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Cass. Pen., sez V, ud. 3 luglio 2023 (dep. 16 novembre 2023), n. 46333

- 20 Novembre 2023

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

L’omicidio del coniuge comporta la pena dell’ergastolo con la conseguente preclusione, ai sensi dell’art. 438 c.p.p., della possibilità per l’imputato di accedere al rito abbreviato.

Svolgimento del processo 

La Corte d’Assise di appello ha confermato la sentenza emessa Corte di Assise che aveva condannato F.A. alla pena dell’ergastolo per l’omicidio della moglie E.A.D., aggravato ai sensi dell’art. 577 c.p., comma 1, n. 1.

La vicenda – nel suo nucleo essenziale un tipico “femminicidio”, essendo stata motivata dal timore dell’imputato di essere lasciato dalla moglie, la quale aveva manifestato l’intenzione di separarsi – secondo le dichiarazioni del F. era avvenuta al culmine di un litigio, svoltosi nell’abitazione familiare e generato dalla richiesta dell’imputato di chiamare la madre in vista del Ramadan.

Ciò aveva determinato una reazione aggressiva della moglie, che offendeva F. e lo colpiva in corrispondenza della ferita di una recente operazione chirurgica. Sempre secondo la versione difensiva, che è stata resa nell’udienza preliminare del 16/7/2020, la donna aveva puntato un coltello contro il marito, il quale aveva tentato di afferrarle il polso della mano.

I ricordi dell’imputato si arrestavano a questo punto, ma dalle evidenze oggettive è emerso che E.A.D. era stata colpita con otto fendenti da arma bianca da punta e da taglio, concentrati nelle regioni antero-laterali del collo; al rinvenimento del cadavere della donna, il coltello era ancora conficcato nel suo collo, in regione antro-laterale sinistra.

L’omicidio è stato ammesso dall’imputato, il quale – nell’appello aveva invocato la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Tuttavia, la Corte territoriale di secondo grado ha confermato il diniego già opposto dal primo collegio, con diffusa motivazione.

Con il primo motivo di gravame si deduce la violazione di legge riferita all’art. 438 c.p.p., comma 1-bis, nonché illogicità della motivazione sul punto.

La tesi del ricorrente, già espressa nei gradi di merito, prende le mosse dall’analisi dell’indicata disposizione, che vieta di accedere al giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Si propone un collegamento con l’art. 344-bis c.p.p. che, al comma 9, esclude l’operatività del nuovo istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione per i delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

Si sostiene che la specificazione contenuta in tale ultima disposizione dimostra che il rito abbreviato deve ritenersi escluso soltanto per giudicare i delitti puniti ex se con la pena dell’ergastolo, e non per quelli che prevedono la pena perpetua a seguito di circostanze aggravanti, altrimenti non vi sarebbe stata ragione di specificare diversamente per l’improcedibilità dell’appello.

Si propugna un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 438 c.p.p., comma 1-bis, che sarebbe confermata da recenti arresti di legittimità, quale quello in materia di messa alla prova disciplinata dall’art. 168-bis c.p., in cui si è escluso che nel sistema esista un criterio normativo unitario in base al quale determinare la pena ai fini dell’applicazione di istituti processuali, come in tema di competenza – art. 4 c.p.p. – o in tema di applicazione di misure cautelari personali – art. 278 c.p.p. – e si è aggiunto che il legislatore, quando vuole dare rilevanza alle circostanze del reato, lo fa in modo esplicito.

Con il secondo motivo si censura per omessa motivazione la ritenuta manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalità dell’art. 577 c.p., comma 1, n. 1.

Ripercorrendo le argomentazioni del gravame a sostegno di tale censura, ci si duole dell’apparenza della motivazione con cui essa è stata respinta nella impugnata sentenza, senza avere analizzato le numerose ipotesi aggravate di omicidio volontario previste dal legislatore, né avere valutato la graduazione che emerge dalle circostanze descritte nell’art. 576 c.p. e art. 577 c.p., commi 1 e 2.

Invero, fino al 2018, l’omicidio del coniuge non divorziato non rientrava tra le ipotesi di maggiore gravità, ed era punito con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, ai sensi dell’art. 577 c.p., comma 2.

Sussisterebbe quindi la violazione dell’art. 3 Cost. e art. 27 Cost., commi 1 e 3, ad opera del nuovo art. 577 c.p., comma 1, n. 1, che impone una pena rigidamente predeterminata, l’ergastolo, in spregio al principio di massima individualizzazione del trattamento sanzionatorio ricavabile dagli indicati parametri costituzionali e dal criterio di proporzione che presiede alla graduazione delle sanzioni in base alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del delitto.

Si ripropone, dunque, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 577 c.p., comma 1, n. 1, – come modificato dalla L. 11 gennaio 2018, n. 4 e dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 nella parte in cui commina la pena dell’ergastolo per l’omicidio del coniuge, anche legalmente separato, dell’altra parte dell’unione civile, della persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva.

Conseguenzialmente, si solleva dubbio di costituzionalità anche per la norma dell’art. 577 c.p., comma 2, per le ipotesi di omicidio aggravato ivi considerate, limitatamente alle predette relazioni coniugali o affettive, ove cessate.

Nel terzo, quarto e quinto motivo – da trattarsi congiuntamente attesa la comune doglianza – si evoca violazione di legge con riferimento agli artt. 517 e 521 c.p.p., quanto alla ritenuta sussistenza di fatto delle aggravanti della crudeltà, della presenza della minore, e della premeditazione, aggravanti mai formalmente contestate.

Nel sesto motivo si censura per violazione di legge, riferita agli artt. 238 e 526 c.p.p., l’acquisizione della relazione degli assistenti sociali ASP Azalea relativa ai figli minori dell’imputato e della vittima.

