.d. DDl Sacconi faceva seguito ad una importantissima pronuncia della Corte di Giustizia Europea (relativa alle cause riunite C-532/15 e C-538/15, depositata l’8 dicembre 2016) in cui veniva stabilità la conformità al diritto unionale sulla concorrenza (art 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea) della determinazione di tariffe fissate per legge (e regolamentate da Decreti ministeriali) relative all’opera professionale espletata dei procuratori legali senza possibilità di negoziazione tra le parti.

Nella primaria versione il DDL faceva riferimento ai soli professionisti ordinisti. Successivamente l’ambito applicativo venne esteso ai professionisti di cui alla l. 4/2013.

La legge n. 49 rappresenta una riforma organica che riordina la disciplina e fa dell’equo compenso un istituto di carattere generale nell’ambito del comparto delle professioni intellettuali, cercando di migliorare) alcune problematiche emerse nei primi anni di applicazione.

Seppur con evidenti profili di criticità la legge summenzionata rappresenta un primo flebile tentativo culturale di tutela del lavoro intellettuale non dipendente. La legge n. 49 «voluta da un ampio arco di forze politiche, rappresenta l’esito di un processo politico cominciato da qualche anno, allorquando il legislatore italiano ha cominciato ad estendere al lavoro dei professionisti politiche attive di protezione e sostegno, a cominciare dalla legge sulla tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale[2]». Questo è l’inquadramento della l. n. 49/2023 offerto dalla scheda di analisi pubblicata dall’Ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense

Orbene, senza dilungarsi ulteriormente in questa doverosa premessa e prima dell’analisi degli articoli, è illuminante una breve analisi dei dati sul lavoro autonomo. La cd. povertà lavorativa[3]  è maggiormente diffusa appare diffusa più nel lavoro autonomo (17,6%) che nel lavoro dipendente (10,3%). È evidente, quindi, che seppur numericamente meno diffuso a causa dell’introduzione di diverse tipologie di contratti a termine, lo schema contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sembra ancora garantire soglie di tutela economica 8e sociale) più alte rispetto a forme di lavoro autonomo.

Basti pensare, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo al censimento pubblicato da Cassa Forense in cui emerge, nel 2022, un decremento di iscritti rispetto all’anno precedente pari a tremiladuecento unità. A fronte di numero così impressionanti si è quindi imposta la necessità di un netto intervento finalizzato alla tutela del lavoro professionale sul viatico del sempre verde art. 2233 comma 2 del c.c. nella parte in cui si prevede che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”.

Lo squilibrio contrattuale

Uno degli aspetti di maggior rilievo della riforma è certamente quello riferito al professionista come parte debole di un rapporto obbligatorio per natura squilibrato[4].

In generale, lo squilibrio contrattuale viene definito come alterazione relativa al valore economico delle prestazioni considerate nella globalità dell’operazione in cui si inseriscono

La problematica è stata affrontata con attenzione dalla giurisprudenza. In particolare, i giudici di legittimità[5] esaminarono l’annosa problematica relativa alle convenzioni tra società commerciali ed avvocati per l’attività di recupero dei crediti che le prime vantavano nei confronti di fornitori, clienti et similia.

In particolare atteso l’elevato numero di avvocati la parte forte del rapporto “squilibrato” era rappresentata dalla società che commissionava al professionista il summenzionato recupero facendo sottoscrivere a quest’ultimo una convenzione sui compensi in deroga ai minimi tabellari previsti dai D.M. regolatori della materia. Orbene nella pronuncia richiamata in precedenza i giudici di legittimità richiamando in primis il 429 c.p.c. comma 3  sulla automatica rivalutazione monetaria e in seguito la conferente giurisprudenza costituzionale, hanno evidenziato che  Se la ratio di disposizioni processuali quali quella richiamata è appunto quella di proteggere una certa parte di un rapporto economico, quella socialmente debole,  allora il favor va accordato anche al caso di specie in quanto in esso ricorrono i requisiti richiesti dalla norma: continuatività, coordinazione, prevalenza personale della prestazione.

L’avvocato che ha sottoscritto una convenzione ha un compenso professionale al di sotto dei minimi tabellari, il cui differenziale è oggetto di rinunzia per costrizione ed è in rapporto di tipo parasubordinato con il cliente avendo di tal guisa diritto alle tutele sostanziali e processuali proprie di tale regime.

