
SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.
Massima
Il rapporto familiare instaurantesi tra madre e figlio viene considerato fondato su un legame di tipo “specialissimo”, come riportano testualmente le parole della Consulta. Dunque, non può definirsi sempre prevalente il “best interest” rappresentato dalla cura degli interessi del minore (in questo caso, la cura dei rapporti familiari e a godere in maniera paritaria dei rapporti affettivi con la madre e con il padre quando uno di essi soggiaccia a pena in esecuzione), ma è opportuno ed altresì necessario operare una valutazione in concreto, priva di automatismi aprioristici, che rischino di segnare la strada di una decisione prima ancora che la stessa sia assunta.
Svolgimento del processo
La sentenza 219/2023 trae origine da un giudizio a quo originatosi dinanzi al Magistrato di sorveglianza di Cosenza in relazione alla presunta incostituzionalità dell’articolo 47-ter, comma 1, lett. a) e b), l. 354/1975, rispetto agli articoli 3 e 31, comma secondo, della Costituzione.
Il giudizio si incentra sulla mancata concessione in via provvisoria della misura alternativa della detenzione domiciliare speciale di cui all’articolo 47-quinquies, l. 354/1975 e sulla necessità – per il giudice rimettente – di riqualificare l’istanza come volta ad ottenere la detenzione domiciliare ordinaria di cui all’articolo 47-ter, comma 1, lett. b) dell’ordinamento penitenziario.
Il giudice a quo ritiene che non sia possibile accogliere l’istanza del detenuto, in quanto la lettera b) dell’articolo in esame darebbe unicamente la possibilità di concedere siffatta misura al padre qualora la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole.
Il giudice ricorrente, in sintesi, lamenta una lesione al principio della bigenitorialità come non-parità di trattamento dei due genitori: infatti, la lettera a), che riguarda la madre, dispone che, per accedere alla detenzione domiciliare ordinaria, il figlio debba essere convivente e debba avere meno di dieci anni, parimenti non debbano sussistere condizioni ostative in considerazione della sua pericolosità sociale.
Il padre, invece, deve dimostrare il decesso o l’avvenuta impossibilità assoluta della madre di prendersi cura della prole.
Verrebbe in questo modo leso l’articolo 31, comma 2, Cost. nel punto in cui viene negletto l’interesse del minore a godere della presenza di entrambi i genitori nella fase di crescita e sviluppo.
Viene così nettamente favorito lo sviluppo del rapporto tra madre e figlio e non anche quello tra padre e figlio.
Si segnala l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, patrocinato dall’Avvocatura generale dello stato, che ha chiesto che le questioni fossero dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate.
Ebbene, l’Avvocatura ritiene l’inammissibilità per difetto di rilevanza, poiché – a proprio dire – non è stata effettuata una valutazione in concreto sulla effettiva impossibilità della madre a dare assistenza alla prole, allineandosi quindi alle sentenze di Cassazione che prevedono e richiedono in modo cogente l’accertamento delle condizioni concrete caso per caso.
Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata per il principio del bilanciamento di contrastanti valori costituzionalmente rilevanti.
In sostanza, chiosa la Corte, (…) “il giudice a quo si duole della differente disciplina relativa alla concessione della detenzione domiciliare ordinaria alle madri e ai padri di bambini sino a dieci anni, prevista rispettivamente dalle lettere a) e b) dell’art. 47-ter, comma 1, ordin. penit. Mentre le madri che convivono con il proprio figlio possono essere senz’altro ammesse alla misura alternativa in parola allorché debbano scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a quattro anni (lettera a), i padri possono accedere a tale misura soltanto ove esercitino la responsabilità genitoriale e risulti che la madre sia deceduta, ovvero «assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole» (lettera b)”.
Le questioni sono state ritenute ammissibili, e dunque è infondata l’eccezione dell’Avvocatura generale dello Stato.
Motivi della decisione
(…)
Tuttavia, le questioni non sono fondate per i motivi che seguono.
Per la Corte, il giudice a quo ha mal impostato la questione perché si è incentrato non tanto sulla discriminazione dei genitori in base al sesso, ma sul diritto del minore ad intrattenere rapporti continuativi con entrambi i genitori, non valutabile in forma aprioristica.
Sul punto, vengono richiamate le sentenze 102/2020, 105/2023 e 187/2019, le quali affermano tutte l’importanza di garantire al figlio un rapporto continuativo con entrambi i genitori, così come suffragato anche da carte internazionali.
In sintesi – si cita la Corte – “ (…) sul piano costituzionale, il diritto in questione costituisce una specifica declinazione del più generale principio dell’interesse “preminente” del minore: espressione con cui la giurisprudenza di questa Corte è solita tradurre il «principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o dell’“interesse superiore” (intérêt supérieur) del minore (sentenza n. 102 del 2020).
Tale principio si considera radicato tanto nell’art. 30, quanto nell’art. 31 Cost., quest’ultimo puntualmente evocato dal rimettente (ancora, sentenza n. 102 del 2020). È però altrettanto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il principio in parola impone sì una considerazione particolarmente attenta degli interessi del minore in ogni decisione – giudiziaria, amministrativa e legislativa – che lo riguarda, ma non ne assicura l’automatica prevalenza su ogni altro interesse, individuale o collettivo.”
Nel bilanciamento tra interessi del minore e tutela dell’esecuzione della pena, il primo, seppur “best interest”, non prevale assolutamente e aprioristicamente: in questo modo, potrebbe essere potenzialmente incostituzionale sempre l’esecuzione della pena se vi sono figli minori.
La questione viene risolta agilmente dalla Consulta con l’affermazione per cui tanto l’ordinamento penitenziario quanto il codice di procedura penale prediligano, comunque, lo sviluppo del rapporto tra madre e figlio, in virtù di un legame che viene definito “specialissimo”.
(…)
Dispositivo
Le questioni sono state ritenute non fondate e dunque la Corte rimette gli atti al giudice a quo per assenza di conflitto con gli articoli 3 e 31, secondo comma, Cost.