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Consiglio di Stato, sez. II, 9 settembre 2024, n. 7486

- 11 Ottobre 2024

SOMMARIO: 1. Massima. 2. Svolgimento del processo. 3. Motivi della decisione. 4. Dispositivo.

Massima

Il Consiglio di Stato, Sez.II, con la sentenza n. 7486, pubblicata in data 9 settembre 2024, ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale, ormai radicato, secondo cui il “la presentazione della richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione ma solo sulla sua efficacia (tra le tante si v. Cons. St., sez. VII, sent. n. 7680 del 2023 e sez. II, sentt. n. 714 e n. 1708 del 2023)”.

Svolgimento del processo 

La presente sentenza ha ad oggetto l’impugnazione della sentenza che ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti presentati per l’annullamento, rispettivamente, del diniego di accertamento di conformità e dell’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi relativi a opere eseguite nell’immobile di proprietà dell’appellante.

In particolare, quest’ultimo risulta essere proprietario di due unità immobiliari poste al piano rialzato e al primo piano di un edificio compreso nel complesso di Villa Pignatelli di Monteleone, situato a Napoli, nel quartiere Barra.

Ebbene, costui, con istanza del 24 ottobre 2019 chiedeva l’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, per il cambio di destinazione d’uso, da deposito a residenza, dei locali ubicati al piano rialzato.

Di contro, il Comune di Napoli, con determina dirigenziale n. 16 dell’8 gennaio 2020 respingeva la domanda, sul presupposto che l’area in cui ricade l’intervento rientra nella “zona A – insediamenti di interesse storico”, è classificata come “Unità di spazio scoperto concluse – giardini, orti e spazi pavimentati pertinenti a unità edilizie di base” ed è compresa nel perimetro del centro edificato.

Inoltre, per quanto in tal sede rileva, il Comune di Napoli, rilevava la mancanza del necessario parere della Soprintendenza e che i locali interessati dall’istanza fossero ricompresi in zona rossa vesuviana, dove non è consentito il cambio di destinazione d’uso ai fini residenziali perché costituisce aumento del carico antropico.

Di conseguenza, il soggetto istante, impugnava il diniego opposto dal Comune di Napoli con ricorso proposto innanzi al TAR Campania – Napoli.

Inoltre, a seguito del diniego dell’istanza, l’Amministrazione comunale con provvedimento dirigenziale n. 144/A del 19 maggio 2020 ingiungeva il ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione delle opere abusivamente realizzate, qualificate come ristrutturazione edilizia e consistenti nella «trasformazione d’uso di locale deposito (categoria catastale C/2) in unità abitativa (categoria catastale A/3) costituita da due vani – cucina – corridoio – wc e ripostiglio; In luogo di cancellate a protezione di due vani luce, apposizione di infissi di alluminio e napoletane apribili in ferro con trasformazione degli stessi in finestre».

Di talchè, il ricorrente, impugnava con ricorso con motivi aggiunti anche tale provvedimento.

Pertanto, nel giudizio di primo grado, interveniva ad opponendum anche la sig.ra Nunzia Loffredo, in qualità di proprietaria di un fondo nelle vicinanze.

All’esito del giudizio di primo grado, il TAR Campania – Napoli, dopo aver giudicato ammissibile l’intervento della sig.ra Loffredo, nel merito respingeva il ricorso e i motivi aggiunti, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle controparti, ritenendo dirimente ai fini dell’accertamento di legittimità del diniego di accertamento di conformità, la circostanza che l’immobile fosse ricompreso nella zona rossa vesuviana; inoltre, con riferimento all’ingiunzione di ripristino, il TAR ha ritenuto decisivo il fatto che non fosse stata dimostrata la preesistenza del mutamento di destinazione d’uso all’istituzione del vincolo della zona rossa e reputato non illegittima la fissazione di un termine di 60 giorni, invece che di 90 giorni, per eseguire l’ordine di demolizione.

Dunque, all’esito del giudizio di primo grado, la ricorrente soccombente impugnava la sentenza innanzi all’Ill.mo Consiglio di Stato, sulla base dei seguenti motivi di appello.

Con il primo motivo di impugnazione, l’appellante rilevava l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui, il giudice di prime cure, senza prima procedere a disporre una CTU, non accertava che l’immobile oggetto dell’istanza era collocato all’esterno della zona rossa vesuviana, non sussistendo, nel caso di specie, alcun divieto di mutamento della destinazione d’uso.

Con il secondo motivo di gravame, l’appellante, invece, sosteneva l’illegittimità del diniego di sanatoria perché non preceduto dall’invio del “preavviso di rigetto” non essendo, peraltro, idonea, perché non necessaria a raggiungere lo scopo, la comunicazione inviata al tecnico di fiducia invece che alla parte soccombente.

In ultimo, con il terzo motivo di appello, parte appellante sostiene che l’ingiunzione di ripristino sarebbe illegittima in via derivata, nonché inficiata da vizi propri, consistenti nel fatto che l’immobile avrebbe avuto le caratteristiche di un’unità abitativa fin dalla sua costruzione, sicuramente precedente all’istituzione della zona rossa, e sarebbe pervenuto all’appellante nello stato attuale, a eccezione di una modifica della tramezzatura interna; in aggiunta, per un simile intervento non potrebbe essere disposta la demolizione, ma solo applicata una sanzione pecuniaria

Ebbene, il Collegio di Stato, ai fini di dirimere la questione controversa, con ordinanza n. 1099 del 2024, disponeva una verificazione volta ad accertare la collocazione dell’immobile rispetto alla zona rossa vesuviana attualmente vigente e il 6 maggio 2024 il verificatore, depositava la relazione di verificazione.