E’ evidente che la giurisprudenza ben prima del legislatore ha affrontato in maniera diretta il problema iniziando una faticosa opera di riequilibrio basata su “(…) ragioni sistematiche volte a tutelare il lavoro e il lavoratore anche nelle prestazioni d’opera intellettuale (…)8, ribadendo il doveroso richiamo alla disciplina codicistica: esiste dunque “un limite nell’articolo 2233, comma 2, c.c., che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione”.

Contenuto

Al fine di dirimere le diverse questioni sottese alla riforma oggetto del presente articolo occorre prender le mosse da una breve disamina dei singoli articoli della legge n. 49 del 2023. 

L’articolo 1 contiene la definizione di equo compenso. Si specifica che per essere considerato equo il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale nonché conforme ai parametri per la determinazione dei compensi previsti dalla legge.

L’articolo 2, definisce, al comma 1, l’ambito di intervento della proposta di legge, la quale si applica al compenso dei professionisti in relazione alle attività professionali che:

  • hanno ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 c.c.; trovano fondamento in convenzioni;
  • sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative (e loro controllate e mandatarie), nonché di imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

Rispetto alla normativa vigente, la proposta amplia l’ambito applicativo della disciplina sull’equo compenso delineando, in relazione alla realtà produttiva italiana, le caratteristiche che deve avere l’impresa per poter essere considerata, rispetto al professionista, un contraente “forte”.

La disposizione, inoltre, specifica che le norme sull’equo compenso si applicano ad ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista, le cui clausole siano utilizzate dalle predette imprese (comma 2); al riguardo si anticipa che l’articolo 4, comma 1, della proposta specifica che tali accordi si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese, salvo prova contraria.

L’articolo 2 (comma 3) estende altresì l’applicazione della disciplina dell’equo compenso alle prestazioni rese dal professionista nei confronti della pubblica amministrazione e delle società partecipate dalla p.a. Sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione della disciplina le società veicolo di cartolarizzazione e gli agenti della riscossione ed è posto nel contempo a carico di quesi ultimi – con una disposizione analoga a quella di cui al comma 4-bis dell’art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148 del 2017 – l’obbligo di garantire comunque, all’atto del conferimento dell’incarico, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo in ogni caso conto dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta.

L’articolo 3 stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato per lo svolgimento di attività professionali, con riguardo anche ai costi sostenuti dal prestatore d’opera (comma 1); la proposta specifica che sono nulle le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi di cui all’art. 1.

Il comma 2 prevede inoltre la nullità di qualsiasi pattuizione:

  • che vieti al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione; che imponga allo stesso l’anticipazione di spese;
  • che, comunque, attribuisca al committente o cliente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso.

La stessa disposizione prevede la nullità di qualsivoglia clausola e pattuizione che consista:

  • nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;
  • nell’attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;
  • nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista deve eseguire a titolo gratuito;
  • nella rinuncia del professionista al rimborso delle spese;
  • nella previsione di termini di pagamento superiori a 60 giorni dal ricevimento della fattura;
  • con esclusivo riferimento alla professione forense, nella previsione che in caso di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minor importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state in tutto o in parte corrisposte o recuperate dalla parte, ovvero solo il minore importo liquidato nel caso in cui l’importo previsto in convenzione sia maggiore;
  • nella previsione che, in caso di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati;
  • nella previsione che il compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti solo in caso di sottoscrizione del contratto;
  • nell’obbligo per il professionista di rimborsare il cliente per l’utilizzo di servizi di assistenza tecnica la cui fruizione sia richiesta dal cliente stesso.

Il comma 3 esclude la nullità delle clausole che riproducono disposizioni di legge o che attuano princìpi contenuti in convenzioni internazionali.

Il comma 4 specifica che la nullità:

  • quando riguarda le clausole contrattuali, non travolge l’intero contratto; opera solo a vantaggio del professionista;
  • può essere rilevata anche d’ufficio.

Il comma 5 specifica che l’azione per far valere la nullità della pattuizione (accordo di qualsiasi tipo, convenzione, contratto, esito della gara, affidamento, predisposizione di un elenco di fiduciari etc.) e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata, può essere promossa dal professionista, innanzi al tribunale del luogo ove egli ha la residenza o il domicilio.

In base al comma 6 il Tribunale procede alla rideterminazione del compenso: secondo i parametri ministeriali in vigore; tenendo conto dell’opera effettivamente prestata.

Per le sole professioni ordinistiche è inoltre introdotta la possibilità, per il tribunale, di richiedere al professionista di produrre il parere di congruità del compenso reso dall’ordine o dal collegio professionale. Al riguardo si specifica:

  • che il parere di congruità costituisce elemento di prova circa le caratteristiche dell’attività prestata;
  • che il tribunale può comunque avvalersi anche della consulenza tecnica, ove indispensabile ai fini del giudizio.

