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Cass. Pen., sez feriale ud. 13 agosto 2024 (dep. 14 agosto 2024), n. 32672

- 8 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

L’ attività di gioco o scommesse, anche qualora il fatto si realizzi mediante mezzi telematici o informatici, è legittima soltanto nel caso in cui sia predisposta da soggetti aventi una determinata qualifica, individuata nella concessione, in quanto non è ammissibile lo svolgimento della predetta attività da parte di individui terzi, aventi il ruolo di meri intermediari.

Svolgimento del processo 

La Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Napoli diminuendo la pena a 4 mesi di reclusione nei riguardi dell’imputata e confermando la responsabilità penale della medesima in ordine al reato di cui agli artt. 110 c.p. e 4, commi 1 e 1 bis, l. n. 401/1989 poiché, in qualità di responsabile d’impresa svolgeva senza averne idoneo titolo, l’esercizio di acquisizione, riscossione e richiesta di adempimento di scommesse sportive, aventi natura statale, in assenza di provvedimento di concessione, autorizzazione, o licenza di cui all’art. 88 T.U.L.P.S.-

Avverso la sentenza impugnata, il difensore della ricorrente proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Con il primo motivo, il legale dell’imputata eccepiva evidente illogicità della motivazione ex. art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p., in quanto la Corte territoriale non aveva fornito adeguata dimostrazione dell’assunto secondo cui l’agente avrebbe disposto nei riguardi degli utenti un proprio conto intestato a terzi al fine di effettuare il trasferimento delle puntate e in modo da non consentire l’individuazione di chi le avesse realmente conseguite.

 Secondo il difensore, l’imputata si sarebbe limitata a raccogliere le somme di denaro non a nome proprio bensì per conto di un bookmaker terzo, per cui non sussisterebbero gli estremi della responsabilità desunta dal capo di imputazione.

Quanto al secondo motivo, il difensore della ricorrente delineava l’assenza di motivazione da parte della Corte di appello con riguardo all’asserita discriminazione patita dal bookmaker terzo.

In tal senso, l’agente aveva prodotto istanza per la licenza ai fini dell’esercizio delle scommesse con contestuale produzione di tutta la documentazione necessaria, ma la Questura aveva espresso rigetto della medesima in quanto la società di scommesse estera non era in possesso di idonea autorizzazione rilasciata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ai fini dell’esercizio dell’attività di allibratore.

Orbene, la Corte territoriale si era limitata al mero richiamo per relationem della ricostruzione giuridica elaborata dal Tribunale, senza approfondire in appello le relative doglianze.

Motivi della decisione

(…)

I motivi analizzati dalla Suprema Corte possono così essere articolati:

  Preliminarmente, il primo motivo di ricorso risulta infondato.

  Invero, la disciplina amministrativa prevede che l’esercizio dell’attività di bookmaker presupponga l’acquisizione di una concessione nell’ambito di una pubblica gara e un’autorizzazione di polizia rilasciata da parte di Ministeri o enti preposti, la cui assenza integra il reato di cui all’art. 4, comma 4-bis, l. n. 401/1989.

 Sul punto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con decisione del 12 settembre 2013 ha stabilito che la finalità della normativa italiana sia quella  di prevenire l’emersione di illeciti penali in materia di gioco d’azzardo compiuti dalla criminalità organizzata, per cui il predetto obiettivo può giustificare limitazioni alle libertà fondamentali nel rispetto del principio di proporzionalità e a condizione che le metodiche impiegate siano congruenti allo scopo prefissato.

 Orbene, tale pronuncia non ha ravvisato una sproporzione nel fatto secondo cui un operatore di scommesse debba acquisire sia una concessione che un’autorizzazione di polizia, ma ha precisato che l’assenza di quest’ultima documentazione derivante da irregolarità nella modalità di rilascio della concessione non possa essere automaticamente imputata ai soggetti richiedenti.

 Con antecedente decisione la medesima Corte di Giustizia Europea ha poi precisato che nel caso in cui una ditta estera svolga un servizio di circolazione e riscossione delle scommesse mediante locali pubblici condotti da soggetti indipendenti ricollegabili all’impresa estera, in cui gli scommettitori possono predisporre puntate mediante mezzi telematici, spetterà all’allibratore comunitario il compito di fornire un atto di concessione per lo svolgimento di tali attività in Italia (sentenza 16 febbraio 2012, Costa-Cifone, C-72/2010 e C-77/10).

  Tuttavia, la Suprema Corte è intervenuta su quest’ultima tematica ed ha valorizzato il principio di diritto secondo cui qualora la condotta dell’agente non si esplichi soltanto nella mera attività di circolazione delle scommesse predisposte dagli utenti ad un bookmaker straniero ma realizzi la fattispecie criminosa di cui all’art. 4, comma 4-bis, l. n. 401/1989 mediante l’acquisizione diretta delle puntate, e non vi sia alcun collegamento di tipo transnazionale con la società estera, il possesso dei requisiti (concessione e autorizzazione di polizia) va individuato nei confronti dell’operatore italiano (Cass. pen. Sez. 3, n. 13657 del 16.2.2024; Cass. pen. Sez. 3, n. 55329 del 16.7.2018).

 Nel caso di specie, l’illecito penale contestato alla ricorrente risultava pacificamente configurabile, in virtù della funzione di intermediazione criminosa svolta da quest’ultima nella promozione, gestione e riscossione delle scommesse e nella predisposizione a favore dei clienti di conti di gioco con nominativi falsi.

  Sotto tale profilo, le doglianze esposte dal difensore dell’imputata si risolvono in mere ricostruzioni fattuali che esulano dai limiti sanciti dall’art. 606 c.p.p., in quanto la Suprema Corte non può far coincidere la propria analisi degli esiti processuali con quella già compiuta nei precedenti gradi di giudizio.

Quanto al secondo motivo, risultano irrilevanti le questioni del bookmaker estero e gli atti discriminatori che quest’ultimo avrebbe patito.

  Nel caso de quo, spetta all’operatore italiano dotarsi di idonei titoli autorizzativi al fine della promozione dell’attività di gestione e riscossione delle scommesse, al fine di non integrare il reato di cui all’art. 4, commi 1 e 1 bis, l. n. 401/1989.

 Pertanto, l’acquisizione di puntate, anche quando sia realizzata mediante metodiche telematiche può avvenire in maniera legittima qualora sia promossa da soggetti aventi uno specifico titolo, come ad esempio la concessione, in quanto non si contempla la possibilità che esistano individui terzi i quali recepiscano, in qualità di meri intermediari, le scommesse per conto di altri soggetti.

(…)

Dispositivo

La Suprema Corte reputa non ammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.

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