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Cass. civ., sez III, ud. 18 maggio 2023 (dep. 5 settembre 2023), n. 25917

- 6 Dicembre 2023

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di custodia delle cose sequestrate ai sensi dell’art. 259 c.p.p., tra il custode giudiziario e l’avente diritto alla riconsegna (al momento della cessazione del vincolo penale imposta dal provvedimento di sequestro) sorge ex lege un’obbligazione, avente natura contrattuale, la cui prestazione, oltre ad avere il contenuto tipico dell’obbligazione di custodia predeterminato dalla legge (il quale contempla l’obbligo di conservazione, funzionale a quello successivo della consegna: art. 1177 c.c.), è altresì soggetta ai criteri legali di determinazione della prestazione, in particolare a quello della buona fede (art. 1175 c.c.)  e a quello della diligenza (art. 1176 c.c.), che ne conformano il contenuto, in funzione di adeguarla all’interesse creditorio cui essa deve corrispondere (art. 1174 c.c.). Ne consegue che il custode giudiziario è tenuto, per quanto possibile, a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento del deposito, restituendola all’avente diritto con la medesima pregressa funzionalità, salvo il normale logorio derivante dal tempo. In applicazione delle regole probatorie ai sensi dell’art. 1218 c.c., in caso di lamentato inadempimento, spetta al custode giudiziario, in qualità di debitore, offrire al giudicante la prova della causa non imputabile che ha determinato l’impossibilità del suo esatto adempimento.

Svolgimento del processo 

La Corte di Appello di Torino rigettava la domanda proposta da un soggetto il cui veicolo era stato sottoposto a vincolo del sequestro penale con provvedimento emesso dal Tribunale di Torino.

In particolare, l’attore aveva promosso un giudizio nei confronti del Ministero della Giustizia e degli eredi del defunto custode giudiziario, atteso che la propria autovettura, nel corso dei sei anni in cui era stata sequestrata, aveva riportato dei danni a causa di infiltrazioni d’acqua che ne avevano compromesso la funzionalità.

All’esito dei giudizi di merito, seppur non fosse stato messo in discussione il verificarsi dei danni, non furono ravvisati profili di responsabilità civile in capo al Ministero e al custode giudiziario: invero, dall’esegesi delle norme giuridiche deputate alla disciplina della custodia giudiziale dei veicoli a motore (in particolare, l’art. 59 del d.P.R. n. 115 del 2002 e il D.M. n. 265 del 2006) era desumibile la regola generale secondo la quale la custodia in luogo aperto, purché recintato, costituirebbe il  “naturale” contenuto della prestazione dovuta dal custode giudiziario  dei veicoli sequestrati, salvo che si tratti di veicoli a motore di  particolare pregio e valore o di veicoli la cui configurazione esterna – come nel caso dei motocicli o delle automobili prive di copertura – non ne permetta una adeguata protezione dalle precipitazioni atmosferiche.

Poiché nel caso di specie non ricorrevano tali eccezionali ipotesi, il custode aveva esattamente adempiuto alla sua obbligazione collocandola e  mantenendola in luogo aperto, senza che potesse essere chiamato a rispondere dei danni eventualmente conseguiti a tale collocazione.

Il ricorso per Cassazione prospettava, tra gli altri motivi, la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, giacché erroneamente interpretato il combinato disposto dell’art. 59 d.P.R. n. 115/2002 e del D.M. n. 265/2006.

In estrema sintesi, per il ricorrente il contenuto dell’obbligazione del custode giudiziario avrebbe dovuto essere ricostruito applicando analogicamente all’obbligazione custodiale derivante da sequestro penale, oltre alle regole di cui agli artt. 1176 e 2043 c.c., quelle di cui agli artt. 1177 e c.c., in base alle quali il custode avrebbe dovuto conservare il bene sottoposto a sequestro – mantenendolo nello stato in cui si trovava al momento in cui lo aveva ricevuto e predisponendo tutti i mezzi necessari per impedirne la perdita, il perimento o il deterioramento – sino alla consegna all’avente diritto alla restituzione, usando nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia.