L’articolo 4 ribadisce che spetta al giudice, rilevato il carattere iniquo del compenso, rideterminarlo condannando il committente al pagamento del dovuto; inoltre, il giudice può condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista, pari a una somma fino al doppio della differenza tra il compenso e quello originariamente pattuito.

L’articolo 5:

  • specifica che gli accordi, vincolanti per il professionista, conclusi tra quest’ultimo e le imprese di cui all’art. 2 si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salvo prova contraria (comma 1). Si ricorda che in base all’art. 1370 c.c. le clausole predisposte unilateralmente da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro;
  • stabilisce che il termine di prescrizione del diritto al compenso da parte del professionista decorre dalla cessazione del rapporto con l’impresa ovvero, in caso di pluralità di prestazioni rese a seguito di un’unica convenzione e non aventi carattere periodico, dal compimento dell’ultima prestazione (comma 2);
  • prevede che i parametri per la determinazione dei compensi professionali di cui all’art. 1 della proposta di legge debbano essere aggiornati con cadenza biennale, su proposta dei consigli nazionali delle professioni (comma 3). Si ricorda che per quanto riguarda la professione forense, l’aggiornamento biennale, su proposta del CNF, è già previsto dall’art. 13 della legge n. 247 del 2012;
  • attribuisce ai consigli nazionali delle professioni la legittimazione ad agire in giudizio in caso di violazione delle disposizioni in materia di equo compenso (comma 4);
  • demanda agli ordini e collegi professionali il compito di introdurre norme deontologiche per sanzionare il professionista che viola le disposizioni sull’equo compenso e che, nel predisporre il contenuto della convenzione, omette di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare tale disciplina (comma 5).

L’articolo 6 consente alle imprese di cui all’art. 2 di adottare modelli standard di convenzione, concordati con le rappresentanze professionali; in tali casi i compensi individuati dal modello si presumono equi fino a prova contraria.

L’articolo 7 prevede la possibilità che il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento (artt. 633 e ss cp.c.) e a quelle specifiche per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (art. 14 del D. lgs. n. 150 del 2011) acquisti l’efficacia di titolo esecutivo per il professionista, se rilasciato nel rispetto delle procedure, e se il debitore non ha proposto opposizione ai sensi dell’art. 281-undecies c.p.c., entro 40 giorni dalla notificazione del parere stesso.

Nel corso dell’esame da parte del Senato è stata approvata, con riguardo a tale disposizione, una modifica, con la quale è stato sostituito il riferimento all’articolo 702- bis con il richiamo all’articolo 281-undecies c.p.c. Si tratta di una modifica legata all’abrogazione dell’articolo 702-bis c.p.c. ad opera del D.Lgs. n. 149 del 2022 (c.d. “riforma Cartabia”), il quale ha sostituito il rito sommario con il rito semplificato di cognizione a partire dal 28 febbraio 2023.

Si ricorda, infatti, che le disposizioni di cui al D. Lgs. citato, salvo che sia diversamente disposto, hanno efficacia a decorrere dal 28 febbraio 2023, secondo quanto stabilito dall’art. 35, comma 1, del D.Lgs. medesimo come modificato dall’art. 1, comma 380, lett. a della L. 197/2022 (legge di bilancio 2023).

In virtù del richiamo all’art. 14 del D. lgs. n. 150 del 2011 il giudizio di opposizione al parere di congruità avente efficacia di titolo esecutivo si svolge davanti al tribunale in composizione monocratica del luogo nel cui circondario ha sede l’ordine o il collegio professionale che lo ha emesso, nelle forme del rito semplificato di cognizione, regolato dal capo III-quater del titolo I del libro II c.p.c. (artt. 281-decies ss. c.p.c.), introdotto dalla citata “riforma Cartabia”; le parti possono stare in giudizio personalmente; la sentenza non è appellabile.

L’articolo 8 interviene sulla disciplina della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità professionale, individuando nel giorno del compimento della prestazione il relativo dies a quo.

L’articolo 9 consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l’azione di classe, proposta dal consiglio nazionale dell’ordine (per le professioni ordinistiche) o dalle associazioni professionali (per le professioni non ordinistiche, di cui alla legge n. 4 del 2013). La disposizione richiama la disciplina dell’azione di classe ora contenuta nel Titolo VIII-bis del libro quarto del codice civile, entrata in vigore il 19 maggio 2021.

