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Cass. Civ, sez. III, ud. 23 novembre 2023, (dep. 28 febbraio 2024), n. 5339

- 10 Maggio 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

In tema di danni causati da animali randagi, non possono trovare applicazione le regole di cui all’art. 2052 c.c., in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo.

In tema di danni causati da animali randagi, cui si applica la disciplina dell’art. 2043 c.c., una volta individuato – alla stregua della normativa nazionale e regionale applicabile – l’ente titolare dell’obbligo giuridico di recupero degli stessi, il danneggiato è chiamato a provare soltanto che l’evento dannoso rientri nel novero di quelli che la regola cautelare omessa mira ad evitare, e solo una volta che l’ente abbia, a propria volta, dimostrato di essersi attivato rispetto a tale onere cautelare, sarà tenuto ulteriormente a dimostrare (anche per presunzioni) l’esistenza di segnalazioni o di richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi; il danneggiante, invece, è tenuto a dimostrare di aver predisposto adeguate misure organizzative dirette alla prevenzione e controllo dei cani vaganti e alla cattura dei medesimi come richiesto dalla legge idonee a scongiurare la verificazione dell’evento.

Svolgimento del processo 

Non di rado capita che animali randagi possano attraversa all’improvviso il manto stradale provocando un sinistro stradale.

Si badi bene, non si è detto “fauna selvatica”, bensì randagismo; due fenomeni simili ma non sovrapponibili.

Un giorno, un automobilista stava conducendo il proprio veicolo quando a un tratto sbucava un cane di grossa taglia che attraversava improvvisamente la carreggiata: d’istinto, il conducente cercava di evitare l’impatto, senza riuscire, però, ad evitare la collisione.

Questo fatto genera un danno risarcibile? Chi risponde del danno?

Venivano citati in giudizio il Comune di Catania, la Provincia Regionale di Catania e l’azienda Sanitaria Provinciale di Catania.

In primo grado, il Giudice di Pace di Catania:

  • disponeva l’estromissione dal giudizio della Provincia Regionale di Catania e della relativa assicurazione;
  • accoglieva la domanda formulata dall’attore;
  • condannava il Comune di Catania e l’A.S.P. di Catania, in solido, al risarcimento del danno.

La decisione veniva confermata dal Tribunale di Catania.

I soccombenti proponevano ricorso per Cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., sicché la sentenza impugnata sarebbe affetta da errore sicché aveva ritenuto provata la responsabilità del comune exart. 2043 c.c. pur in assenza di qualsivoglia prova di un comportamento colposo ascrivibile al Comune: invero, l’attore si era limitato ad affermare la responsabilità del Comune ex artt. 2043 e 2055 c.c. sul solo presupposto della presunta appartenenza della strada al Comune, ma senza riferire in nessun modo la responsabilità del Comune per fatti colposi ad esso riferibili.

Il secondo motivo si concentrava sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., atteso che dall’esame del ragionamento logico-giuridico del Tribunale non emergeva alcuna prova della sussistenza di responsabilità ex art. 2043 c.c. del Comune, ritenuto responsabile ai sensi di una errata interpretazione dell’art. 2051 c.c., che prevede una responsabilità oggettiva disancorata dalla colpa.

Motivi della decisione

(…)

Il fenomeno del randagismo e della fauna selvatica sollecita spesso il pensiero della giurisprudenza di merito e di legittimità.

Invero, spesso la collisione tra animali e automobili origina danni anche non lievi, così da costituire il terreno fertile per l’insorgere di contenzioni.

Cause che, sebbene chiara nella dinamica (un animale attraversa la strada e impatta con un veicolo), questa tipologia di danni richiede uno sforzo esegetico non sempre agile.

Per la Cassazione, ancora prima di ogni valutazione è necessario individuare l’ente titolare della posizione di garanzia.

Ai fini dell’individuazione dell’ente su cui grava l’obbligo giuridico di “recupero”, “cattura” e “ricovero” dei cani randagi – stante la “neutralità”, al riguardo, della legge statale (legge quadro 14 agosto 1991, n. 281) – occorre analizzare la normativa primaria (sostanzialmente regionale) caso per caso.