Con l’ultimo motivo di impugnazione si deduce contraddittorietà della motivazione rispetto alle risultanze in atti, quanto alla negazione delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

(…)

Gli elementi valutati dalla Corte di Cassazione possono essere così evidenziati:

–     in via preliminare, la pronuncia impugnata è una c.d. doppia conforme. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che – a presidio del devolutum – discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede. Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nel caso di adeguata valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio;

–     con riferimento alla questione di legittimità costituzionale, la Corte costituzionale – investita della questione riguardante il dubbio di costituzionalità della preclusione del rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo, anche con riferimento a tale caso specifico nella sentenza n. 260 del 18 novembre 2020, depositata il 3 dicembre 2020, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438 c.p.p., comma 1-bis, nonché della L. 12 aprile 2019, n. 33, art. 3 sollevate – in riferimento all’art. 3 Cost., art. 27 Cost., comma 2, e art. 111 Cost., comma 2 gravame inerente la circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 5, c.p. vengono prese in considerazione diverse situazioni che ricomprendono le circostanze di tempo, tra le quali particolare risalto, nella casistica giurisprudenziale e nel caso in esame, hanno assunto le condotte criminose realizzate in tempo di notte, le circostanze di luogo e le circostanze di persona.

La disposizione relativa al giudizio abbreviato, dettata nella sede specifica dell’art. 438 c.p.p., è lapidaria nell’escludere tale rito speciale per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo. La mancanza di specificazioni, limitazioni, distinguo di ogni genere, denota la volontà legislativa di escludere il rito premiale per tutti i delitti che comportano tale sanzione, in via diretta oppure come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti;

–     dal punto di vista della pena, l’ergastolo, a ben vedere, risponde ad una precisa scelta di politica criminale alla quale si è ispirato il legislatore nei suoi interventi legislativi del 2018 e del 2019, in quanto tale insindacabile in questa sede e non sospettabile di illegittimità costituzionale alla luce dei richiamati parametri ex art. 3 Cost. e art. 27 Cost., commi 1 e 3, con riferimento al nuovo art. 577 c.p., comma 1, n. 1, nei termini prospettati dalla difesa dell’imputato, che ha erroneamente paventato una pena rigidamente predeterminata, l’ergastolo, in spregio al principio di massima individualizzazione del trattamento sanzionatorio ed al criterio di proporzione che presiede alla graduazione delle sanzioni in base alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del delitto. Si è già detto, infatti, che la comminatoria della pena perpetua non è una imposizione rigida, ma soggetta all’ordinario vaglio di personalizzazione alla stregua dei criteri codicistici che presidiano la discrezionalità vincolata del giudice in detta materia.

La sollecitazione difensiva all’interpello di costituzionalità è dunque manifestamente infondata nella parte riguardante l’omicidio del coniuge e manifestamente irrilevante per le ulteriori fattispecie di omicidio aggravato, non coinvolte dalla presente vicenda;

– i motivi terzo, quarto e quinto evocano violazione di legge con riferimento agli artt. 517 e 521 c.p.p., quanto alla denunciata ritenuta sussistenza di fatto delle aggravanti della crudeltà, della presenza della minore, e della premeditazione, aggravanti mai formalmente contestate.

Tali doglianze sono tuttavia inammissibili per carenza di correlazione con le statuizioni del primo giudice. Inoltre, la pretesa del ricorrente di escludere ogni riferimento alla violenza usata contro la moglie al fine di consentire il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è palesemente contraria all’art. 133 c.p. che richiede la valutazione di ogni modalità dell’azione, motivatamente ritenuta dai giudici di ambo i gradi connotata da particolare violenza;

– il sesto motivo denuncia violazione di legge, riferita agli artt. 238 e 526 c.p.p., per l’acquisizione della relazione degli assistenti sociali ASP Azalea relativa ai figli minori dell’imputato e della vittima. Sul punto, prescindendo dalla doglianza difensiva che ha deplorato l’assenza di ogni presa di contatto dei servizi sociali con il padre in ordine ai rapporti con i figli minori, contatti che invero non avrebbero mai potuto essere instaurati, essendo stato F. immediatamente sospeso dalla responsabilità genitoriale, si osserva che in alcun modo è stata dimostrata la decisività della acquista relazione ai fini delle determinazioni sulla responsabilità penale e sul trattamento sanzionatorio dell’imputato. Dal canto suo, la Corte di Assise di appello ha affermato che tale documento non ha modificato in alcun modo il quadro probatorio e le determinazioni in ordine alla pena, la cui specie discende direttamente dall’aggravante del coniugio, e dall’assenza di ragioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;

– nemmeno il settimo motivo di gravame è stato ritenuto degno di accoglimento in quanto, in tema di circostanze attenuanti generiche, la consolidata giurisprudenza di legittimità afferma che la relativa valutazione si configura come un giudizio di fatto, lasciato alla discrezionalità del giudice di merito, il quale deve motivare la sua decisione nei soli limiti atti a far emergere, in misura sufficiente, l’avvenuta valutazione circa l’adeguamento della pena concretamente applicata rispetto alla gravità effettiva del reato e alla personalità dell’imputato. Non è stato questo il caso dell’impugnata sentenza, che ha affrontato ogni profilo, oggettivo e soggettivo, della vicenda in termini assolutamente approfonditi, analizzando premesse, svolgimento e condotta post crimen patratumdell’imputato, e rendendo una motivazione ineccepibile per coerenza e completezza.

(…)

Dispositivo

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile E.A.N., nella sua qualità di tutore dei figli minori, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di appello con separato decreto di pagamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili H.F., E.A.N. in proprio, E.A.M., E.A.A. ed E.A.S., che liquida in complessivi Euro 4.497,00, come da nota spese.

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