L’articolo 10 istituisce presso il Ministero della giustizia l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso, con il compito di vigilare sul rispetto della legge, esprimere pareri o formulare proposte sugli atti normativi che intervengono sui criteri di determinazione dell’equo compenso o disciplinano le convenzioni; segnalare al Ministro della giustizia pratiche elusive delle disposizioni sull’equo compenso; presentare alle Camere una relazione annuale sulla propria attività di vigilanza.

L’osservatorio, nominato per 3 anni con decreto del Ministro della giustizia, dovrà essere composto da:

  • un rappresentante designato dal Ministero del lavoro;
  • un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali;
  • due rappresentanti designati dal Ministero dello sviluppo economico tra le associazioni professionali di cui all’art. 2 della legge n. 4 del 2013.

Ai componenti dell’Osservatorio non spetta alcun compenso, gettone, rimborso spese o altro emolumento.

L’articolo 11 contiene una disposizione transitoria in base alla quale le norme di nuova introduzione non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della nuova disciplina.

L’articolo 12 abroga:

  • l’art. 13-bis della legge n. 247 del 2012, c.d. (legge professionale forense); l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017;
  • l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che a sua volta dispone l’abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali.

Si ricorda che l’abrogazione di disposizioni abrogative non provoca automaticamente la reviviscenza delle norme abrogate, come affermato dalla Circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi del presidente della Camera del 20 aprile 2001 e, successivamente, anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 13 del 2012).

Con riguardo all’abrogazione delle disposizioni di abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime occorre ricordare che nel nostro ordinamento il compenso del professionista è stato a lungo commisurato in base a un sistema tariffario obbligatorio.

Sulla materia è intervenuta la c.d. “legge Bersani” (legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006) che, all’articolo 2, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà dei minimi tariffari.

Il definitivo superamento del sistema tariffario è stato successivamente opera dell’art. 9 del DL n. 1 del 2012, che ha previsto l’abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate (oltre ai minimi, vengono meno anche i massimi tariffari), introducendo una nuova disciplina del compenso professionale: il professionista può liberamente pattuire qualunque compenso con il cliente, purché adeguato all’importanza dell’opera. Inoltre, l’art. 9 del DL 1/2012 ha previsto che, in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, la determinazione del compenso professionale debba essere effettuata con riferimento a parametri tariffari stabiliti con decreto del Ministro vigilante. Per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia si fa riferimento al D.M. 20 luglio 2012, n. 140; per gli iscritti all’albo dei consulenti del lavoro al D.M. 21 febbraio 2013, n. 46 e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, al D.M. 19 luglio 2016, n. 165.

Con particolare riferimento alla professione forense, la legge professionale (legge n. 247 del 2012, art. 13) ha stabilito per i compensi la possibile pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

A richiesta, l’avvocato è altresì tenuto a comunicare in forma scritta al cliente la prevedibile misura del compenso, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale.

L’art. 13 della legge professionale forense ha previsto l’aggiornamento ogni 2 anni dei parametri per la liquidazione dei compensi indicati nel DM giustizia, su proposta del CNF.

Per la professione forense, i parametri trovano applicazione: quando il giudice liquida le spese al termine dei giudizi; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso in forma scritta; quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso consensualmente.

L’articolo 13 reca la clausola di invarianza finanziaria.

Profili di criticità

Il tanto atteso intervento legislativo analizzato in precedenza lascia presta però il fianco a diversi spunti critici su cui riflettere. Non ci sono norme che regolano la sub-committenza. Innanzitutto la questione (mancata) della regolazione della sub-committenza.

La pubblica amministrazione e le grandi imprese dovranno necessariamente applicare equi compensi nei confronti dei fornitori. Manca tuttavia una norma che imponga di controllare che gli stessi criteri siano rispettati in tutta la catena di subfornitura.

Altro problema è quello che attiene ai professionisti, anche non ordinisti, che non sono tutelati nei confronti degli studi professionali con cui collaborano.

La fattispecie interessa soprattutto i più giovani, anche avvocati, come dimostrano i dati sui redditi forniti dalla Cassa Forense. Nel 2020 il reddito medio di un avvocato era pari a 37.785 euro (50.933 gli uomini e 23.576 le donne), ma 13.274 per gli avvocati con meno di 30 anni e 16.123 per la fascia 30-34 anni.

Un ultimo e forse più importante punto di criticità è quello relativo alla vera portata applicativa dell’intervento in esame.