Motivi della decisione

(…)

La Cassazione ritiene fondate le censure sollevate, cassa la sentenza e decide nel merito.

In primo luogo, le argomentazioni del Collegio evidenziano come lo spettro di operatività dell’art. 59 d.P.R. n. 115 del 2002 del l D.M. 2 settembre 2006, n. 26, sia limitato a delineare il compenso del custode dei beni sottoposti a sequestro, senza incidere sulla disciplina delle sue obbligazioni.

Ne discende che l’ermeneutica idonea a risolvere il caso concreto esige una attenta analisi dell’art. 259 c.p.p., che prevede lo specifico obbligo di conservazione, funzionale a quello di presentazione della cosa a richiesta dell’autorità giudiziaria e alla sua riconsegna all’avente diritto alla cessazione del vincolo.

Dunque, considerato che da tale norma sorga una obbligazione positiva che, pur in assenza di contratto, si distingue dall’obbligazione generica negativa del neminem laedere che regola la vita di relazione e la cui violazione espone a responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.

Per la Cassazione la relazione intercorsa tra il custode e il ricorrente, sebbene “estranei” perché messi in relazione solamente da un provvedimento di sequestro penale, origina una obbligazione avente a oggetto una prestazione specifica il cui inadempimento determina responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c.

La prestazione che forma oggetto di questa obbligazione, oltre ad avere il contenuto tipico dell’obbligazione di custodia predeterminato dalla legge (il quale contempla l’obbligo di conservazione, funzionale a quello successivo della consegna: art. 1177 c.c.), è altresì soggetta ai criteri legali di determinazione della prestazione, in particolare a quello della buona fede (art. 1175 c.c.)  e a quello della diligenza (art. 1176 c.c.), che ne conformano il contenuto, in funzione di adeguarla all’interesse creditorio cui essa deve corrispondere (art. 1174 c.c.).

Quando l’obbligazione non ha titolo in un contratto ma direttamente nella legge, manca ovviamente l’elemento della causa, ma resta quello dell’interesse creditorio; dal punto di vista della disciplina generale dell’obbligazione, infatti, poiché la prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio deve corrispondere all’interesse del creditore (art. 1174 c.c.), è a quest’ultimo che occorre guardare per determinarne l’esatto contenuto e per formulare il giudizio di esatto adempimento.

Nel caso di specie, avuto riguardo all’interesse creditorio dell’avente diritto alla riconsegna al momento della cessazione del vincolo penale imposto dal provvedimento di sequestro, l’obbligo del custode si specificava nel dovere di conservare la cosa, per quanto possibile nello stato in cui si trovava al momento del deposito, restituendola all’avente diritto con la medesima pregressa funzionalità, salvo il normale logorio derivante dal tempo.

Tale obbligazione non è stata adempiuta, in quanto il giudice del merito ha accertato che l’autovettura sequestrata avesse subìto nel periodo in cui era rimasta in custodia danni da infiltrazioni d’acqua che ne avevano compromesso la preesistente funzionalità.

In applicazione delle regole generali in tema di inadempimento contrattuale, una volta chiarito in diritto che il custode fosse tenuto all’obbligo di ben custodire la cosa in vista della riconsegna, sarebbe spettato al debitore offrire al giudicante la prova della causa non imputabile che aveva determinato l’impossibilità del suo esatto adempimento.

Riassumendo:

  • l’auto era stata sequestrata;
  • il custode giudiziario ne aveva assunto la custodia e l’aveva depositata nella propria officina a disposizione dell’Autorità giudiziaria;
  • il rapporto che era sorto era di natura contrattuale, che trova la propria fonte nella legge;
  • il custode doveva adempiere con diligenza alla propria obbligazione;
  • stante le regole ex art. 1218 c.c. era il debitore a dover dimostrare l’impossibilità del suo esatto adempimento per causa a lui non imputabile;
  • essendo carente tale prova e avendo errato la Corte di Appello nella qualificazione del rapporto giuridico intercorso tra le parti.

(…)

Dispositivo

La Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna gli eredi del custode giudiziario, nonché il Ministero della Giustizia, in solido tra loro, a pagare al ricorrente la somma di euro 6.235,94 a titolo di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale.

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