Nel caso sottoposto alla cognizione del Giudice di Pace e del Tribunale di Catania la norma di riferimento si rinviene nella Legge della Regione Sicilia n. 15/2000, il cui art. 14 sancisce che i comuni singoli o associati, direttamente o in convenzione con enti, privati o associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’Albo regionale provvedono alla cattura dei cani vaganti con sistema indolore e senza ricorrere all’uso di tagliole, di bocconi avvelenati o di pungoli.

Individuata la legge di riferimento, quale paradigma normativo può ritenersi utile per dirimere controversie in caso di danno?

Per la Cassazione non è possibile applicazione l’art. 2052 c.c., in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo.

Dunque, è necessario valutare il comportamento di chi è tenuto al controllo e alla gestione del fenomeno del randagismo alla stregua dei canoni previsti dall’art. 2043 c.c.; in altre parole, s’impone che la responsabilità dell’ente si affermi solo previa individuazione del concreto comportamento colposo ad esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell’evento dannoso.

Nessuna generalizzazione; nessun automatismo: non vi è dubbio che la posizione di garanzia sia stata individuata con precisione, ma ciò non basta per affermare sempre, nell’ipotesi di danno cagionato da animali randagi, che l’ente risponda: è indispensabile che chi si assume danneggiato, in base alle regole generali, alleghi e dimostri il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e la riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva.

Entro questo perimetro va verificato il tipo di comportamento esigibile volta per volta e in concreto dall’ente preposto dalla legge al controllo e alla gestione del fenomeno del randagismo, sì da dedurne la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile, quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo.

La struttura dell’illecito aquiliano delineata dall’art. 2043 c.c. esige una verifica puntuale caso per caso.

Nella fattispecie in esame, premessa la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, costituendo un evento puramente naturale, l’esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che, per imputare a titolo di colpa un evento dannoso, non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.

In altri termini, non basta che un evento sia prevedibile per imputarne il verificarsi a titolo di colpa a chi ha un obbligo di controllo, occorrendo anche che esso sia evitabile, in considerazione delle circostanze soggettive e oggettive del caso concreto.

Ne deriva che è onere di colui che agisca facendo valere la responsabilità omissiva altrui quello di dimostrare o almeno di allegare la ricorrenza di una colpa non solo specifica – violazione del precetto – ma anche generica, in quanto postulante l’indagine circa le modalità concrete della condotta attraverso i criteri di prevedibilità ed evitabilità.

Questi criteri di carattere generale inducono la Cassazione a formulare delle riflessioni nello specifico caso del randagismo, ove afferma che in tema di danni causati proprio da cani randagi, una volta individuato, alla stregua della normativa nazionale e regionale applicabile, l’ente titolare dell’obbligo giuridico di recupero degli stessi, il danneggiato è chiamato a provare soltanto che l’evento dannoso rientri nel novero di quelli che la regola cautelare omessa mira ad evitare, e solo una volta che l’ente abbia, a propria volta, dimostrato di essersi attivato rispetto a tale onere cautelare, sarà tenuto ulteriormente a dimostrare (anche per presunzioni) l’esistenza di segnalazioni o di richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi.

Pertanto, l’onere del danneggiato è quello di provare, anche per presunzioni, l’esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi.

Nella fattispecie in esame era emerso come il servizio di recupero dei cani randagi gravasse, come detto, sul Comune e che la domanda risarcitoria fosse fondata su un fatto che costituiva concretizzazione del rischio che la norma cautelare mirava ad evitare.

E, poiché l’osservanza della norma cautelare implicava l’approntamento di un servizio organizzato, spettava al Comune dedurre e dimostrare di avervi dato compiuta osservanza in base ai principi generali in materia di nesso di causalità e di responsabilità colposa.

Secondo il giudice dell’appello tale onere non era stato assolto dal Comune ricorrente e la responsabilità dell’ente pubblico convenuto derivava dall’aver consentito l’insorgere delle condizioni che avevano provocato l’evento lesivo con un comportamento negligente, consistito essenzialmente nella mancata predisposizione di adeguate misure organizzative dirette alla prevenzione e controllo dei cani vaganti e alla cattura dei medesimi come richiesto dalla legge che ove fossero stati messi in atto avrebbero scongiurato la verificazione dell’evento.

Il Comune non si era attivato e non aveva organizzato una forma di contrasto al randagismo, versando in colpa specifica.

(…)

Dispositivo

Per tali motivi, la Corte rigetta il ricorso e condannava alla refusione delle spese processuali.

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