Se è infatti vero che, in base all’art. 2 la riforma si applica “ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile  regolati  da  convenzioni  aventi  ad  oggetto  lo svolgimento, anche in forma associata o societaria,  delle  attività professionali svolte in favore di  imprese  bancarie  e assicurative nonché’ delle loro società  controllate,  delle  loro  mandatarie  e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento  dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di  euro”. “Le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore   della   pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

Orbene, per quanto attiene ai rapporti con la pubblica amministrazione è espressamente previsto che le disposizioni legislative non si applicano, in ogni caso, alle prestazioni rese dai professionisti in favore di società veicolo di cartolarizzazione ne’ a quelle rese in favore degli agenti della  riscossione.

Escludendo gli agenti della riscossione (e chiaramente anche ai concessionari della riscossione) non si interviene su prestazioni professionali che derogano ai decreti ministeriali regolatori dei compensi professionali del 70%.

L’art. 11, infine prevede che “Le disposizioni della presente legge non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge. È ovvio allora pensare che le Compagnie di assicurazione o gli Istituti di credito che operano in convenzioni con i professionisti con forti deroghe ai parametri ministeriali, mantengano le convenzioni in essere (al ribasso) senza ampliare il novero dei professionisti a cui dovrebbero affidare incarichi parametrati all’equo compenso.

In conclusione, è una legge poche luci e molte ombre, che non sembrerebbe tutelare le fasce di soggetti più deboli perché esclude le categorie professionali che più ne avrebbero bisogno, perché non protegge nelle situazioni di sub-committenza, non garantisce alcun minimo contrattuale ai collaboratori di studi professionali e non incide realmente proprio su quelle convenzioni fortemente al ribasso.  È una legge che, analizzata nel dettaglio, risponde (ancora) ad interessi corporativi grandi e piccoli.

[1] Dall’analisi di alcune convenzioni poste in essere da banche e assicurazioni – tra le altre UBI Banche, Italfondiario S.p.a., Intesa San Paolo, MPS, Unicredit, Allianz, Axa, Carige, Cattolica, Groupama, Generali, Unipolsai, HDI – è emerso che molteplici clausole che impongono condizioni particolarmente vessatorie per i legali appaiono molto simili e, in alcuni casi, identiche. Tra esse, prestazioni gratuite imposte (completa gratuità dell’attività di consulenza/assistenza nei casi in cui sia già in corso o sia poi avviata attività giudiziale, obbligo di redazione gratuita di commenti a provvedimenti legislativi o giudiziari, o di newsletter a carattere giuridico), imposizione dell’esclusione di anticipi, e in qualche caso anche l’obbligo del legale di anticipare le spese occorrenti per lo svolgimento dell’incarico ricevuto, soppressione o abbattimento forfettario della voce di parcella relativa alle spese generali (pur prevista dalla legge), esclusione del rimborso delle spese di trasferta (clausola particolarmente vessatoria, se associata a compensi molto bassi, perché in grado in taluni casi di erodere completamente il margine di guadagno del professionista e costringerlo a prestazioni sotto costo), imposizione di forti limitazioni del compenso in caso di

pluralità di cause. Accanto a queste clausole, compaiono spesso compensi davvero irrisori. La condizione di debolezza dell’avvocato che aderisce a queste convenzioni è legata per lo più alla circostanza per cui il professionista riceve da questo genere di “clienti forti” un flusso di lavoro non facilmente sostituibile con altri clienti. Cfr. www.cnf.it

 

[2]Cfr.https://staticr.giuffre.it/DIRITTO_E_GIUSTIZIA/SCHEDA%20EQUO%20COMPENSO.pdf.

[3] A. DI FILIPPO, Guilty or innocent? The minimum wage in front of the Court of the empirical evidence. A literature review, in corso di pubblicazione sulla rivista Journal of Economic Surveys

[4] Sull’argomento, tra gli altri, R.  SACCO – G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. Dir. civ. SACCO, II, 3a ed., Utet, 2004, 707; M.Bianca, Diritto Nella vicenda che qui interessa, alla Società Beton era stata affidata in concessione – mediante stipula di apposita convenzione-contratto tra la società, il ComuCivile. 5. La responsabilità, Giuffré, 1995, 385; A. BOSELLI, voce Eccessiva onerosità, in Noviss. dig. it., VI, Utet, 1957, 334; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, Utet, 1980, 652; P. TARTAGLIA, Eccessiva onerosità e appalto, Giuffré, 1983, 43.; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termini, Jovene, 1996.

[5] Cfr. Cass. Civ. sez. lav., 27 settembre 2010, n. 20269. 

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