In vista dell’udienza di merito, le parti depositavano documenti e scritti difensivi e, per quanto in tale sede rileva, parte appellante depositava la nota prot. 6623-A del 30 aprile 2024 con cui la Soprintendenza esprimeva parere favorevole con prescrizioni per l’accertamento di compatibilità paesaggistica del cambio di destinazione d’uso con opere e, inoltre, documentava di aver presentato istanza di sanatoria del cambio di destinazione da deposito a residenza in base al decreto legge n. 69 del 2024 (all’epoca non ancora convertito con modificazioni dalla legge n. 105 del 2024).

All’udienza pubblica del 2 luglio 2024 la causa veniva trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

(…)

Nel merito, il Consiglio di Stato, in via preliminare osserva che, secondo costante e granitica giurisprudenza, l’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria ai sensi del decreto legge n. 69 del 2024 non può influire sull’esito del giudizio, in quanto la presentazione della richiesta di sanatoria non incide sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione ma solo sulla sua efficacia (tra le tante si v. Cons. St., sez. VII, sent. n. 7680 del 2023 e sez. II, sentt. n. 714 e n. 1708 del 2023).

Ancora, precisa il supremo Collegio che, in caso di rigetto dell’appello, l’efficacia degli atti impugnati in primo gravo rimarrebbe sospesa fino alla pronuncia del Comune sulla nuova domanda la quale, se favorevole al privato, rappresenterebbe una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento e, dunque, a prescindere da quanto affermato nella sentenza resa all’esito del giudizio in appello. Mentre, se sfavorevole al privato, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino.

Sgombrato ogni dubbio circa tali questioni, relativamente al primo motivo di appello, il Consiglio di Stato lo respinge in quanto infondato.

Più nello specifico, il verificatore, all’esito dell’esame peritale, ha concluso che l’unità abitativa dell’appellante «rientra in zona rossa 1, ed è contenuta anche nella linea della perimetrazione della linea Gurioli, che individua l’invasione da flussi piroclastici», pertanto è soggetta al divieto di cambio di destinazione d’uso ai fini residenziali, disposto dalla l.r. Campania, n. 21 del 2003, in quanto lo stesso determina l’aumento del carico antropico.

Sulla base di quanto disposto dal verificatore, dunque, il collegio afferma che la verificazione svolta nel corso del giudizio di secondo grado ha accertato che l’immobile, è vero, come sostiene parte appellante, non era compreso nella zona rossa come delineata nella proposta del Comune di Napoli approvata con Deliberazione del Consiglio comunale n. 24 del 26 giugno 2013, ma vi è incluso con l’approvazione definitiva della perimetrazione da parte del Dipartimento della Protezione Civile con documento del 14 febbraio 2014, che ha esteso il confine dell’area vincolata a parte dei quartieri Piano, San Giovanni a Teduccio e Barra in considerazione di uno «scenario in via cautelativa, in caso di ripresa dell’attività eruttiva, che tiene conto del peso delle ceneri sui tetti delle case».

Per quanto attiene al secondo motivo di appello, il Consiglio di Stato lo rigetta in quanto, nel caso di specie, non può ravvisarsi alcuna violazione di norme sul procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies, co. 2, della legge n. 241 del 1990 poichè il proprietario aveva espressamente eletto un domicilio speciale elettronico presso l’indirizzo PEC del proprio tecnico di fiducia ai fini della trasmissione di tutti gli atti e comunicazioni inerenti la pratica di sanatoria e l’Amministrazione aveva inviato il “preavviso di diniego” proprio a questo indirizzo, così garantendo la partecipazione al procedimento.

In ultimo, il Collegio respinge anche il terzo motivo di appello poiché la tesi di parte appellante è smentita dalla licenza edilizia rilasciata nel 1957 per la costruzione del fabbricato di due piani, compreso il piano rialzato, la quale è stata concessa, tra l’altro, all’espressa condizione «che i locali a piano rialzato non siano destinati per abitazioni» (tali locali, del resto, sono qualificati come “deposito” nella cartografia allegata al titolo),

Peraltro, la decisione del Comune di intimare il ripristino dello stato dei luoghi, non v’è chi non veda, è un atto doveroso e a contenuto vincolato, in quanto l’intervento è infatti qualificabile come ristrutturazione edilizia per la quale era necessario il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co. 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi del mutamento della destinazione d’uso di un immobile compreso nella zona A e comunque comportando un aumento del carico urbanistico, con la conseguenza che, in mancanza del titolo, si applica l’art. 33 del medesimo d.P.R., che prevede appunto la rimozione delle opere abusive (sul fatto che il mutamento da deposito ad abitazione comporti un cambio tra categorie funzionalmente autonome e non omogenee, sanzionabile con la misura ripristinatoria, si v., tra le più recenti, Cons. St., sez. VI, sent. n. 2205 del 2024).

(…)

Dispositivo

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge; compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio

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