
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
Ai fini della configurabilità del delitto di truffa, non è necessaria l’identità fra la persona indotta in errore e la persona che ha subito il danno patrimoniale, purché, anche in assenza di contatti diretti fra il truffatore e il truffato, sussista un nesso di causalità tra l’induzione in errore, il profitto e il danno.
Il fatto
La Corte di appello di Bologna, riformando parzialmente la pronuncia emessa in data 7 marzo 2016 dal Tribunale di Bologna, emetteva pronuncia di non doversi procedere nei confronti di D. C. e L. V. in relazione al delitto di truffa per intervenuta prescrizione; confermando – tuttavia – la parte relativa alle statuizioni civili.
Avverso la sentenza gli imputati presentavano ricorso per Cassazione.
La difesa di L. V. deduceva l’erronea applicazione dell’art. 640, comma 2, c.p., nonché la carenza di motivazione in ordine all’individuazione dell’atto di disposizione patrimoniale. Sul punto, secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non rispondeva al rilievo relativo alla carenza dell’elemento oggettivo, evidenziando come l’atto di disposizione patrimoniale non veniva posto in essere dalla vittima, ovverosia il Comune di Sn di S., ma dalla società concessionaria, obbligata in forza dell’attestazione dell’ente pubblico.
Anche S. C., nell’ambito dell’unico motivo di ricorso prospettato, deduceva l’erronea applicazione dell’art. 640, comma 2, c.p. in relazione alla mancata assoluzione per insussistenza del fatto e per la carenza di motivazione sulle deduzioni avanzate in appello.
Secondo la critica di quest’ultimo, il Giudice del gravame disattendeva le deduzioni difensive, facendo piana applicazione dell’art. 129 c.p.p., confermando tralaticiamente il giudizio sul meccanismo truffaldino espresso dal Giudice di primo grado; inoltre, veniva sottolineata la carenza degli elementi costitutivi del reato, non potendosi ravvisare né un danno patrimoniale per la vittima né l’elemento soggettivo in capo all’imputato.
La decisione
La Corte di Cassazione riteneva non fondato il motivo di L. V.
Gli Ermellini, in prima battuta, ribadivano il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 35490 del 2009, secondo cui:
«il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili».
In altri termini, se vi è parte civile costituita ed è intervenuta estinzione del reato per prescrizione nell’eventuale giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato, il giudice non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, ma deve valutare la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito.
Nel caso di specie, la Seconda Sezione sottolineava come la Corte d’Appello di Bologna aveva verificato il compendio probatorio ai fini di un’eventuale assoluzione ma, nondimeno, all’esito dell’istruttoria il reato veniva ritenuto configurato e, di conseguenza, giudici di appello emettevano (correttamente) pronuncia di estinzione del reato.
In ordine ai motivi predisposti da S.C., il quale lamentava la carenza dell’elemento oggettivo, il Collegio confermava l’orientamento maggioritario secondo cui: «Ai fini della configurabilità del delitto di truffa, non è necessaria l’identità tra la persona indotta in errore e la persona che ha subito il danno patrimoniale, purché, anche in assenza di contatti diretti tra il truffatore e il truffato, sussista un nesso di causalità tra l’induzione in errore, il profitto e il danno».
Di conseguenza, l’atto di disposizione patrimoniale da cui deriva il pregiudizio economico può essere posto in essere non solo dal danneggiato, ma anche dal deceptus.
Nel caso di specie, la condotta fraudolenta era rivolta nei confronti della società “CI H Spa”, soggetto diverso dal soggetto titolare dell’interesse patrimoniale leso, ovverosia il Comune di Sn di S. La società, indotta in errore dalla condotta degli imputati, procedeva all’assegnazione dell’immobile, in realtà non spettante secondo la normativa convenzionale e al successivo trasferimento della proprietà.
Conclusioni
La Suprema Corte rigettava il ricorso di V. L., mentre dichiarava inammissibile il ricorso presentato da C. S.