
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Il fatto. 3. La decisione. 4. Conclusioni.
Massima
L’attenuante speciale introdotta, con riferimento al delitto di rapina impropria, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024 – concernente i fatti di “live entità” – si aggiunge alla circostanza attenuante comune prevista dall’art. 62 comma 1, n. 4), c.p., ai fini dell’adeguamento della sanzione al fatto. Pertanto, quando la condotta sia connotata da modalità tali da indurre a ritenere che il fatto abbia “offensività minima” – e, dunque, possa beneficiare del riconoscimento dell’attenuante, il previo riconoscimento della circostanza attenuante comune ex art. 62 comma 1, n. 4), c.p. non impedisce una rivalutazione delle caratteristiche della condotta e della entità del danno, allo specifico fine di concedere l’ulteriore attenuante.
Il fatto
La Corte di appello di Roma, investita dell’atto di gravame dell’imputato, confermava la responsabilità penale di C.I. per il reato di tentata rapina impropria e, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, ex art. 62-bis c.p., e dell’attenuante prevista dall’art. 62 comma 1, n. 4), c.p., lo condannava alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 400 di multa.
All’imputato veniva contestato il tentativo di impossessamento di due monete da venti e dieci centesimi, sottraendole dal contenitore delle offerte della Chiesa. Una volta scoperto dal custode della Chiesa, aveva reagito con violenza verbale e fisica al fine di assicurarsi il possesso o, comunque, l’impunità per il delitto commesso.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa di C.I., articolando due motivi di impugnazione.
Con un primo motivo, lamentava la violazione di legge degli artt. 521 c.p.p. e 56-624 c.p., nonché vizio di motivazione in ordine alla qualificazione della condotta.
Nello specifico, la difesa riteneva non configurabile il reato di rapina impropria, atteso che il ricorrente si sarebbe limitato a profferire insulti nei confronti del custode, senza, però, realizzare alcun atto minatorio o violento all’indirizzo dello stesso.
Con un secondo motivo di gravame, censurava il vizio di violazione di legge rispetto all’omesso riconoscimento della circostanza attenuante speciale, introdotta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 86/2024.
Segnatamente, la assoluta modestia del fatto avrebbe consentito di ritenere configurabile detta circostanza attenuante, non esaminata dalla Corte di merito poiché le motivazioni della Consulta sono state depositate dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado.
La decisione
La Suprema Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso, ritenendo manifestamente infondato – e, dunque, inammissibile – il primo.
Con riguardo al primo motivo, la Corte ha osservato che – in senso opposto a quanto dedotto dal ricorrente – sussistono tutti gli elementi costitutivi del reato di rapina impropria, ascritto all’imputato.
In particolare, la Corte di appello non ha, correttamente, ritenuto acquisiti elementi diversi da quanto già emerso all’esito dell’istruttoria dibattimentale di primo grado.
Per tale motivo, risultava del tutto confermata la ricostruzione operata dal Tribunale: C.I., dopo essersi impossessato delle monete contenute nella cassetta delle offerte della Chiesa, raggiunto dal custode, lo aveva minacciato e spintonato, per assicurarsi il possesso del res.
Dunque, alcun dubbio milita in favore dell’invocata riqualificazione.
Diametralmente opposte, invece, le conclusioni per l’altro motivo di ricorso.
Preliminarmente, la Corte ha dato atto che, con la sentenza n. 86 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628 comma 2 c.p., nella parte in cui non prevedeva la possibilità di ridurre la pena, in misura non eccedente un terzo, quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione – ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo – il fatto risultasse di lieve entità.
Il Giudice delle leggi ha rimarcato che l’introduzione di tale attenuante trova fondamento anche nella carta costituzionale e, precisamente, nei principi di individualizzazione del trattamento sanzionatorio e del finalismo rieducativo della pena, posto che una pena sproporzionata rispetto alla effettiva gravità del fatto – o, comunque, inadeguata al concreto disvalore dello stesso – compromette l’attuazione del principio di individualizzazione della pena (Corte cost., 2 dicembre 2022, n. 244).
L’individualizzazione della pena – cosicché tenga conto dell’effettiva entità e delle esigenze del singolo caso – costituisce la naturale attuazione del principio personalismo della pena (Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 7).
Secondo la Consulta, infatti il finalismo rieducativo della pena è ormai «patrimonio della cultura giuridica europea».
Per tale motivo, atteso che il delitto di rapina impropria si connota di elementi costitutivi «multiforme» – vale a dire la violenza o la minaccia, la sottrazione della cosa, il possesso, l’impunità – e, ciononostante, è assoggettata ad un minimo edittale molto rilevante, occorreva riconoscere al Giudice della cognizione la possibilità di assegnare al fatto un minor disvalore, valorizzando elementi quali la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione.
Nel caso di specie, considerato che la declaratoria di incostituzionalità è successiva alla sentenza di secondo grado, la doglianza può essere proposta con ricorso per cassazione, purché siano indicate specificamente le ragioni che impongono un vaglio di merito sul tema, sia in punto di sussistenza delle condizioni per riconoscere la lieve entità della condotta, sia ai fini del quantum (fino ad un terzo) della riduzione, fermo restando la possibilità del rilievo officioso del profilo (cfr. Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2024, n. 19938).
Il ricorrente ha compiutamente articolato la doglianza, indicando, in modo specifico, le ragioni a sostegno della pretesa, nonché la modesta entità del fatto, sia rispetto al danno arrecato, sia rispetto alle modalità della condotta.
Ciò posto, la Corte di legittimità ha reputato necessario accertare la compatibilità dell’attenuante introdotta dalla Corte costituzionale con quella ex art. 62 comma 1, n. 4), c.p., già riconosciuta nel caso in disamina.
In proposito, la Corte ha rimarcato che era intenzione del Giudice delle leggi introdurre una ulteriore possibilità di riduzione della pena inflitta per le ipotesi di rapina impropria, che si aggiungesse all’attenuante comune ex art. 62 comma 1, n. 4), c.p.
In altri termini, la Corte costituzionale ha inteso porre rimedio a quelle situazioni in cui il fatto si presenti come «estremamente modesto» e, pertanto, risultavano insoddisfacenti gli strumenti codicistici apprestanti in via generale per temperare la sanzione.
Peraltro, la declaratoria di incostituzionalità ha riguardo proprio un caso in cui era stata già riconosciuta l’attenuante ex art. 62 comma 1, n. 4), c.p.
Tuttavia, non può essere sottaciuto che i parametri per il riconoscimento della circostanza sono alquanto sovrapponibili a quelli previsti per applicare l’attenuante ex art. 62 comma 1, n. 4), c.p.
Segnatamente, mentre ai fini dell’aggravante introdotta con la sentenza n. 86/2024 occorre valutare – in maniera sincrona – la natura, la specie, i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, per l’attenuante ex art. 62-bis c.p. è sufficiente la disamina del danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero il lucro di speciale tenuità.
In conclusione, il Collegio ha affermato che l’attenuante introdotta dalla Consulta, costituendo – come detto – uno strumento per ridurre ulteriormente la pena della rapina impropria (sommandosi ai rimedi già previsti nella parte generale del codice penale), ben può concorrere con l’attenuante comune ex art. 62 comma 1, n. 4), c.p.
Conclusioni
La Suprema Corte ha, pertanto, accolto il ricorso annullando la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità della sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024, con rinvio per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello. Dichiarando inammissibile nel resto il ricorso e definitivo l’accertamento di responsabilità.